Deconstructing il genio della lobby rosa

l43-india-donne-rosa-120731155613_big2 E’ da molto tempo che girano pseudo difensori del machismo – pseudo perché certo il machismo non ha bisogno di difensori, dato che purtroppo se la passa benissimo – i quali usano argomenti abbastanza comici; se non fosse che molti li prendono sul serio, o per specularci e ottenere visibilità, o per trovare confermate le proprie ipocrite certezze di maschione. Questo pezzo è un po’ vecchiotto ma ha il pregio di riassumere quasi tutte le posizioni “difensive” di questo particolare tipo di sessista, che non si può tanto tacciare di ignoranza perché ha evidentemente studiato, né di ipocrisia perché in fondo è molto coerente. E’ che proprio non ci arriva, perché tutto fa tranne che mettere in dubbio il piedistallo sul quale l’ha messo il patriarcato. E da lì si mette pure a fare il difensore della “questione maschile” – per come la intende lui: cioè gli uomini soffrono tanto perché tutto trama contro di loro, poverini. Statene a sentire la genialità.

Parità per gli uomini. Dentro il tabù della questione maschile [quando si dice che il titolo è tutto un programma…]

di Marco Faraci

Ideologia femminista e paternalismo maschile, gli alleati che non ti aspetti [effettivamente ci vuole una certa dose di coraggio. Me costui ce l’ha, state a vedere]. Così la “questione maschile” resta un territorio inesplorato dall’analisi politica; di più, la sensazione è che si tratti di un argomento intoccabile per chiunque intenda fare politica “sul serio” [una bella dichiarazione di modestia, che traduce in termini più aulici il classico del Marchese del Grillo: “io so’ io e voi nun sète un c…”. E vedrete che tanta presunzione non è spesa invano].

Nei fatti, dietro all’apparente neutralità del termine “pari opportunità”, si nasconde una visione unilaterale ed escludente dei temi di genere che troppe volte si riconduce a un mero sindacalismo femminile [Nei fatti: vedremo quanti ce ne saranno, di qui in poi. Ah, è chiaro che già questa frase contiene parecchie cosucce sbagliate a bella posta: pari opportunità non si capisce come potrebbe essere un termine neutrale, in una società smaccatamente patriarcale come questa; né si capisce come potrebbero essere escludenti, se sono pari, le opportunità. Poi, che caspita è il sindacalismo femminile? Ah, sì,  quella visione maschilista per cui le donne sono tutte unite contro l’uomo, per cui non ci sono differenze nel pensiero femminista, nelle organizzazioni femministe, nelle azioni politiche delle donne. Cose che, ammettiamolo, solo un uomo può arrivare a concepire.]. Non è solo sudditanza al politically correct [ah, beh, in Italia, noto avamposto della correctness politica, c’è proprio questa sudditanza, come no]; c’è anche quello naturalmente, ma da solo non basterebbe a giustificare l’unanimismo e il trasversalismo [ma sì, perché usare due banali aggettivi quando posso sostantivarli e trasformarli in un mostro? Non una cosa unanime, ma l’unanimismo; non una cosa trasversale, ma il trasversalismo. Manco Rambaldi li faceva, effetti così speciali] che si riscontrano sulla maggior parte delle “soluzioni” invocate dalla “lobby rosa” [la famosa, unica, potentissima, riconosciuta e universalmente nota lobby rosa. Chissà, forse pensa a Peppa Pig]. Probabilmente questa assenza di contraddittorio [AHAHAHAHAHAH, certo, la nota assenza di contraddittorio alla lobby rosa, che infatti in Italia spadroneggia e decide tutto lei, no? AHAHAHAH] si spiega con il fatto che, nello specifico della questione di genere, entrano in gioco fattori inibitori profondi, in qualche modo legati all’atavico dovere maschile di proteggere le donne [sì, avete letto bene: secondo questo genio della sociologia, la fantomatica lobby rosa comanda incontrastata perché gli uomini sono inibiti dalla loro devozione al ruolo di difensori delle donne. Quanta fantasia sprecata]. Si crea così, all’atto pratico [all’atto pratico, infatti finora il nostro ha snocciolato esempi, numeri, dati, ricerche, no?], una sostanziale convergenza tra ideologia femminista e paternalismo maschile [mi permetto: costui – tra le altre cose – non ha idea di cosa significhi paternalismo] verso esiti politici che istituiscono nella legge o nella prassi speciali tutele a favore del sesso femminile [eh beh, sì, ammettiamolo, di queste speciali tutele a favore del sesso femminile non se ne può più. Le donne sono le più occupate, hanno i lavori migliori, hanno pensioni superiori, hanno ospedali più efficienti, strade più pulite, quartieri più sicuri, automobili più veloci e tutti gli orgasmi che vogliono –  nella legge o nella prassi, sia chiaro].

