Violenza sessuale contro le donne e l’aumento degli stupri di gruppo a Piazza Tahrir e dintorni

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Dal sito del Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli ripubblichiamo una traduzione su un tema che ci interessa molto e su cui stiamo lavorando anche con il gruppo traduzioni militanti nato da Femminismo a Sud.

Le traduzioni da parte del CAU di Napoli sono state realizzate in occasione dell’iniziativa del passato 8 marzo intitolata “8 marzo: Il protagonismo femminile nelle rivolte egiziane tra violenza sessuale e organizzazione della protesta“.

Quella che riproponiamo è una analisi teorica femminista ripresa dal sito Nazra for Feminist Studies.

Vi rimandiamo anche alla lettura degli altri due articoli tradotti:

Egitto: le lavoratrici prendono parola

Femminismo imperialista, Islamofobia e la Rivoluzione egiziana

Buona lettura!

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Violenza sessuale contro le donne e l’aumento degli stupri di gruppo a Piazza Tahrir e dintorni di Nazra for Feminist Studies – 4 Febbraio 2013
traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

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Con questo articolo, Nazra for Feminist Studies propone un’analisi teorica femminista che prova a comprendere l’aumento della violenza sessuale contro le donne registrato negli ultimi mesi. Noi crediamo che sia importante sollevare questa discussione cosicché diversi attori politici, anche quelli ben intenzionati, non strumentalizzino le preoccupazioni delle donne. Speriamo anche di arricchire il dibattito attualmente in corso su questo delicato argomento facendo ricorso alla nostra esperienza sul campo nella lotta contro la violenza sulle donne. Guardiamo con favore questa discussione essendo state a lungo sostenitrici dell’importanza di un dibattito femminista sulla violenza sulle donne in generale. Il nostro approccio è sempre stato questo sia quando abbiamo sostenuto la lotta contro la violenza sulle donne, sia quando abbiamo appoggiato coloro che difendono i diritti umani delle donne in tutto l’Egitto e sia quando abbiamo cercato di collegare le questioni femministe con la politica promuovendo candidature femminili di diversi orientamenti politici ma che ponessero le questioni di genere al centro delle loro agende politiche. Leggi tutto “Violenza sessuale contro le donne e l’aumento degli stupri di gruppo a Piazza Tahrir e dintorni”

La malafede della zoofobia – parte II

humananimal2Continua da qui
“La nostra esperienza primordiale, preconcettuale… è intrinsecamente sinestesica”(12), scrive David Abram. Cita Merleau-Ponty nell’affermare che esiste uno “strato primario dell’esperienza che precede la sua divisione in sensi(13) separati”, e che la ragione per cui non siamo consapevoli del primato della sinestesia nella percezione è “perché la conoscenza scientifica sposta il centro di gravità di esperienza, in modo tale che abbiamo disimparato a vedere, sentire e, in generale, percepire, al fine di dedurre dalla nostra organizzazione corporea e del mondo per come il fisico lo concepisce, che cosa dobbiamo vedere, ascoltare e sentire(14).” Lo scienziato contrasta la percezione selvatica o bestiale esplorando le pareti della grotta buia del mondo con una piccola torcia elettrica, poco a poco, la totalità solo successivamente assemblata nel pensiero(15). La divisione sociale del lavoro e la lotta che ne consegue sono correlate alla frattura all’interno del corpo umano individuale e fenomenico.
La società capitalista divisa in classi ha, sopra ogni cosa, lo scopo di disciplinare la carne per imporre il lavoro di accumulazione del capitale come prevalente su tutti gli altri aspetti della vita quotidiana. Degli innumerevoli esempi possibili, prendiamo in considerazione l’azienda cinese Foxcomm, la più grande produttrice mondiale di elettronica che assembla, tra gli altri, i computer Apple. Nel solo 2010, diciotto dei suoi operai hanno tentato di suicidarsi lanciandosi dal tetto degli edifici aziendali. Quattordici sono morti. Durante le recenti proteste, circa 150 lavoratori hanno minacciato di gettarsi. Quale soluzione è stata messa a punto dalla dirigenza? Hanno affrontato le cause di disagio dei lavoratori? Non hanno assolutamente fatto nulla di ciò. Invece, hanno messo a punto una “non-soluzione” che è tanto ovvia quanto scandalosa: dopo la prima ondata di suicidi, hanno installato enormi reti di sicurezza per evitare ulteriori salti(16). Cerchiamo di immaginare lo scenario non così improbabile che potrebbe svilupparsi, quello in cui i lavoratori e i loro responsabili si spingano sempre più in là, cercando di superarsi in astuzia l’un l’altro, realizzando un vero e proprio spettacolo di tecno-efficienza e disperazione. Ora, quanti di noi utilizzeranno computer Apple per scoprirlo?
In India, i suicidi degli agricoltori legati alla “crisi agraria” sono diventati normali. Si stima che circa 17.000 agricoltori si siano suicidati nel solo 2009. Quando i prezzi sul mercato azionario scendono, a migliaia perdono il proprio sostentamento. L’Indian National Crime Records Bureau dichiara che circa 216.500 sono morti per questo motivo nel periodo 1997-2009(17). Nella produzione del cotone, ad esempio, si fanno soldi in tutto il mondo in stretta relazione con le fluttuazioni dei prezzi che hanno causato queste morti. Come il mercato azionario dell’attore aziendale e le sue massicce sovvenzioni statali, il suicidio di massa è una questione di calcolo statistico nel solito giro di affari, e nulla di più.
Non dovrebbe essere difficile spiegare come il sentimento di orrore di fronte a “sistemi, sistemi razionali, razionali tra virgolette, strumentalmente razionali” sia di per sé logico(18). Date per scontate, le decisioni individuali dettate dal senso comune e volte alla soddisfazione di interessi immediati risultano, tutte insieme, in esiti irrazionali. Per esempio, migliaia di persone salgono sulle proprie auto, desiderando di tornare a casa il più presto possibile dopo una dura giornata di lavoro, per poi ritrovarsi bloccate nel traffico nel bel mezzo della strada, soffocando nello smog e lì bloccate per ore e ore. E questo scenario si ripete ogni giorno mentre si parla di “rivoluzione verde,” un assurdo kafkiano trasformato in un universale normalizzato.
L’alienazione delle relazioni sociali, altrimenti naturali, è resa comprensibile solo in maniera mediata – attraverso la scrittura, la musica, l’arte. Incorporata saldamente nel cuore di abitudini non liberamente sviluppate, ma generate in maniera coercitiva dalle strutture materiali e ideologiche della produzione, l’alienazione è qualcosa che si conosce, ma che non si può riconoscere profondamente se non attraverso un qualche tipo di mezzo attraverso il quale il corpo possa riconnettersi con se stesso in maniera sicura, ampiamente e preventivamente programmata. In una buona società (ossia, non alienata) queste mediazioni sarebbero inutili; la loro sopravvivenza segnala, soprattutto, le carenze della vita umana. Adorno apre la sua Dialettica negativa scrivendo che “la filosofia, che un tempo sembrava superata, continua a vivere perché mancò il momento di realizzarla.”(19)
Nel frattempo, la nostra esperienza è in declino, ridotta in gesti riprodotti meccanicamente, ritualizzati, sempre più standardizzati. Come spesso accade con ciò che viene dato per scontato e con ciò che si vuole dimenticare, i fondamenti della vita corporea, la nostra vitalità sensuale e la nostra partecipazione sensoriale, sono stati spinti sullo sfondo dallo spirito della rinuncia. Pertanto, mentre la carne soggiogata sommessamente costituisce e ricostituisce tutta la vita senziente, per la maggior parte rimane invisibile. Ma le cose cambiano. In un primo momento a poco a poco, poi convulsamente, il tessuto della normalità è rotto, e una nuova intuizione si riversa forzatamente nei nostri occhi mentre assistiamo a un ritorno del rimosso.
La vita sensuale riemerge in bella vista in sintomi morbosi: ossessione dilagante e compulsione, depressione e apatia, ansia, irritabilità e aggressività, obesità, dipendenza dal lavoro, ipertensione, solitudine, intorpidimento, noia, stanchezza cronica nel bel mezzo di un sovraccarico sensoriale, suicidio, dipendenza da internet, malattie cardiache, la violenza assoluta dell’omicidio seriale e della guerra organizzata – la nostra natura selvaggia sta diventando perversa, implodendo su se stessa o esplodendo nel mondo. Tutto questo viene compensato con rimedi rapidi – un volo nell’artificialità intensificata della desublimazione repressiva (20), la farmacologia, l’ingegneria genetica e l’incarcerazione.
Il ventre molle dell’esistenza reificata risiede nella pervasività del tecno-produttivismo: ogni problema è una questione di tecnica e richiede una soluzione tecnica, e le soluzioni tecniche comportano la manipolazione sistematica dei simboli e delle cose. Soffocando efficacemente la sensibilità del corpo, le procedure amministrative e le catene di comando sono rapidamente ristabilite mentre pseudosoluzioni lasciano intatte le cause dei problemi, che verranno affrontate da ulteriori azioni alienate. Interessata principalmente a svincolarsi da situazioni vissute, e non solo questa o quella volta, ma a risolvere questo o quel problema una volta per tutte, la mente scientifica eccelle nel regno dell’astrazione. Non c’è nulla nell’atteggiamento scientifico che si frapponga al nostro svegliarci un giorno a darci pacche l’un l’altro su spalle cyborg appena acquistate con le nostre nano-armi, o con i nostri nuovi io disincarnati caricati su dischi rigidi. E questa attitudine si sta diffondendo a macchia d’olio. Per parafrasare Alan Watts, staremmo tutti indossando camici bianchi, se potessimo farlo. Siamo tutti tecnici oramai(21).
Atrofizzandosi, l’anima umana carnale si trova a fronteggiare un mondo alieno attraverso la lente di un sistema che vanta diversità, ma si fonda sulla quantificabilità universale della merce(22), un sistema che promette profondità, ma si ritira, a poco a poco, nella piattezza dell’immagine(23). Per quanto tempo può durare? Per quanto tempo al corpo vivente, risucchiato dal gorgo del capitalismo industriale, sarà chiesto di negare se stesso, sacrificato sull’altare della produzione? E quanto peggio stanno i miliardi di altri corpi che condividono il mondo con noi. Manipolati nella schiavitù, una legione di altri animali occupa i vasti spazi recintati, ingabbiati e reclusi di un’economia schiavista globalizzata.

§ … e tutti gli Altri
Con le incessanti trasformazioni della natura, la morte diviene un dato di fatto e riempie il cuore umano con un terrore che s’irradia in ondate di violenza crescente e sistematica. L’emergere di un programma distinto volto all’auto-stabilità umana di fronte all’inevitabile è stato reso possibile dalla precedente degradazione degli altri animali a portata di mano dell’uomo. Ora, il quesito scottante resta di determinare chi sia compreso nella categoria homo sapiens, e chi ne sia escluso. Nella lotta per l’emancipazione degli Afro-Americani negli Stati Uniti, Malcom X poté affrontare la questione con le seguenti, ben note, parole,
Diritti umani! Rispetto in quanto esseri umani! È questo che le masse di neri americani vogliono. È questo il vero problema. Le masse di neri non vogliono essere degradate come se fossero appestate. Non vogliono essere murate vive nelle baraccopoli, nei ghetti, come animali. Vogliono vivere in una società aperta e libera, dove possano camminare a testa alta, in quanto uomini e donne(24).
In altre parole, l’obiettivo per i neri è di essere liberi come esseri umani, invece che non liberi come animali. Indipendentemente da quale sia la nostra razza o etnia, abbiamo costruito il senso di un’identità umana immutabile sulle schiene spezzate di altri animali, per elevarci – nella nostra pratica economica, nel nostro senso comune, nella nostra sensibilità religiosa e nelle nostre scienze – verso quella che Merleau-Ponty ha chiamato “contemplazione dall’alto”(25). È dai corpi non umani – cacciati, controllati, stuprati e allevati, tenuti in cattività e macellati, sfruttati e utilizzati come cavie – che abbiamo imparato la maggior parte di ciò che sappiamo riguardo a come nuocere, mutilare, torturare e uccidere.
Le vittime spaziano da quelle definite in modo mirato (come il cosiddetto topo marchiato OncoMouse, sezionato nei laboratori in nome della ricerca sui trattamenti per il cancro) ai danni collaterali (come gli abitanti della foresta amazzonica, sterminati dal disboscamento della loro casa perpetuato per permettere il pascolo di mucche in schiavitù). L’olocausto animale globale è così pervasivo che è difficile stabilire il confine tra intento assassino e morte accidentale. Il solo numero di animali terrestri uccisi per fini alimentari è di 56-60 miliardi l’anno(26). Oltre ciò, e agli animali marini non contabilizzati, l’attuale ondata di estinzione di specie animali – soprannominata dai principali ricercatori come “La Sesta Grande Estinzione” – è la più vasta degli ultimi 65 milioni di anni, quando scomparvero i dinosauri(27). Juliette Jowit, del The Guardian, afferma che
L’IUCN (International Union for the Conservation of Nature−KF) nel 2004 dette origine a ondate di reazioni con la sua importante valutazione sulla biodiversità mondiale, secondo la quale il tasso di estinzione aveva raggiunto una cifra 100-1.000 volte maggiore di quella suggerita dalla datazione dei fossili nel periodo antecedente la comparsa degli esseri umani(28).
Aggiunge che mentre
Da allora non sono stati pubblicati calcoli ufficiali… i conservazionisti concordano che il tasso dell’estinzione è aumentato da allora, e … è possibile che siano corrette le drammatiche proiezioni fatte da esperti come il rinomato biologo di Harvard E.O.Wilson, che prevedono, in un ventennio, un tasso di estinzione fino a 10.000 volte quello di base(29).
La pressione ecologica esercitata sugli habitat di altri terrestri e sui loro stessi corpi da parte di industrie umane essenzialmente parassite è incredibile e senza precedenti.
Le vittime animali del passato e del presente, che segnano il percorso insanguinato dello sviluppo capitalistico-civilizzatore, chiedono un riscatto nelle urla quotidiane di milioni e miliardi di gole tagliate. Un riscatto non è possibile – come potrebbe esserlo; e, in ogni caso, le urla restano inascoltate. La crisi della sensibilità (capacità di percepire con i sensi) ha serie ripercussioni sul modo in cui la violenza è perpetrata: l’orrore dei macelli e dei laboratori di vivisezione è in genere nascosto alla vista e, con l’aumentare della distanza tra corpi sensibili, pervade i mondi abitati delle vittime(30). Anche gli zoo si preoccupano affinché la profondità della sofferenza degli animali rimanga invisibile, nascondendola in modo scrupoloso con un’esposizione palese ed esagerata: vedendo troppo, perdiamo di vista il reale(31). Al massimo la violenza viene raccontata, e ciò non è abbastanza.
Patiamo la mancanza di un contatto diretto, sentito e sensoriale con il mondo, nonostante esso sostenga ogni nostro passo. La mediazione – il filtro tra il mondo e il nostro corpo che conosce il mondo – è lo strumento del distacco, e il distacco è il prerequisito dell’oppressione. La materia resiste alla fredda analisi. Niente sembra essere completamente accidentale, né profondamente compreso.
L’orrore eterno subito da esseri fragili è sia al di là di ogni comprensione, sia reso incredibilmente normale. In maniera acuta, Karen Davis scrive che
[p]er quanto riguarda i miliardi di polli, di tacchini, di anatre, di bovini, di maiali e degli altri animali che, come i loro corrispettivi selvatici, si sono evoluti a condurre vite sociali complesse nei loro habitat naturali e hanno dimostrato di essere in grado di ritornare a vivere in modo indipendente dagli uomini – ovvero – di ridiventare selvatici – il destino genocidario non è quello di essere estinti fisicamente, ma quello di proliferare con trasformazioni virtualmente infinite e strazianti dei loro corpi; trasformazioni al fine di renderli adatti a quei letti di Procuste che sono l’industria agricola e la ricerca(32).
Le pratiche industriali sono tutte pianificate, programmate, chiaramente definite, riproducibili, sistematiche e ambiscono alla prevedibilità e non-ambiguità. In quanto parte di un’intensificazione ed esternalizzazione di quella fuga, antica come l’uomo, dalla nostra condizione animale, la moderna oppressione degli animali fa parte di una serie di olocausti che, per la loro portata, ci invitano a mettere in prospettiva Auschwitz, Treblinka, Chełmno, e gli altri campi di sterminio(33).
Nell’intreccio di passato e presente, persino da uno sguardo superficiale emergono chiaramente due verità collegate: 1) siamo impegnati in un sistema di dominazione quasi totale e 2) sembra esserci una traiettoria storica riconoscibile, dai toni distintamente cupi: una spirale discendente messa in moto gradualmente da un errore concettuale di base che tuttavia non è facile da tracciare e che di certo non sarà esaminato qui. In tutto ciò deve aver avuto un ruolo importante la zoofobia, intesa come forza ideologica, psicologica e legittimante, “l’altra medaglia” della produzione fin dagli esordi della transizione epocale dalla società di cacciatori a quella civilizzata e agricola. Rendere gli animali schiavi non è stata certo una passeggiata – schiacciargli il collo sotto al piede per sottometterli la prima volta probabilmente non è stato facile. Cacciare è una cosa, ma dominare dev’essere stato diverso.
In contrasto con immagini romanticizzate della prima addomesticazione animale, Charles Patterson ci ricorda che
Nell’uccidere gli animali per la loro carne e sfruttarli per il loro latte, per le loro pelli, o per il loro lavoro, i pastori impararono come controllare i movimenti, la dieta, la crescita e la vita riproduttiva attraverso l’uso della castrazione, limitazioni al libero movimento, marchiature, tagli d’orecchie e di certi strumenti, come grembiuli di cuoio, fruste, sproni e infine catene e collari(34).
Ovunque sia avvenuta, l’addomesticazione a un certo punto ha implicato necessariamente brutalità.
L’obiettivo era “produrre i tipi di animali più utili” per i bisogni dei pastori che “uccisero o castrarono la maggior parte dei maschi per assicurarsi che quello ‘selezionato’ per la riproduzione ingravidasse le femmine”(35). Le pratiche contemporanee di pastorizia ci offrono degli indizi su come la sottomissione degli animali ha proceduto quando è iniziata circa 11.000 anni fa(36). La castrazione è ancora d’importanza capitale con bovini, cavalli, cammelli e maiali ed è attuata di solito squarciando lo scroto e tagliando via i testicoli, a volte con un coltello di metallo o bambù, altre volte con la lama di una lancia. Talvolta i pastori si limitano a legare lo scroto strettamente con una corda, finché i testicoli non si atrofizzano. Realizzando un sadismo particolarmente vivido, i lapponi bloccano la renna, avvolgono lo scroto in un telo e lo masticano con i denti finché i testicoli non sono spappolati. Con una crudeltà altrettanto sconcertante, ci si è ingegnati in modi per sfruttare le femmine per il loro latte e impedire ai cuccioli di averne.
Per esempio, gli uomini delle tribù Rwala uccidono i piccoli di cammello per cibarsene, poi imbrattano un altro cucciolo col sangue di quello morto e lo portano dalla madre. A loro volta i lapponi sporcano con escrementi le mammelle della renna, cosicché i cuccioli non vogliano succhiarle. Per concludere con un esempio di come il movimento degli animali in cattività può essere controllato, Patterson riporta delle genti alle sorgenti dello Sepik, che rimuovono gli occhi dei maiali perforandoli con bastoni, in modo che il liquido fuoriesca dalla cavità oculare, e poi rimettono il bulbo oculare in posizione. In questo modo i maiali non vagheranno troppo lontano. Più avanti poi, saranno uccisi e mangiati(37).
Non appena gli umani iniziarono a sistematizzare il controllo sugli altri animali e a imporre loro con la violenza atteggiamenti sottomessi, divennero padroni della loro vita o della loro morte. Il processo di domesticazione degli animali non è stato poi tanto diverso da quello che rende drogati: la vittima doveva essere “agganciata”, privata della sua indipendenza, e resa dipendente dall’agente oppressore. Il servilismo e l’acquiescenza che apportano alla vittima benefici di breve durata e attimi di sollievo dalla violenza esplicita hanno un grande prezzo. L’animale è stato strappato dal suo mondo e spinto in una realtà aliena, dove vive una vita di seconda mano. Da allora, ha in genere tollerato il suo oppressore e, incapace di fare altrimenti, ha obbedito. E, nel caso avesse mancato di eseguire gli ordini, sarebbe presto diventato evidente chi era il padrone e chi lo schiavo(38).
Chiaramente, come ribadiscono Carl Sagan e Ann Druyan, “una netta distinzione tra umani e ‘animali’ è essenziale quando si vogliano piegare questi ultimi al nostro volere, costringerli a lavorare per noi, indossarli, e mangiarli – senza inquietanti sfumature di senso di colpa o rimorso”(39). Alla cultura che opprime bisogna che sia fornita una narrativa che ponga una netta separazione del contatto diretto e della vicinanza corporea tra oppressore e oppresso, tale che sia attivato un “cambiamento gestaltico”, un inganno giocato alla percezione in cui non vediamo più la realtà per come è, in cui la realtà è occultata da una nebbia concettuale e ideologica. Tuttavia, poiché la narrativa della dicotomia uomo-animale era fin dall’inizio chiaramente falsa, i rimorsi della coscienza non solo non si sono mai acquietati, ma si sono trasformati in odio – un odio talvolta represso e talvolta esplosivo contro ogni apparenza di falsa compostezza.
Un’altra analogia con l’oppressione razzista potrebbe aiutare a illuminare meglio la questione. Nei primi tempi del suo ministero musulmano, Malcom X predicò ai suoi fratelli neri, “Sapete perché l’uomo bianco vi odia? È perché ogni volta che vede il vostro volto, vede il riflesso del suo crimine, e la sua coscienza colpevole non riesce ad affrontarne la vista”(40). Nemmeno una narrativa costruita attentamente di generazione in generazione è sufficiente per cancellare l’impatto causato da un incontro immediato. Una narrativa zoofobica, proprio come una razzista, corre sempre il rischio di essere smascherata, poiché nasconde una realtà che pretende di essere riconosciuta: nel profondo dei nostri cuori, siamo animali auto-repressi che tengono in ostaggio il mondo.