Rispetto ad altri ambiti dove se ne percepisce l’obsolescenza [quali? Non ci viene detto, ovviamente], sui “temi di genere” resiste una lettura paramarxista dei rapporti sociali in termini di contrapposizione di classe [fosse pure vero, ma da parte di chi? Di tutti/e? Tutti/e paramarxisti/e? Sicuro sicuro sicuro?]. Gli uomini sono visti come la classe dominante e le donne come la classe subalterna [davvero? Spiegalo a questi altri geni qui, dài, voglio proprio vedere come fai] e si ritiene, pertanto, che una condizione di “giustizia” possa essere conseguita solo attraverso l’intervento dello Stato per forzare un riequilibrio di potere politico, economico e sociale [non so di cosa sia definizione quest’ultima frase, ma certo non delle famigerate “quote rosa”].  In realtà questa lettura dei rapporti tra i generi come oppressione di un sesso sull’altro appare molto artificiosa [certo, come no – sulla base di cosa appare molto artificiosa? Non viene detto, non sapremo neanche questo, però diciamolo lo stesso, macheccefréga]; obiettivamente è più ragionevole pensare che uomini e donne abbiano contribuito a sviluppare e a consolidare i ruoli sessuali tradizionali – entrambi al di là di tutto con vantaggi e svantaggi [certo, alle donne piacciono tanto i vantaggi decisi dall’uomo per loro. Capita che se si ribellano a questo schema rischiano di venire ammazzate; e vabbè, al di là di tutto la vita è un rischio, si sa] – semplicemente perché probabilmente per lungo tempo essi erano gli unici compatibili con la sopravvivenza della specie [ah, “quello che non è la natura!” (cit.). E’ così che il maschio medio si spiega lo status quo: è stata la natura, l’evoluzione della specie a decidere che il mio sesso conta di più, mentre l’altro sesso ha barattato il suo ruolo politico, economico e sociale per stare al sicuro a casa a lavare i piatti. Beh, sì, solo un bel maschione può arrivare a pensare che tutto ciò sia naturalmente conveniente per tutti e due i sessi].

La verità è che il game changer [lo ammetto, ho dovuto usare Google per sapere che vuol dire, però ci sono arrivato da solo a capire che ‘sto parolone sta lì solo per bellezza] nel rapporto tra uomini e donne – quello che poi ha dato il la a tutte le speculazioni teoriche successive – è stato il progresso tecnologico che nell’ultimo secolo e mezzo ha reso la produttività umana sempre meno dipendente dalla forza fisica e di conseguenza ha aperto la strada a una modifica sostanziale di equilibri che erano rimasti stabili nei secoli [capito che scherzo abbiamo combinato alla natura? Lei aveva fatto il maschio forte e la femmina debole, e andava benissimo così a tutti; noi con la tecnologia ci siamo permessi di scombinare questo equilibrio così perfetto. Perfetto per quello forte, ovviamente, ma questo il nostro genio ben si guarda dal dirlo]. È in questo contesto che si inseriscono la straordinaria evoluzione della condizione femminile, ma necessariamente anche molte importanti trasformazioni che riguardano gli uomini e il concetto di maschilità. Limitare l’analisi sociologica e politica alla questione dell’avanzamento delle donne è un approccio parziale che non fornisce una buona chiave di lettura della questione di genere nel suo complesso [lo sta dicendo uno che finora non ha avallato le sue panzane con un dato che sia uno, una ricerca che sia una, un minimo di base teorica o scientifica. Per ora ha solo detto che l’òmo c’ha più muscoli della donna e la tecnologia ha fatto un casino, cosa questa che quindi non sarebbe parziale ma una buona chiave di lettura della questione di genere nel suo complesso. L’importante è crederci].

Certo, non si può negare che le donne, nella società di oggi, sperimentino particolari difficoltà o che si riscontri una presenza relativamente inferiore di donne – rispetto agli uomini – in posizioni normalmente associate ai concetti di prestigio e di potere sociale [non si può negare, eh, quindi bisogna spiegarlo – oppure sostenere che non vuol dire niente. Secondo voi che farà il nostro genio?]. Tuttavia, ritenere che questi fattori rappresentino la misura di una condizione di complessiva minorità femminile, da contrastare attraverso l’azione politica, potrebbe essere un errore di valutazione [bravi, c’avete preso, “la seconda che hai detto” (cit.)]. In effetti per inquadrare correttamente le statistiche di genere su cui riposa la strategia offensiva del femminismo [il femminismo è notoriamente offensivo, si sa, nasce proprio come tattica politica offensiva, basta chiedere in giro che tutti lo sanno] è necessario fare due tipi di considerazioni [pensavate che si fermasse lì, eh? Ve l’ho detto che è un genio. Sentite qua].

In primo luogo, in molti casi la minore presenza femminile in determinate aree ha più a che fare con l’espressione delle preferenze personali delle stesse donne che con quello che a molti piace chiamare “discriminazione”. Basta osservare la demografia di genere delle varie facoltà universitarie (Ingegneria contro Psicologia, Lettere o Scienze della Formazione), i sondaggi sui lavori ideali sognati dalle neolaureate o le preferenze delle donne in termini di conciliazione famiglia-lavoro, per spiegare perché abbiamo più dirigenti di azienda uomini che donne. Naturalmente determinati comportamenti femminili sono correlati a determinati sottostanti culturali e sociali, ma non si può pensare di correggere a tavolino l’esito di una miriade di scelte individuali imponendo un’uguaglianza statistica dei punti di arrivo [Non ho voluto interrompere cotanta esibizione di sfrontata ipocrisia – o di evidente limitatezza di comprendonio, non so decidermi. Rimane il fatto che questo paragrafo è il classico esempio di come si scambia la causa per l’effetto. Lo fa apposta? Non se ne rende conto? Non lo so, né me ne po’ frega’ di meno. Comunque sì, avete letto bene: le donne non comandano perché non gli va di farlo, altrimenti avrebbero da tempo preferito altri studi, altri lavori. E’ fantastico, davvero].