Note:
12 D. Abram, Spell of the Sensuous. Perception and Language in a More-Than-Human World. New York: Vintage Book 1996, 60.
13 M. Merleau-Ponty, Phenomenology of Perception. Trad. C. Smith. London: Routledge & Kegan Paul 1962, 227.
14 ibid., 229.
15 Alan Watts afferma che lo scienziato deve ancora “necessariamente usare la propria intuizione nel comprendere la totalità della natura, anche se non si fida di essa. Deve sempre fermarsi e controllare la propria comprensione intuitiva con l’esile raggio luminoso del pensiero analitico.” Noi facciamo affidamento su ciò che Watts chiama intuizione, e su ciò a cui io mi riferirei come l’attività percettiva spontanea della vita pre-cosciente, pre-riflessiva, sub-personale, ad un livello straordinario, per ogni nostro movimento, incluso quello del pensiero analitico. Vedi A. Watts, Nature, Man, and Woman. New York: Vintage Books 1970, 62-3.
16 M. Moore, ‘Mass suicide’ protest at Apple manufacturer Foxcomm factory [in:] The Telegraph, 11 Genn 2012. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/china/9006988/Mass-suicide-protest-at-Apple-manufacturer-Foxconn-factory.html.
17 India: 2009 records highest number of farmer suicides [in:] One World South India, Dec 28 2010, http://southasia.oneworld.net/news/india-2009-records-highest-number-of-farm-suicides.
18 Vedi la discussione di Rick Roderick sulla posizione di Marcuse riguardo alla razionalità strumentale, Rick Roderick on Marcuse−One-dimensional Man, http://www.youtube.com/watch?v=WNAKr1TQ0xc.
19 T. W. Adorno, Negative Dialectics, trad. E. B. Ashton. London and New York: Routledge & Kegan Paul Ltd 1973, 3.
20 La desublimazione repressiva è un meccanismo per il quale sono garantite espressioni artificiali controllate e limitate ai desideri e alle pulsioni represse, espressioni legittimate dall’apparato produttivo e infine ritornanti in esso. Così, per esempio, il business della pornografia è una forma di manifestazione inversa della povertà della vita erotica, una compensazione per la precedente soppressione della sessualità, che permette un certo grado di sfogo sessuale in assenza di intimità. Per un’analisi dettagliata vedi H. Marcuse, Eros and Civilization. A Philosophical Inquiry into Freud. Boston: Beacon Press 1966.
21 Per suggerire un modo in cui questo funzioni anche in situazioni abbastanza banali, lasciate che proponga un aneddoto. Una mia amica, una donna, mi ha detto recentemente di essere un’assidua frequentatrice di palestra. Quando le ho chiesto perché ci andasse, lei mi ha risposto: “Per le endorfine che rilascia.” Così uno rimane a chiedersi quanto tempo ci vorrà prima che non ci venga più chiesto se noi stiamo bene, ma se sta bene l’equilibro biochimico dei nostri cervelli.

Impercettibili temi di microanalisi potrebbero rivelare potenti tendenze sociali. Il linguaggio tecnico-scientifico è ormai usato da non-specialisti in aree nelle quali non hanno alcuna competenza specifica. Nondimeno, essendo una sorta di nuova teoria e fede popolare, ha un’influenza profonda e crescente sul modo in cui essi vedono se stessi, gli altri, e il mondo. Per divagare un altro po’, mi sovviene un altro aneddoto, questo dall’autobiografia di Malcolm X.

X scrive del modo artificiale con cui i bianchi approcciano il ballo, come qualcosa che impedisce l’espressione spontanea. Chiarisce che la spontaneità richiede una rinnovata connessione con qualcosa di corporeo e antico, e un liberarsi  dalla tecnica. Dice, “ero tra la folla sgomitante – e all’improvviso, inaspettatamente, ho capito. I miei istinti Africani soppressi a lungo esplosero e si liberarono. Avendo passato così tanto tempo in … un ambiente bianco, avevo sempre creduto e temuto che danzare implicasse un certo ordine o schema di passi specifici – così il ballare è concepito dai bianchi. Ma qui, tra la mia gente meno inibita, ho scoperto che si trattava semplicemente di lasciare che i tuoi piedi, le tue mani e il tuo corpo agissero spontaneamente sulla base di qualsiasi impulso venisse stimolato dalla musica.” Vedi Malcolm X, The Autobiography of Malcolm X: As Told to Alex Haley. New York: Ballantine Books 1973, 60, enfasi nell’originale.
22 Federic Jameson sottolinea come “al minimo accenno di qualche variazione del libero mercato … la più standardizzata e uniforme realtà sociale nella storia” ci può essere rivenduta “come la ricca lucentezza della macchia di petrolio di diversità assoluta, e le più inimmaginabili e inclassificabili forme di libertà umana.” Vedi, F. Jameson, The Seeds of Time. Wellek Library Lectures. New York: Columbia UP 1994, 32.
23 Da confrontare con Debord, Society of the Spectacle, trad. D. Nicholson-Smith. New York: Zone Books 1995. A pagina 26 Debord parla della “dominazione della società da parte di cose le cui qualità sono ‘allo stesso tempo percettibili e impercettibili dai sensi.’ Questo principio è assolutamente realizzato nello spettacolo, dove “il mondo percettibile è rimpiazzato da una serie di immagini che gli sono superiori, ma allo stesso tempo di impongono come eminentemente percettibili;” enfasi mia.
24 Malcolm X, The Autobiography…, 278, la prima enfasi nell’originale, la seconda è mia.
25 Merleau-Ponty, The Visible and the Invisible, 27. Mentre la fisica, ad esempio, ha visto qualche cambiamento nella relazione percepita tra il soggetto e l’oggetto, il paradigma Newtoniano per cui i due sono indipendenti e completamente separabili regna ancora, e non solo per motivi pratici, ma come espressione del moderno senso comune. La “visione dall’alto” sopravvive anche in pieno postmodernismo al punto che il linguaggio è considerato un fenomeno esclusivamente umano e onnicomprensivo. Queste due condizioni danno le basi ideologiche alla dominazione antropocentrica; la prima attraverso l’affermazione dell’eccezionalità umana, la seconda attraverso l’estensione del suo fulcro a tutta la realtà concepibile.
26 Vedi GLiPHA (Global Livestock Production and Health Atlas), http://kids.fao.org/glipha per i dati del 2007 forniti da FAOSTAT. Il numero totale di morti cresce stabilmente. Non classificati come bestiame gli animali marini sono solitamente ammassati tutti insieme e pesati, non contati. Il numero delle loro morti annuali è difficile da determinare.
27 Vedi N. MacFarquhar, Trying to Lace Together a Consensus on Biodiversity Across a Global Landscape [in:] NY Times, 29 Sett 2010 (http://www.nytimes.com/2010/09/30/world/30nations.html?pagewanted=all).
28 Juliette Jowit, Warning sounded on decline of species ([in:] The Guardian, Mar 7 2010 (http://www.guardian.co.uk/environment/2010/mar/07/extinction-species-evolve).
29 ibid.
30 MacFarquhar, Trying to Lace Together a Consensus L’autore scrive che la perdita di specie ha la caratteristica di essere “lontano dagli occhi, lontano dal cuore.” In parte ciò è dovuto alla piccola dimensione degli organismi e analogamente i fattori dati, ma per la maggior parte può essere collegato alla cattiva consuetudine della civilizzazione di agire in modo superficiale a distanza, inclusa la distanza psicologica, dall’oggetto. In questo modo è stato riconosciuto che si aumenta il disprezzo per le conseguenze e si sopprime la compassione per l’altro. Quindi, lo sviluppo economico moderno ha molto a che vedere con le moderne azioni militari nel senso che entrambi includono uccisioni di massa e indiscriminate.
31 Questa è l’argomentazione di Acampora in varie pubblicazioni, per esempio in Extinction by Exhibition: Looking at and Inside the Zoo [in:] Human Ecology Review, vol.5, no. 1, 1998, 1-4.
32 K. Davis, Procrustean Solutions to Animal Identity and Welfare Problems
[in:] Critical Theory and Animal Liberation. Ed. J. Sanbonmatsu. Plymouth: Rowman & Littlefield Pubishers, Inc. 2011, 41, enfasi mia.
33 Ch. Patterson, Eternal Treblinka. Our Treatment of Animals and the Holocaust. New York: Lantern Books 2002. Tristemente, persino uno scrittore e pensatore capace come Patterson qua e là separa l’umanità dal regno animale. Di sicuro, sembra farlo proprio nel titolo del suo altrimenti prezioso libro. A suo credito, tuttavia, va detto che affronta la materia estremamente controversa di stabilire un paragone tra olocausti, muovendosi all’interno del delicato terreno nel quale la sofferenza degli Ebrei, Rom, Polacchi etc. tende ad essere sacralizzata, estetizzata e depoliticizzata.
34 ibid., 7.
35 ibid.
36 Zerzan suggerisce che l’addomesticamento di altri animali, o piante peraltro, non fu incontestato. Dice che di fatto “le testimonianze archeologiche in tutto il mondo dimostrano che molto gruppi umani provarono l’agricoltura e/o la pastorizia e poi li abbandonarono, ritornando alle più affidabili strategie della ricerca del cibo e della caccia. Altri rifiutarono per generazioni di adottare le pratiche di addomesticamento dei confinanti.” Vedi J. Zerzan, Twilight of the Machines, Port Townsend, Washington: Feral House 2008, 107-8.
37 Patterson, Eternal Treblinka … , 8-10.
38 La discussione di Barbara Noske sull’addomesticamento animale lo rappresenta come un fenomeno complesso, che coinvolge reversibilità e gradualismo. Scrive, ad esempio, che “Soltanto in numero relativamente basso le domesticazioni sono sopravvissute fino ai tempi moderni. Ciononostante, vi è la tendenza a considerare la relazione di domesticazione come una sorta di culmine evoluzionistico: come se, una volta che una specie sia stata addomesticata, resti in tale stato per sempre. Questo punto di vista corrisponde molto poco alla realtà storica.” Vedi B. Noske, Beyond Boundaries. Humans and Animals. Montréal /NY/London: Black Rose Books 1997, 5-6. Eppure, io concorderei con Patterson che le narrazioni dell’addomesticamento troppo spesso evitano ogni cenno alla coercizione implicita o esplicita, elementi che, anche se in gradi differenti, devono essere stati presenti nella maggior parte, se non in tutti, i casi di addomesticamento.
39 Citato in Patterson, Eternal Treblinka … , 25.
40 Malcolm X, The Autobiography … , 208.