La seconda considerazione riguarda il fatto che le statistiche di genere utilizzate dalla lobby rosa [la quale quindi, oltre a esistere, fornisce statistiche univoche, capito?] sono fortemente selettive e si concentrano solamente su quegli ambiti dove i numeri confermano la premessa ideologica. In realtà se, anziché guardare alla presenza nei consigli di amministrazione, esaminassimo una serie diversa di fattori potremmo addivenire a conclusioni molto diverse [Ci-gît Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il serait encore en vie“; ma aspettate, adesso viene il meglio, perché adesso finalmente fa un esempio]. Ad esempio se prendessimo in considerazione indicatori come il numero di carcerati, di morti sul lavoro, di suicidi, di vittime di incidenti o di persone senza dimora fissa, vedremmo come semmai risultino proprio i maschi – e non le donne – a conformarsi al tipico canone di classe subordinata [certo, perché carcerati, morti sul lavoro, suicidi, vittime di incidenti o persone senza dimora fissa sono in quella situazione per motivi di genere, no? Ma veramente ancora gira qualcuno che fa finta di non sapere che il femminicidio serve a identificare un preciso movente, e non il sesso della vittima?]. Gli uomini, a quanto pare, prevalgono numericamente sia nella parte più alta della società, che nella parte più bassa. Sono al tempo stesso i primi, ma anche gli ultimi [A parte che questo non dimostra niente sul femminicidio, come già detto, rimane il fatto che, appunto, le donne nelle statistiche non ci sono. Che sarebbe una delle cose che dovresti evitare di dire, se vuoi difendere il punto di vista maschilista. “Ci sei? Ce la fai? Sei connesso?” (cit.)]. In altre parole, la condizione maschile più che essere banalmente una posizione di maggior privilegio, è una posizione di maggiore esposizione sociale. [Eh, appunto: hai appena detto che, nei fatti, ci sono solo loro, ci sono solo gli uomini. E questo alle donne dovrebbe stare bene?] Sugli uomini grava una forte pressione sociale, legata al modello di ruolo tradizionale di breadwinner. Questo li induce alla competizione e al rischio e li conduce – secondo i casi della vita – al successo oppure al fallimento [sì, appunto, infatti è proprio il modello del breadwinner che non funziona, e molti femminismi lo dicono da un pezzo. Se continui a credere all’esistenza della lobby rosa, lo dimostri da solo che dici sciocchezze, amico mio, e manco te ne accorgi].

Ritenere un problema politico l’affermazione professionale di alcuni (troppi?) uomini e non le difficoltà e le tragedie di altri è evidentemente ingiusto [peccato che finora lo stia dicendo solo tu e la tua fantomatica lobby rosa. Guarda che la maggior parte dei femminismi ha ottime spiegazioni sociali per le difficoltà e le tragedie di altri, e indovina un po’ da chi mai potrebbero dipendere?]. È ormai tempo di rapportarci alla questione di genere in un’ottica finalmente inclusiva, riconoscendo la complessità e la vulnerabilità della condizione maschile e quanto essa sia profondamente influenzata dalle aspettative sociali e culturali [amore mio, molti femminismi lo fanno da parecchi decenni, ma tu che ne sai? Tu credi alla lobby rosa]. Porre l’attenzione sulla questione maschile non deve essere visto come una “reazione”; non si tratta di contestare il processo di emancipazione femminile, né di riportare indietro l’orologio della storia a un qualche passato perduto. Si tratta piuttosto di considerare che solo un percorso inclusivo può condurre al superamento del sessismo e che tale percorso richiede anche il riconoscimento e il superamento dei pregiudizi e delle discriminazioni contro gli uomini [sì, tutto molto bello, ma per esempio: smettere di credere alla lobby rosa? Che dici, cominciamo con questo, di pregiudizio?]. I fronti su cui sarebbe necessario muoversi sono molti; qui se ne citeranno solamente alcuni che presentano, in questo momento, una particolare valenza politica, culturale ed istituzionale [ancora esempi? Aiuto…].

Di particolare centralità appare la lotta alle quote e alle azioni positive, che sono uno dei pilastri del femminismo ideologico [ma quale cacchio sarebbe mai il femminismo ideologico? Basta, siamo nel 2014, lo vogliamo capire che “il” femminismo non esiste e non è mai esistito? Lo vogliamo capire che è un’etichetta per definire tantissime storie e pensieri diversi, spesso opposti, sulle questioni di genere?] ma allo stesso tempo rappresentano un vulnus alla concezione liberale del diritto. Non è accettabile che la politica possa permettersi di usare qualsiasi mezzo per perseguire un fine definito a priori. Ci sono dei valori e dei princìpi che dovrebbero essere ritenuti “pre-politici” e non negoziabili [certo, come la natura che ha fatto l’òmo forte e la donna debole, no?] – tra questi il principio della neutralità della legge rispetto a caratteristiche quali la razza o il sesso. Il fatto che il potere imponga che una persona ne scavalchi un’altra solo perché questo serve a soddisfare delle statistiche generali è un’offesa alla dignità dell’individuo [a me pare un’offesa all’intelligenza dell’individuo interpretare in questo modo le leggi che prevedono quote di genere, che invece dicono tutt’altro. Dovrebbe bastare saper leggere, ma non so se tra i “liberali” questa pratica è diffusa: basta usare Google tre secondi per arrivare a un buon materiale didattico universitario che spiega la faccenda. Ne cito un brano: “Le quote e le altre forme di azioni positive sono quindi un mezzo verso la parità di risultato. In questa prospettiva, le quote non sarebbero una discriminazione nei confronti degli uomini, ma piuttosto una compensazione per le barriere strutturali che le donne incontrano nel processo elettivo. Questo sistema pone l’onere del reclutamento non sulla singola donna, ma su coloro che controllano il processo di reclutamento politico”. Ovviamente si tratta di un file PPT prodotto dalla lobby rosa].