The ‘Bitch’ Manifesto

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The BITCH Manifesto, ovvero il Manifesto ‘Cagna’, è stato scritto da Joreen nell’autunno del 1968.

L’abbiamo pubblicato su FaS nel mese di gennaio di quest’anno, tradotto per la prima volta in italiano. Ultimamente abbiamo felicemente saputo che stralci di questo testo sono stati letti alla prima Slut Walk che si è (finalmente) tenuta in Italia, lanciata dalle Ribellule: vedere il proprio lavoro militante valorizzato e apprezzato ripaga della fatica. Mentre però Le Ribellule hanno citato la fonte, in altri ambiti e blog ha iniziato a circolare, intero o a stralci, senza alcun riconoscimento.

Se così è, non ci stupiamo.  Pare essere, quello dell’appropriarsi dei contenuti – che è ben altra cosa dalla condivisione, che invece è sempre auspicabile – un vizio molto italiano.

Ci è purtroppo capitato già diverse volte. Vedere i propri contenuti video, le proprie traduzioni, ripubblicate senza citare la fonte è umanamente avvilente (e fa proprio inc..zare). Detto questo, siamo felici che le idee circolino!

Ai vampirelli là fuori vorremmo soltanto far sapere che quasi sempre sappiamo chi sono e che ci fanno proprio una mesta figura… un comportamento da veri mediattivist*!

Buona lettura!

Il manifesto ‘CAGNA’ di Joreen

Scritto nell’autunno del 1968, questo articolo è stato pubblicato in Notes from the Second Year, edito da Shulamith Firestone e Anne Koedt, 1970. E’ stato poi ristampato come opuscolo da KNOW, Inc., ed in diversi altri libri.

‘… l’uomo è definito come essere umano e la donna come femmina: ogni volta che si comporta da essere umano si dice che imita il maschio.’ Simone de Beauvoir

CAGNA è un’organizzazione che ancora non esiste. Il nome non è un acronimo. Sta a significare esattamente quello che sembra.
CAGNA è formata da Cagne. Esistono molte definizioni di cagna. La definizione più gentile è quella di cane di sesso femminile. Le definizioni delle cagne che sono anche ‘homo sapiens’, sono difficilmente così oggettive. Variano da persona a persona, e dipendono in larga misura da quanto si consideri cagna colei che utilizza questa definizione. Tuttavia, tutti convengono sul fatto che una cagna sia sempre una femmina, cane, o altro.
Inoltre, è idea comunemente accettata che una Cagna sia aggressiva, e quindi poco femminile (ehm!). Può essere sexy, e in questo caso diventa una Dea Cagna, un caso particolare che qui non ci interessa. Ma non è mai una “vera donna”.
Le Cagne hanno alcune o tutte delle seguenti caratteristiche:

1) Personalità. Le Cagne sono aggressive, assertive, autoritarie, prepotenti, risolute, malevole, ostili, dirette, schiette, sincere, odiose, dalla pellaccia dura, testarde, cattive, dogmatiche, competenti, competitive, invadenti, fanfarone, indipendenti, ostinate, esigenti, manipolatrici, egoiste, ambiziose, realizzate, travolgenti, minacciose, paurose, altere, tenaci, sfacciate, maschili, chiassose e turbolente. Tra le altre cose. Una Cagna occupa un sacco di spazio mentale. Sai sempre quando ne hai una intorno. Una Cagna non prende merda da nessuno. Può non piacerti, ma non puoi ignorarla.
2) Corporeità. Le Cagne sono grosse, alte, forti, grandi, potenti, esuberanti, dure, goffe, impacciate, tentacolari, stridule, brutte. Le Cagne muovono il proprio corpo liberamente invece di limitare, definire e confinare i propri movimenti in ‘maniera femminile’. Salgono le scale rumorosamente, avanzano a grandi passi quando camminano e non si preoccupano di come mettono le gambe quando si siedono. Hanno la voce alta, e spesso la usano. Le Cagne non sono graziose.
3) Orientamento. Le Cagne ricercano rigorosamente la propria identità in sé stesse e in quello che fanno. Sono soggetti, non oggetti. Possono avere un rapporto con una persona o un’organizzazione, ma non ‘sposano’ mai qualcuno o qualcosa: un uomo, un palazzo o un movimento. Perciò le Cagne preferiscono pianificare la propria vita piuttosto che vivere giorno per giorno, azione per azione, o persona per persona. Sono tipe indipendenti e credono di essere in grado di fare tutto ciò che dannatamente vogliono. Se qualcosa si mette sulla loro strada: beh, è quello il motivo per cui diventano Cagne. Se si realizzano nella professione, cercheranno la carriera e non avranno paura di competere con chiunque. Se non sono interessate alla professione, cercheranno in ogni caso l’ auto-espressione e l’auto-realizzazione. Qualunque cosa facciano, vogliono un ruolo attivo e sono spesso percepite come prepotenti. Spesso dominano le altre persone, quando non possono ricoprire altri ruoli che sublimino in modo più creativo le loro energie e le loro capacità. Spesso sono accusate di prepotenza quando si comportano in maniere considerate naturali per un uomo.