Ma anche leggi scritte in maniera neutra possono essere viziate in fase applicativa da un sessismo anti-maschile [Fase applicativa che sarebbe anche questa in mano alla lobby rosa, immagino]. Uno dei casi più rilevanti è quello delle norme sull’affidamento dei figli, in particolare in virtù del sostanziale tradimento, a livello di prassi applicativa, dello spirito della legge del 2006 sull’affido condiviso. Nelle condizioni attuali una separazione può comportare conseguenze distruttive per un padre, sia dal punto di vista del rapporto con i figli che dal punto di vista economico. Lo strabismo dei nostri tribunali è tale che è solo grazie alla correttezza della maggior parte delle donne che esiti di totale abuso nei confronti degli uomini non diventano la norma [non mi ci spreco neanche a parlare delle norme sull’affidamento dei figli perché c’è chi lo fa onestamente e senza ipocrisia da prima e meglio di me. Ma notate che è grazie alla correttezza della maggior parte delle donne che… Allora? ‘Sta lobby rosa funziona o no? Ma per favore].

Infine, particolare importanza ha la necessità di contrastare, con forza, politiche di colpevolizzazione collettiva del sesso maschile [io ho sentito sempre e solo i maschilisti ripetere questa solfa che qualcuno accusa tutto il genere maschile. Anche qui dovrebbe bastare saper leggere per notare che non esiste alcuna corrente femminista – tra quelle seriamente proposte, ovviamente – che s’è mai sognata di accusare indistintamente tutto il genere maschile. Figuriamoci se esistono addirittura politiche di colpevolizzazione collettiva del sesso maschile. Da parte di quale partito, di quale organizzazione? Un esempio, un link? Niente]. Se si ripete spesso, specie a sinistra, che “la violenza non ha razza”, allora non è in alcun modo accettabile che si attribuisca alla violenza un sesso e che le campagne di sensibilizzazione sul tema siano espresse in termini sessuati e generalizzanti [e capirai, a sinistra s’è arrivati a dire che i morti fascisti sono uguali ai morti partigiani, figuriamoci. Notate che questa seconda frase passa dalle “cose” alla “comunicazione delle cose”, come se fossero termini equivalenti. E’ che gli serve per sparare la prossima].  In questo senso la campagna mediatica di questi mesi sul “femminicidio” è una campagna profondamente sessista [certo, come una campagna contro le frodi fiscali è discriminante nei confronti dei commercianti, no?], che rinfocola gli stereotipi di genere – anziché combatterli – quelli dell’uomo violento e prevaricatore e della donna innocente e naturaliter buona [di nuovo, questo è un noto stereotipo usato dai maschilisti: nessun femminismo s’è mai sognato manco di dire che la donna è innocente e naturaliter buona. Ma perché informarsi? Io sono maschio, quindi lo so, si sarà detto il genio]. È dunque una campagna moralmente sbagliata e culturalmente pericolosa [e certo, quella è culturalmente pericolosa; quella contro la fantomatica lobby rosa invece va bene], che deve essere confutata se ci stanno a cuore basilari princìpi di rispetto del diritto e delle persone.

In definitiva la sfida di portare il tema della “parità per gli uomini” nel dibattito è ambiziosa [no, è ipocrita, ma se tu c’hai quest’ambizione, fai pure], ma politicamente necessaria – la questione maschile è, prima di tutto, una questione di equità sociale e di diritti civili [che agli uomini sono da sempre negati, come voi tutti sapete bene]. Se non saremo in grado di coglierla pagheremo un prezzo molto alto nei prossimi anni in termini di disagio sociale degli uomini [porèlli, che brutta fine dopo secoli di sofferenze] e più in generale di avvelenamento dei rapporti tra i sessi [che invece da secoli vanno benissimo, no? Ma guarda tu ‘sta brutta lobby rosa che va a rovinare una tradizione tanto naturale e rispettosa: l’òmo comanda e protegge la donna, la quale obbedisce e si prende tutte le comodità di questa situazione].

Ve l’avevo detto, che è un genio.

Prima di tutto, l’onestà

SPOILER: questo articolo rivela inquietanti verità su Lorenzo Gasparrini. Se non volete saperle, non leggete ulteriormente!

E’ giusto, amici e amiche che mi leggete a milioni, è giusto. Siamo in un periodo turbolento per quanto riguarda il panorama politico e addirittura tragico dal punto di vista economico e sociale. E’ giusto essere onesti e trasparenti con voi, perché altrimenti tutta la fiducia che mi tributate, così numerosi, rimarrebbe solo il risultato di uno sterile esercizio di ipocrisia, da parte mia.

Devo spiegarvi come faccio a guadagnare così tanto da permettermi di scrivervi, come sapete, da un panfilo ormeggiato nel porto della mia isola, nei tropici centroamericani; come faccio a guadagnare così tanto da permettermi la casa che vedete in foto; come faccio a pagare le centinaia di informatori che mi tengono aggiornato su ciò che fanno e dicono i brutti e cattivi maschioni sessisti in giro per il mondo.

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Non crederete mica che sia tutto volontariato, no? Non penserete mica che io tolga il tempo alla mia famiglia, ai miei svaghi, al mio lavoro – quello “vero”, o presunto tale – per fare l’antisessista? Non sarete mica così ingenui da pensare che io vada nelle scuole, nelle associazioni, a fare lezioni e seminari gratis?

Ho approfittato anche troppo della vostra buona fede. E’ giusto che voi sappiate tutto, soprattutto che sappiate da dove vengano i milioni che guadagno dalla mia quotidiana lotta antisessista. Quindi, ecco qui di seguito l’organigramma completo delle strutture che coordinano il mio lavoro di antisessista, e che mi permettono di guadagnare i milioni di cui, come certamente avrete notato in questi anni, modestamente non faccio parola.

Esiste un’organizzazione internazionale, la Federazione Internazionale dei Combattenti Antisessisti (F.I.C.A.) della quale sono membro, e che coordina sia le attività logistico-territoriali della Confederazione Eversiva Paritaria Popolare Antisessista (C.E.P.P.A.) che le proposte ideologico-filosofiche dell’ente per la Distruzione Esemplare del Maschio (ente D.E.M., o D.E.M. ente, se preferite). La struttura che finanzia tutte queste attività è la Federazione Unica dei Finanziatori di Fronti Antisessisti (F.U.F.F.A.), che riceve a sua volta i rapporti incrociati sulle attività sociali dei nostri nemici maschioni di concerto dalle varie Cellule Antisessiste Zerbini (C.A.Z.) e dalle singole Volontarie Antisessiste GInocratiche Nate Eviratrici (V.A.GI.N.E.).

Ecco, in sintesi, spiegata la mia strabiliante potenza economica. Lo so, tutto ciò mi mette in una posizione troppo superiore – politicamente, economicamente, socialmente – rispetto al nemico maschione che, onesto e indefesso lavoratore, dispone di poco tempo, ancor meno soldi, e quindi si limita a produrre siti fake, chiacchiere sui forum, trollaggi vari. Sta a voi, milioni di amici e amiche lettori e lettrici, guidicare della mia condotta.

Questa è l’onestà che vi dovevo.

Deconstructing la zappa sui piedi

zappa2Del linguaggio di Mario De Maglie mi sono già occupato in passato, qui e qui. Adesso che torno a parlare di lui, mi pare il caso di premettere delle cose che ritengo importanti.
De Maglie coordina il Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti (C.A.M.) di Firenze, e solo per questo si meriterebbe un monumento, dato che lo fa in Italia. Però nel suo blog su “Il Fatto Quotidiano” online usa spesso un linguaggio, e degli argomenti, molto discutibili, e ancor più incredibili dato il lavoro che fa. Leggere per credere.

Autoconsapevolezza maschile, tra necessità ed opportunità

Partita ed in fase costituente l’esperienza di Diversa-Mente Molteplice, Riflessioni a Passo d’Uomo, nonostante le difficoltà di coinvolgere attivamente gli uomini, sono sempre più convinto dell’utilità dei gruppi di autoconsapevolezza maschile come luoghi nei quali si possa realizzare uno spazio di confronto e ascolto reciproco in merito ai piaceri e alle criticità dell’essere uomo e del proprio rapporto con il femminile [approvo e sottoscrivo. Il post potrebbe finire qui]. Nessuno ci ha istruito in proposito, a rapportarci con il proprio e l’altrui genere (non solo maschile e femminile), sembrerebbe cosa così naturale e spontanea da essere portati a pensare che non ci sia niente da imparare, ma, se ci soffermiamo sui rapporti di potere passati ed attuali e sulle conseguenze di questi ultimi, sembra chiaro che qualcosa decisamente non vada [soprattutto non va parlarne così. Se ci soffermiamo sui rapporti di potere passati ed attuali, ci accorgiamo che questa modalità di rapportarci con il proprio e l’altrui genere non è per niente così naturale e spontanea. E’ un dato di fatto che non solo non è vero che nessuno ci ha istruito, ma che si posso facilmente fare nomi e citare sistemi culturali e sociali che hanno ben istruito al maschilismo generazioni di uomini. Ci sono fior di studi in proposito, perché non dirlo chiaramente?].

La mia impressione è che, dopo un periodo di conquiste e di rivendicazioni da parte delle donne, che forse ha avuto il suo apice con i movimenti femministi negli anni 70 [forse?], almeno in termini di consapevolezza, siamo in una fase di stallo in cui si oscilla tra l’andare  poco più avanti o poco più indietro, senza che abbiano luogo grandi cambiamenti sull’impronta di quelli passati [EH? A parte che rimane da capire cosa c’azzecca la digressione sulla storia del femminismo, come sarebbe che dagli anni ’70 siamo in una fase di stallo? Scusate l’elenco di nomi, ma tanto per dire di cose fatte e dette dopo i ’70: Adrienne Rich, Monique Wittig, Angela Davis, Andrea Dworkin, Carol Gilligan, Riane Eisler, Donna Haraway, Teresa De Lauretis, Luisa Muraro… i primi che vengono in mente a me. E attualmente il femminismo è ancora, come sempre, un ribollire di forze e di esperienze politiche diverse. E queste sarebbero donne che oscillano tra l’andare  poco più avanti o poco più indietro, senza che abbiano luogo grandi cambiamenti sull’impronta di quelli passati?]. Questo penso possa essere dovuto anche (se non soprattutto) al fatto che la capacità di autoanalisi e di autodeterminazione del femminile arrivano ad un punto morto, se poi il maschile non comincia a fare altrettanto, smettendo di fare “concessioni”, ma riequilibrando il potere in modo consapevole ed autodeterminato [cioè, per far andare avanti il pensiero femminista servono gli uomini? De Maglie, “you can’t be serious” (cit). Una cosa è dire che gli uomini devono partecipare attivamente allo smantellamento del potere patrarcale per demolirlo davvero – e ci mancherebbe che non fossi d’accordo pure io; un’altra è sostenere che nel frattempo il femminismo s’è fermato perché senza l’òmo non si va da nessuna parte: scherziamo?].

Il maschile si trova spesso arrocato in una posizione difensiva che gli è poco utile, ma questo perché ha paura e se ha paura è perché si sente in pericolo, il pericolo di perdere il proprio stabilito ruolo (quanta inconsapevole fatica starci dentro!) [si può essere d’accordo su questo – a parte lo spesso: a me pare perlopiù che al maschile, nella maggior parte dei casi, non gliene frega niente della crisi del suo ruolo, perché è ancora avvertita in troppo pochi casi limite].