Una vera Cagna è autodeterminata, ma spesso il termine “cagna” viene utilizzato con minor discernimento. E’ una deroga popolare utile a schiacciare e ridurre al silenzio le donne considerate arroganti, creata dall’uomo e adottata dalle donne. Come il termine “negro”, “cagna” ha la funzione sociale di isolare e screditare una categoria di persone che non si conformano ai modelli di comportamento socialmente accettati.
CAGNA non usa questa parola in senso negativo. Una donna dovrebbe essere orgogliosa di dichiararsi una Cagna, perché ‘Cagna è bella’. Dovrebbe essere un atto di affermazione di sé e non di negazione da parte di altri. Non tutt* possono qualificarsi come Cagna. Non sono necessari tutti i suddetti requisiti, ma bisognerebbe essere in possesso di almeno due di loro per essere considerata una Cagna. Se una donna li possiede parzialmente tutti e tre è una ‘Cagna delle Cagne’. Supercagne sono quelle che posseggono totalmente e completamente i requisiti delle tre categorie, e di queste ce ne sono poche. La maggior parte di loro non dura a lungo in questa società.
La caratteristica più notevole di tutte le Cagne è che violano brutalmente le comuni concezioni di comportamento sessuale appropriato. Le violano in modi diversi, ma tutte loro le violano. Il loro atteggiamento verso sé stesse e gli altri, i loro orientamenti, il loro stile personale, il loro aspetto e il modo di gestire il proprio corpo, urtano le persone e le fanno sentire a disagio. Talvolta in maniera consapevole, a volte no, ma la gente in generale si sente a disagio con le Cagne. Le considerano aberrazioni. Trovano il loro stile inquietante. Così creano una discarica per tutte coloro che considerano maligne e le chiamano donne frustrate. E frustrate possono esserlo, ma la causa è sociale, non sessuale.
Ciò che è inquietante in una Cagna è che è androgina. Integra in sé le qualità tradizionalmente definiti come “maschili” con quelle “femminili”. Una Cagna è schietta, diretta, arrogante, a volte egoista. Non ha simpatia per le vie indirette, sottili e misteriose dell’ “eterno femminino”. Disprezza la vita vicaria considerata naturale per le donne, perché vuole vivere una vita tutta sua.
La nostra società ha definito l’umanità come maschile, e il femminile è ciò che è ‘altro da maschile’. In questo modo, le femmine possono essere umane solo vivendo indirettamente attraverso un maschio. Per poter vivere, una donna deve accettare di servire, onorare e obbedire un uomo, e quello che ottiene in cambio è nella migliore delle ipotesi una vita fantasma. Le Cagne si rifiutano di servire, onorare e obbedire a nessuno. Vogliono essere persone integre e attive, non semplici fantasmi. Vogliono essere donne e persone. Questo le rende contraddizioni sociali. La mera esistenza delle Cagne nega l’idea che la realtà di una donna debba passare attraverso la relazione con un uomo e sfida la convenzione che vede le donne come perpetue bambine, da tenere sempre sotto l’altrui guida.
Pertanto, se presa sul serio, una Cagna è una minaccia per le strutture sociali che tengono le donne schiave, e i valori sociali che giustificano il mantenimento delle donne ‘al proprio posto’. E’ la testimonianza vivente del fatto che l’oppressione della donna non deve esistere per forza, e come tale solleva dubbi sulla validità di tutto il sistema sociale. Poiché è una minaccia, non viene presa sul serio. Viene invece derubricata come ‘deviante’.Gli uomini creano una categoria speciale per lei, in cui viene definita almeno parzialmente come umana, ma non come donna. Nella misura in cui si riferiscono a lei come essere umano, si rifiutano di relazionarsi a lei come ad un essere sessuale. Le donne sono ancor più minacciate da lei, perché non possono dimenticare che è una donna. Hanno paura di identificarsi troppo con lei. Ha una libertà e un’indipendenza che le invidiano, e le sfida ad abbandonare la sicurezza delle proprie catene. Né gli uomini né le donne sono in grado di affrontare la realtà di una Cagna, perché farlo li costringerebbe ad affrontare la propria marcia realtà. E’ pericolosa. Così la liquidano come strega. Questa è la radice della sua stessa oppressione come donna. Le Cagne non sono oppresse solo in quanto donne, ma anche per non essere ‘come le donne’. Perché ha insistito per essere prima umana che femminile, di essere fedele a sé stessa prima di inchinarsi alle pressioni sociali, una Cagna cresce da outsider. Anche da ragazze, le Cagne violano i limiti del comportamento sessuale considerato accettabile. Non si identificano con le altre donne e poche hanno avuto la fortuna di avere un Cagna adulta come modello. Hanno dovuto disegnare la propria strada, e le insidie di questo percorso inesplorato ha contribuito in egual misura alla loro incertezza e alla loro indipendenza. Le Cagne sono ottimi esempi di come le donne possano essere abbastanza forti da sopravvivere anche alla socializzazione rigida e punitiva della nostra società. Da ragazze non ha mai del tutto attecchito nella loro coscienza l’idea che le donne dovrebbero essere inferiori agli uomini, in qualsiasi ruolo differente da quello di madre/compagna. Affermavano sé stesse già da bambine, e non hanno mai realmente interiorizzato lo stile servile, tutto moine e lusinghe, definito ‘femminile’. Alcune Cagne erano ignare delle consuete pressioni sociali, e alcune vi hanno resistito ostinatamente. Alcune hanno sviluppato uno stile femminile esclusivamente a livello epidermico, mentre altre sono rimaste maschiacci anche oltre i limiti temporali in cui tale comportamento viene tollerato. Tutte le Cagne hanno rifiutato, nella mente e nello spirito, di conformarsi all’idea che esistano dei limiti a ciò che possono essere e fare. Non hanno messo limiti alle proprie aspirazioni o alla propria condotta.
Per questa resistenza sono state duramente condannate. Sono state ridotte al silenzio, snobbate, derise,chiacchierate, schernite e ostracizzate. La nostra società ha reso le donne schiave e poi le ha condannate per il loro agire da schiave. È stato compiuto in modo molto sottile. Poche persone erano così dirette da affermare che le Cagne non piacevano loro perché non si conformavano ai giochi di ruolo sessuali.
In realtà, pochi erano certi del perché non gli piacessero le Cagne. Non si rendevano conto che era proprio la violazione (delle Cagne) della struttura fissata della realtà a mettere in pericolo la struttura stessa. In qualche modo, sin dalla prima infanzia, alcune ragazze non si conformavano ai modelli e diventavano perciò ottimi bersagli di scherno. Ma poche persone riconoscevano consapevolmente la radice dell’antipatia che provavano. Il problema non venne mai affrontato. Se se ne parlava, era fatto con commenti malevoli alle spalle di qualche ragazza. Alle Cagne veniva fatto capire che c’era qualcosa di sbagliato in loro. Qualcosa di intimamente sbagliato.
Le ragazze adolescenti sono particolarmente feroci nel gioco capro espiatorio. Questo è il momento della vita in cui alle donne viene insegnato che devono competere per il bottino più ambito (cioè gli uomini) che la società consente loro. Devono perciò affermare la propria femminilità o vedersela negata. Sono molto insicure di sé e adottano perciò quella rigidità compagna dell’incertezza. Sono spietate con le concorrenti e ancora di più con coloro che rifiutano di competere. Quelle di loro che non condividono tali preoccupazioni e non praticano l’arte dell’affascinare gli uomini, sono escluse dalla maggior parte delle occasioni di socialità. Se non se ne fosse avveduta prima, è in questi anni che una Cagna apprende di essere diversa.
Crescendo capisce meglio il motivo della propria differenza. Al momento di ricoprire posti di lavoro o partecipare a organizzazioni, le Cagne sono raramente soddisfatte di starsene in silenzio e fare ciò che viene detto loro. Una Cagna ha una mente tutta sua e vuole usarla. Vuole eccellere, essere creativa, assumersi responsabilità. Sa di esserne in grado e vuole usare le proprie capacità. Questo non è piacevole per gli uomini per cui lavora, cosa che del resto non è il suo obbiettivo primario. Quando si scontra con l’incrollabile muro dei pregiudizi sessuali, non si conforma. Si annienterà piuttosto, a furia di scontrarsi contro quel muro, perché non può accettare il ruolo, scelto da altri per lei, di ausiliaria. Di tanto in tanto riuscirà ad aprire un varco. Utilizzerà il proprio ingegno per trovare una scappatoia, o ne creerà una. Spesso è dieci volte meglio di chiunque altro competa con lei. E’ anche disposta ad accettare meno del dovuto. Come altre donne le sue ambizioni sono state spesso offuscate, e nemmeno lei è del tutto sfuggita all’etichetta di inferiorità posta sul “sesso debole”. Spesso accetterà la soddisfazione di essere colei che decide da dietro le quinte – a condizione di avere reale potere – e razionalizzerà il fatto di non desiderare davvero il riconoscimento che ottiene chi davvero siede sul trono. Poiché è stata schiacciata per la maggior parte della vita, per il fatto di essere una donna e di non essere una vera donna, una Cagna non sempre riconoscerà che ciò che ha raggiunto non è raggiungibile dalla donna comune. Una Cagna altamente competente spesso sminuisce sé stessa, rifiutando di riconoscere la propria superiorità. Suole dire che è nella media o anche meno; se lei può farlo, chiunque può.
Da adulte, le Cagne possono aver imparato il ruolo femminile, almeno per quanto concerne lo stile esteriore, ma vi si trovano raramente a proprio agio. Ciò è particolarmente vero per quelle donne che sono fisicamente Cagne. Vogliono liberare i propri corpi e le proprie menti, e deplorano lo sforzo che devono fare per limitare i propri movimenti o per interpretare il ‘proprio ruolo’ al fine di non disgustare le altre persone. Inoltre, dal momento che violano fisicamente aspettative riguardanti i ruoli sessuali,non sono così libere di violarle psicologicamente o intellettualmente. Un numero limitato di deviazioni dalla norma possono essere tollerate, ma troppe sono decisamente minacciose. È già troppo oltre non pensare come una donna, non parlare come una donna o non fare quelle cose che si suppone le donne facciano. Non apparire come una donna, muoversi come una donna o agire come una donna è inaccettabile. La nostra è una società rigida fatti di limiti angusti posti a misura della diversità umana. Le donne in particolare, sono definite dalle proprie caratteristiche fisiche. Le Cagne che non violano questi limiti sono più libere di violarne altri. Le Cagne che li violano per stile o dimensioni possono sentirsi un po’ invidiose di quelle che non devono limitare in maniera così notevole l’espansività della propria personalità e comportamento. Spesso queste Cagne vengono torturate maggiormente perché la loro devianza è sempre evidente. Ma trovano anche una compensazione, poiché essendo Cagne grandi e grosse hanno molte meno difficoltà ad essere prese sul serio rispetto alle donne di piccole dimensioni. Una delle fonti della loro sofferenza come donne è anche una fonte della loro forza.
La prova del fuoco, che la maggior parte delle Cagne affronta durante la crescita, le crea o le distrugge. Sono lacerate come corde tese fra due poli, l’essere fedeli alla propria natura o essere accettate come esseri sociali. Questo le rende persone molto sensibili, ma è una sensibilità che il resto del mondo ignora. Poiché esteriormente hanno spesso sviluppato una spessa callosità difensiva che può farle sembrare dure e amare, a volte. Ciò è particolarmente vero per quelle Cagne che sono state costrette a isolarsi al fine di evitare di essere rimodellate e poi distrutte dai propri coetanei. Coloro che invece hanno avuto la fortuna di crescere con compagni a loro simili, con genitori comprensivi, uno o due buoni modelli e una volontà molto forte, possono evitare alcuni degli aspetti peggiori dell’essere una Cagna. Dopo aver subito una punizione psicologica più blanda per il fatto di essere state quello che sono, possono accettare la propria differenza con la facilità che viene dalla fiducia in sé stesse.
Coloro che hanno dovuto fare tutto da sole hanno un percorso incerto. Alcune, finalmente, si rendono conto che il loro dolore non deriva solo dal loro non essere conformi, ma dal loro non voler conformarsi. Da ciò deriva la consapevolezza che non ci sia nulla di particolarmente sbagliato in loro, semplicemente non possono adattarsi a questo tipo di società. Molte, infine, imparano a isolarsi da un ambiente sociale così duro. Tuttavia, anche questo ha il suo prezzo. A meno che non siano prudenti e consapevoli, la sicurezza ottenuta in questo modo doloroso – senza supporto dalle proprie sorelle – è più spesso una forma di arroganza. Le Cagne possono diventare così indurite e callose che le loro ultime vestigia di umanità restano sepolte nel profondo e quasi distrutte.
Non tutte le cagne ce la fanno. Alcune, al posto di callosità, sviluppano ferite aperte. Invece di sicurezza, sviluppano una malsana sensibilità al rifiuto. Apparentemente forti esteriormente, dentro sono una poltiglia sanguinolenta, scorticate dalle frustate verbali continue che hanno dovuto sopportare. Sono Cagne incattivite. Spesso vanno in giro piene di risentimento e deviano la propria forza in rappresaglie improduttive, quando qualcuno le sfida a piantarla. Queste Cagne possono essere odiose, perché non si fidano mai realmente delle persone. Non hanno imparato a usare la propria forza in modo costruttivo.
Le Cagne che sono state mutilate come esseri umani, rivolgono spesso la propria furia su altre persone – in particolare su altre donne. Questo è uno degli esempi di come le donne siano addestrate a tenere sé stesse e le altre donne al loro posto. Le Cagne non sono meno colpevoli delle altre donne quando si parla di odio di sé stesse e di odio di gruppo, e quelle incattivite subiscono il peggio di entrambe queste afflizioni. Tutte le Cagne fungono da capri espiatori, e quelle che non sono sopravvissute alle continue sfide psicologiche diventano il bersaglio del disprezzo di tutti. Come gruppo, le Cagne sono trattate dalle altre donne allo stesso modo in cui le donne sono trattate in generale dalla società – tutto bene quando stanno al ‘proprio posto’, buone da sfruttare e come oggetto di pettegolezzi, in caso contrario devono essere ignorate o schiacciate. Minacciano la posizione della donna tradizionale, ma sono anche un gruppo di paria a cui costei può sentirsi superiore. La maggior parte delle donne si sentono sia migliori che gelose delle Cagne. Mentre si rassicurano per il fatto di non essere come queste streghe aggressive e mascoline, hanno il lieve sospetto che forse gli uomini, la cosa più importante della loro vita, trovino una Cagna libera, assertiva e indipendente preferibile come donna.

Le Cagne, allo stesso modo, non si preoccupano troppo delle altre donne. Crescono provando antipatia per le altre donne. Non riescono a relazionarsi con loro, non ci si identificano, non hanno nulla in comune con loro. Le altre donne hanno rappresentato la norma a cui loro non sono riuscite a conformarsi. Respingono perciò coloro che le hanno respinte. Questa è una delle ragioni per cui le Cagne che riescono a superare gli ostacoli posti davanti a loro dalla società, disprezzano le donne che non ci riescono. Tendono a pensare che la fortuna aiuti gli audaci. La maggior parte delle donne sono state le agenti dirette di gran parte della merda che le Cagne hanno dovuto sopportare e poche, di entrambi i gruppi, hanno la coscienza politica di capire il perché di tutto questo. Le Cagne sono stati oppresse da altre donne quanto, se non di più, che dagli uomini e l’odio espresso dalle altre donne è solitamente perfino maggiore.
Le Cagne sono spesso a disagio con le altre donne, anche perché di solito le altre donne sono percepite meno simili a loro – a livello psicologico – rispetto agli uomini. Le Cagne non amano particolarmente le persone passive. Hanno sempre un po’ paura di rompere le cose fragili. Le donne sono addestrate ad essere passive e hanno imparato ad agire in questo modo, anche quando non lo sono. Una Cagna non è molto passiva e non si sente a suo agio ad agire quel ruolo. Ma di solito non ama neanche essere prepotente – sia che si tratti di avversione naturale al dominio sugli altri, o di paura di sembrare troppo maschile. Perciò una Cagna può rilassarsi ed essere la sé stessa (non passiva) che è, senza preoccuparsi di ferire qualcuno, solo in compagnia di coloro che sono forti come lei. Questo accade più spesso in compagnia degli uomini che delle donne, ma quelle Cagne che non hanno ceduto totalmente all’odio di sé si sentono davvero a proprio agio solo in compagnia di altre Cagne. Queste sono le sue vere compagne e le uniche con cui non deve interpretare qualche ruolo. Solo con le altre Cagne una Cagna può essere veramente libera.