Faccio un esperimento ed invito i lettori a leggere i commenti che seguiranno a questo post da parte di molti uomini. Se questi saranno i soliti, in cui a contenuti dai toni equilibrati, anche se non necessariamente condivisibili, perché la libertà di opinione non è un optional, seguiranno una serie di commenti ai confini con l’insulto, la minimizzazione, la denigrazione verso l’autore o l’autrice, avrò evidenziato le problematiche di cui parlo. Cose viste e riviste per i blogger de Il Fatto Quotidiano che parlano di violenza e questioni di genere e che diventano facile  tiro al bersaglio dei soliti ignoti. [Sul commentatore medio dei blog de IFQ mi espressi anche io, e siamo d’accordo: ma questo che tipo di esperimento è?  A cosa serve farlo? Per dimostrare una posizione difensiva di un intero gruppo sociale bastano i commenti a un blog? De Maglie, sei sicuro di agire sensatamente verso la tua stessa credibilità? Io mi sono limitato a contarle, le risposte a un post, e a dividerle per risposta: mi pare il massimo che si possa fare. Con quali strumenti se ne può invece ricavare con certezza un atteggiamento sociale di massa? Se ci sono, non sarebbe il caso di parlarne prima?]

Ovviamente il lettore può non essere d’accordo con il contenuto di un post e decidere di commentarlo, ma, a seconda di come esprime il suo disaccordo, si evidenzia se e cosa smuove in lui, non di rado una rabbia mista ad indignazione difficile da comprendere per chi mostra di possedere  una certa sensibilità verso le nostre tematiche. Questo per fare un esempio legato alla vicina realtà per la quale scriviamo, il tutto è solo uno specchio del sociale e culturale nel quale siamo immersi [De Maglie, stai proponendo analisi psicologiche dai commenti a un post. Anche questo tuo modo di fare e di parlare a vanvera è solo uno specchio del sociale e culturale nel quale siamo immersi, temo, che è sintentizzabile in: fuffa. Ma tu coordini un CAM!!!].

Ben lieto di ricredermi, se i commenti saranno di diverso stampo.

Potersi permettere tra uomini di non dover parlare necessariamente di “figa”, “sesso”, “calcio”, “lavoro”, ma anche di donne, amore, passioni e tempo libero è un lusso che i gruppi di autoconsapevolezza maschile avvierebbero a trasformare in quotidianità. [Sì, ma detto in questo modo non si capisce il problema, che non è solo di ordine psicologico. Per la stragrande maggioranza degli uomini etero in Italia le donne sono “figa”, l’amore è “sesso”, la passione è “il calcio” e il tempo libero è un “lavoro”. E ci si trovano benissimo a parlarne tra loro, senza alcun  necessariamente ma molto naturalmente. E’ in gioco un ordine culturale che proprio il femminismo, sia prima che dopo i ’70, contrasta con tutte le sue forze. Fase di stallo? Ma per favore.]

La strada è ancora lunga, me ne accorgo perché sto imparando quanto sia arduo coinvolgere gli uomini, ma si comincia. I cambiamenti epocali hanno bisogno di epoche intere per stabilizzarsi, il prezzo della conquista. [E’ lunga sì, se il coordinatore di uno dei pochi centri per uomini maltrattanti presenti nel paese si esprime in questo modo. Sigh. Questo modo di fare e di esprimersi, a mio modestissimo parere, può solo sintetizzarsi con un “darsi la zappa sui piedi”.]

Per quanto il lavoro con gli uomini maltrattanti sia importantissimo – soprattutto in assenza sia di un livello politico accettabile di consapevolezza del problema della violenza di genere sia, conseguentemente, di strutture pubbliche adeguate – e tenendo conto che non mi sogno nemmeno di contestarne l’utilità, rimane il fatto che le dinamiche legate alla supposta paura di perdere il proprio ruolo egemone non dicono tutto del sessismo vigente, e non credo siano le migliori leve per chiedere agli uomini di parlare tra loro.

Per esempio, quando leggo un pezzo come quello che segue, scritto dal redattore di un quotidiano online come risposta alla giusta indignazione di una donna per l’ennesima pubblicità sessista, mi pare ovvio che il paradigma della perdita di potere è ancora ben lontano dallo spiegare la tranquilla strafottenza con la quale un uomo si permette atteggiamenti sessisti che, scritti nero su bianco, sono da ritenere socialmente molto più violenti di qualunque cosa possa commettere un uomo maltrattante nel suo ambito privato. Questa è violenza che passa tra chiunque legge l’articolo. Le botte si fermano a una o poche più vittime. Se si vuole fare qualcosa per una massa di uomini, la chiave è la cultura comune e non la psicologia del singolo.

“Ho visto il corpo femminile divenire un santuario”

[già il titolo mette paura]
Cara Enrica, nel tuo sfogo tu proponi una serie di giuste osservazioni, eccellentemente argomentate, ma è stato il finale a farmi pensare un bel po’. Concludi dicendo Io non ci sto a far passare il mio corpo come oggetto sessuale. Non ci sto.  Giustissimo, ma rifletti su una cosa: se la foto che ti ha fatto indignare esiste, è perché qualcuno l’ha fatta, ma anche perché una donna procace se l’è fatta scattare. [La colpa del sessismo è delle donne che lo permettono. Complimenti, Luca.] E perché se l’è fatta scattare? Per soldi, perché fa la modella, perché compra il pane e il latte facendosi scattare (anche) foto di quel tipo. È una scelta, deprecabile o meno, ma una scelta. Personale e sicuramente motivata. [Notoriamente, alle donne sono permesse, consentite e agevolate tutte le forme di lavoro; fare la modella è da sempre una libera scelta di una donna procace, no?] Il corpo è il primo strumento di cui ci avvaliamo per fare qualsiasi cosa [con questa bella frase il caro Luca mette insieme il gesto strumentale e lo sfruttamento lavorativo, ma sì, sono la stessa cosa, è tutto fatto col corpo] ed alcuni di noi, una minoranza, hanno un corpo così gradevole che suscita suggestioni tali negli occhi e nelle menti altrui da poterci guadagnare qualcosa. A volte molto [e certo, è il corpo che suscita suggestioni, mica esiste una cultura che ti insegna quelle associazioni e che ti inculca a cercarle, quelle suggestioni. E’ tutta natura].

Sono d’accordo sul fatto che ormai alcune pubblicità si riducono ad un bombardamento osceno teso a far cadere il gonzo di turno nella rete della bellona procace [notate: la responsbilità della trappola è della bellona procace, è lei che guadagna, mica l’agenzia, il produttore, il cliente dell’agenzia pubblicitaria, no no, loro non c’entrano niente] che vede per quei cortissimi e lunghissimi trenta secondi di durata media di uno spot, ma non sono d’accordo sull’appiattire tutto sul subconscio che assorbe le informazioni senza filtro [il subconscio? Quella c’ha le tette di fuori, ma quale subconscio!]. Esso è solo una parte della questione. Siamo noi stessi che, consciamente e non inconsciamente, moltissime volte ci lasciamo andare all’assimilazione passiva, perché siamo pigri e svogliati [si vabbè, ma noi stessi chi? Pure la bellona procace?]. L’inconscio lavora, ma lo spirito critico e l’umanità di ognuno possono lavorare altrettanto bene per farci essere persone capaci di valutare quello che vediamo e di rispettare chi abbiamo di fronte [certo, soprattutto dopo decenni di machismo pompato da tutti i media, da tutti i coetanei, da tutti gli ambienti quotidiani. Non sai che spirito critico che viene su, in una società sessista come questa].
Sono passati poco più di due mesi da quando ho visto uscire mia figlia dal corpo della mia compagna e ti posso dire che ho visto con questi occhi il corpo femminile divenire un santuario [ecco, appunto: il corpo femminile o è un santuario o è la bellona procace, o sante o puttane, siamo sempre lì, all’ABC del maschilismo] capace nello stesso tempo di manifestare una forza sovraumana e di creare una meraviglia.
Se non tutti gli uomini capiscono il rispetto che alla donna si deve, ti prego allora di essere clemente, nell’evoluzione delle capacità intellettive vi stiamo inseguendo, ma per prendervi ci vuole ancora un bel po’ [capito, Enrica? Praticamente Luca t’ha detto di aspettare, ancora non hai sofferto abbastanza, l’uomo ancora non c’è arrivato. T’ha fatto un buono: e che vuol dire?]

Allora: cosa distingue chi dice che il femminismo è fermo dagli anni ’70 da chi dice che il corpo femminile è un santuario? Cosa distingue chi dice che nessuno ha istruito gli uomini ai rapporti tra generi da chi dice che fare la modella è una scelta e che quindi la responsabilità di pubblicità sessiste è delle donne raffigurate?
Che cosa continua a far sì che chi ha i titoli e l’esperienza necessarie per fare antisessismo e parlarne come si deve, invece continui a darsi la zappa sui piedi?

Deconstructing quello (il giornalista) che ci prova

Formaggio provolone
Formaggio provolone

 Premessa: chiariamo bene che cos’è “La Nuova Sardegna”.

La Nuova Sardegna è il più diffuso quotidiano del nord Sardegna, fondato nel 1891 a Sassari da Giuseppe Castiglia ed Enrico Berlinguer, nonno dell’omonimo ex segretario del PCI.
Oltre che a Sassari ha redazioni a Cagliari, Nuoro, Olbia e Oristano e uffici di corrispondenza ad Alghero e Tempio Pausania.
Dal 1980 fa parte del Gruppo Editoriale L’Espresso.

Così Wikipedia. Quindi: parliamo di un giornale che esiste da più di un secolo e con i suoi bei nomi nella storia da mettere in vetrina. Non proprio carta straccia.
Poi dice che sono io che ce l’ho con i giornalisti. E’ vero, ma è molto riduttivo: perché se esce un articolo come questo sul sito di un quotidiano come La Nuova Sardegna, vuol dire non solo che il giornalista, ma anche il suo caposervizio, il caporedattore, il vice e il direttore non hanno idea di cosa sia il linguaggio sessista, di cosa vuol dire una cultura sessista, di cosa sia il minimo rispetto per le questioni di genere. E neanche chi si occupa – ammesso che lo faccia qualcuno – di mettere questi articoli nel loro sito. Sentite qua che meraviglia.

Ci prova con l’amica: condannato per violenza

[Ci prova con l’amica a me fa incazzare anche se solo sentito, figuriamoci come titolo di giornale. Ci prova è l’esatta espressione di un sessismo ormai abitudinario, arrivato a considerare le persone, specialmente le donne, attrezzi, strumenti, aggeggi da testare per vedere se fanno al caso nostro.]
A un cinquantenne di Ossi inflitti un anno e 4 mesi e 8mila euro di provvisionale. Aveva cercato di baciare la donna, prendendole una mano e portandosela alle parti intime [complimenti per la logica: provi a farti baciare da qualcuna forzandola a toccarti il pacco? Non c’è qualcosa che non va in questo sottotitolo? Non manca qualcosa? Ricordate anche questo, per ora: nel sottotitolo lei è la donna]

di Luigi Soriga [abbiamo il nome, casomai servisse un altro articolo del genere sappiamo a chi chiederlo]