Sono momenti rari. La maggior parte del tempo le cagne rimangono psicologicamente isolate. Le donne e gli uomini sono così minacciati da loro e reagiscono in modo così negativo che le Cagne proteggono sé stesse con attenzione. Sono sospettose di quelle poche persone a cui pensano di poter dare fiducia, perché troppo spesso si rivelano buchi nell’acqua. Ma in questa solitudine è celata una forza e dal loro isolamento e dalla loro amarezza originano contributi che le altre donne non realizzano. Le Cagne sono le meno celebrate degli eroi meno celebrati in questa società. Sono pioniere, avanguardie, punte di diamante. Sia che desiderino o meno ricoprire questo ruolo, lo realizzano essendo semplicemente sé stesse. Molte non sceglierebbero consapevolmente di essere le antesignane per quella massa di donne per le quali non nutrono sentimenti di sorellanza, ma non possono evitarlo. Coloro che violano i limiti li ampliano, o causano falle nel sistema.
Cagne sono state le prime donne ad andare all’Università, le prime a rompere il soffitto di cristallo delle professioni, le prime rivoluzionarie sociali, le prime sindacaliste, le prime capaci di organizzare altre donne. Perché non erano esseri passivi e hanno agito spinte dal risentimento di essere schiacciate, hanno avuto il coraggio di fare quello che le altre donne non avrebbero fatto. Hanno subito l’artiglieria pesante e la merda che la società serve a coloro che vorrebbero cambiarla, e hanno aperto alle altre donne porte sul mondo che altrimenti sarebbero rimaste chiuse. Hanno vissuto ai margini. E da sole o con il supporto delle proprie sorelle hanno cambiato il mondo in cui viviamo.
Le Cagne sono, per definizione, esseri marginali di questa società. Non hanno un proprio posto e in ogni caso non lo occuperebbero anche se esistesse. Sono donne, ma non ‘vere donne’. Sono esseri umani, ma non di sesso maschile. Alcune non sanno nemmeno di essere donne perché non riescono a relazionarsi con le altre donne. Possono divertirsi a giocare un ruolo femminile alle volte, ma sanno che si tratta di un gioco. La loro maggiore oppressione psicologica deriva non dalla convinzione psicologica di essere inferiori, ma dal sapere di non esserlo. Così, gli è stato rinfacciato per tutta la vita di essere streghe. Naturalmente sono stati usati anche termini più gentili, ma il messaggio è comunque arrivato. Come alla maggior parte delle donne è stato insegnato loro ad odiare sé stesse e tutte le altre donne. In modi diversi e per ragioni diverse, forse, ma l’effetto è lo stesso. Interiorizzare un’idea di sé negativa si traduce sempre in una buona dose di amarezza e risentimento. Questa rabbia è di solito o rivolta contro di sé – rendendo una persona sgradevole, o su altre donne – rafforzando perciò gli stereotipi sociali. Solo attraverso la coscienza politica la rabbia viene rivolta all’origine del problema – il sistema sociale.

La maggior parte di questo manifesto ha parlato delle Cagne. Il resto riguarderà invece CAGNA. L’organizzazione non esiste ancora, e forse non esisterà mai. Le Cagne sono così dannatamente indipendenti e hanno imparato così bene a non fidarsi di altre donne che sarà difficile per loro imparare a fidarsi, anche tra di loro. Questo è ciò che CAGNA deve insegnare loro a fare. Le Cagne devono imparare ad accettarsi come Cagne e dare alle proprie sorelle il supporto di cui hanno bisogno per essere Cagne creative. Le Cagne devono imparare ad essere orgogliose della propria forza e orgogliose di sé stesse. Devono abbandonare l’isolamento che le ha protette e aiutare le loro sorelle più giovani ad evitarne i pericoli. Devono capire che le donne sono spesso meno tolleranti delle altre donne rispetto agli uomini, perché gli è stato insegnato a vedere tutte le donne come nemiche. E le Cagne devono formare un movimento per affrontare i problemi in maniera politica. Devono organizzare la propria liberazione così come tutte le donne devono organizzare la loro. Dobbiamo essere forti, dobbiamo essere militanti, dobbiamo essere pericolose. Dobbiamo renderci conto che ‘Cagna è bella’ e che non abbiamo nulla da perdere. Niente di niente.

Questo manifesto è stato scritto e revisionato con l’aiuto di alcune delle mie sorelle, a cui è dedicato.

(c) Copyright 1969

La malafede della zoofobia – parte I

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Traduzione de The bad faith of zoophobia, di K. Forkasiewicz.
La pubblicazione, data la lunghezza dell’articolo, sarà divisa in parti.
Grazie a Martina e Alice per aver condiviso con me l’impegnativo compito della traduzione!

Jean Paul Sartre, nella sua incisiva analisi dell’antisemitismo, solleva alcuni argomenti preziosi in riferimento alla costruzione dell’identità razzista come espressione di vita non autentica. Sia la persona che il concetto di ‘Ebreo’ servono all’antisemita come mezzi, al fine di sviluppare un meccanismo di difesa esistenziale radicato, per eccellenza, nella malafede. Quest’ultimo sceglie “la permanenza e impenetrabilità della pietra, la totale irresponsabilità di un guerriero che obbedisce ai propri capi – e non ha comandanti”(1).

L’antisemita è intrappolato in una condizione paradossale inconfessata. In effetti, ha disperatamente bisogno di ciò che più detesta, al punto che, se l’Ebreo non fosse esistito, “l’antisemita avrebbe dovuto inventarlo”(2). Un prodotto distorto dell’ideologia e del sentimento antisemita, l’Ebreo non è percepito nella sua realtà, per come è; è utilizzato in quanto pretesto, nulla di più. A quale fine, bisogna domandarsi? Leggi tutto “La malafede della zoofobia – parte I”

Vi presento Jes

Rivendicando lo sguardo: Jes Sachse e il potenziale trasformativo dell’osservare.

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Tutti amiamo guardare. Mentre l’atto di fissare è generalmente percepito come un atto da evitare o di cui vergognarsi, Rosemarie Garland-Thomson, studiosa di disabilità e women studies, afferma che lo sguardo, nella sua accezione migliore, ha in realtà il potenziale di creare nuovi significati e società più aperte. Lo sguardo, nell’accezione di Thomson, ha il potenziale per aiutarci a ridefinire il linguaggio che usiamo per descrivere noi stessi e gli altri, creare spazio per coloro che si trovano più spesso esclusi dalle comunità, e forgiare le nostre identità. Lo sguardo è più dinamico e produttivo quando il soggetto dello sguardo, la persona che viene guardata, è in grado di esercitare un certo controllo sull’interazione, e così facendo presentare la propria storia alla persona che guarda. Leggi tutto “Vi presento Jes”