SASSARI. Ci ha provato, gli è andata male [complimenti: le prime sette parole sono un giudizio sulla vicenda. Lui è stato sfortunato. Gli hanno dato galera e multa per sfortuna. Poverino, “ritenta, sarai più fortunato”], e ora si è beccato [si è beccato; ambisce al Pulitzer, il Soriga] un anno e quattro mesi di reclusione e una provvisionale di 8mila 500 euro. Mai si sarebbe aspettato di pagare uno scontrino [uno scontrino? Ma che linguaggio è?] così salato per le avance nei confronti di una sua parente [e chi se lo aspetterebbe? Normalmente per le avance nei confronti di una parente c’è un premio, no? Intanto, da donna è diventata parente]. Certo, il suo approccio non era stato dei più romantici [AH AH AH, che ridere]. Prima ha tentato un bacio, e lei ha girato la faccia dall’altra parte. Poi ha afferrato la mano della donna [è tornata donna] e l’ha portata sui suoi pantaloni, all’altezza delle parti intime. Lei si è divincolata, lo ha respinto, ha urlato. Al macho maldestro [notate, maldestro: se ne sottolinea la scarsa perizia, non la violenza o lo spregio totale della considerazione per l’altra persona, no: è maldestro, è buffo, fa ridere] non è rimasto che andare via con la coda tra le gambe. Forse sul momento non ha realizzato, ma quell’approccio sconsiderato per la legge si configura a tutti gli effetti come un reato sessuale [ma guarda un po’ cosa capita ai maldestri!]. La storia accade a Ossi, è il ferragosto del 2010. Lui è un autista di bus, sulla cinquantina. Lei è molto più giovane [e tanto vi deve bastare, lei non lavora, non è nulla, è solo molto più giovane]. I due sono cugini di secondo grado, tra loro c’è confidenza, tanto che la donna, in crisi con il marito, chiama l’amico per raccontare i suoi problemi coniugali. Parlano a lungo, lui le dice che il marito non la merita, che dovrebbe lasciarlo, e tra i due scatta un abbraccio affettuoso. A quel punto nella testa dell’uomo si accende la scintilla sbagliata [ricordatevi, è sempre la scintilla, lo scatto, il clic. Non c’è una cultura patriarcale, sessista, no no, è che tutti i maschi girano con una bomba nel cervello. Sono tutti bravi ragazzi]. Forse è convinto che la donna provi attrazione nei suoi confronti [notate: lui si convince che lei abbia qualcosa, lui continua a essere normale anche se ha la scintilla sbagliata], e ci prova con decisione. Si becca un due di picche clamoroso [“bella rigà, se vedemio àaa redazzione, c’ho da scrive de un due de picche clamoroso, anàca”] e viene cacciato di casa. Però si rende conto che la sua amica [già donna, poi parente, adesso è la sua amica] è molto scossa, e visto che il marito stava per rientrare in casa, lui gli va incontro e lo invita a bere qualcosa al bar. Quando poi rientra a casa la moglie si è calmata, e lui non si rende conto di nulla [notate: la mano sul pacco è causata da la scintilla sbagliata, ma l’acume e la premeditazione necessarie per l’accorta condotta, a evitare che il marito sappia subito tutto, non viene sottolineata. La scintilla dello stronzo non esiste]. La denuncia ai carabinieri non viene presentata subito. Solo che poi l’episodio non scivola sulla donna come se niente fosse. Lei ha un carattere fragile [il giornalista è anche perito psichiatra, e sentenzia che lei denuncia perchè è fragile, mica perché quel gesto è da denuncia, no no], comincia ad accusare un disagio psicofisico, stati d’ansia, insonnia. Un’altra donna magari avrebbe liquidato l’episodio con uno schiaffone e una valanga di insulti [le donne con le palle, vero Soriga? Invece questa ha un carattere fragile, sono quelle così che denunciano, poverette, basterebbe uno schiaffone, no? Soriga le sa tutte, facciamolo ministro per le Pari Opportunità]. Lei invece tiene dentro per un po’, dopodiché esplode. Prima si confida con una zia, poi con un po’ di titubanza, racconta tutto anche al marito. Lui la convince a presentare subito denuncia [lui la convince, che eroe, lei è così fragile]. E il 6 settembre la donna si presenta dai carabinieri di Ossi. I problemi psicologici vanno avanti nei mesi successivi, e lei si rivolge al proprio medico di base. Lui certifica, testuale: «Affetta da tentata violenza sessuale». Comincia anche il processo in tribunale e ieri il pm Giovanni Porcheddu è partito dalla pena di due anni, l’ha ammorbidita con le attenuanti generiche e la minor gravità per non aver consumato l’atto [devo commentare? No, vero?], e ha chiesto 1 anno e 4 mesi. L’avvocato di parte civile, Maria Francesca Lorusso, nella sua arringa ha ripercorso tutta la vicenda e ha chiesto la condanna dell’imputato. Il legale della difesa, Caterina Mureddu, invece ha chiesto la piena assoluzione perché il fatto non sussiste [qui il nostro giornalista non se la sente di dire la sua. E’ psichiatra, è giovanile, conosce donne che avrebbero dato sberle, ma su il fatto non sussiste non ha nulla da dire. Ancora complimenti]. Alla fine il giudice Marina Capitta, che presiede il collegio, ha deciso di confermare le richieste del pm. La tentata violenza sessuale [su donna giovane e fragile, mi raccomando] si paga cara: 1 anno e 4 mesi (con la condizionale perché incensurato), 8mila e 500 euro da corrispondere subito più l’ulteriore risarcimento da stabilire in sede civile.

Qui, per come la vedo io quello che ci prova è il giornalista. Prova a minimizzare, prova a scusare il colpevole, prova a far apparire lei come una mezza deficiente, prova a ridere di tutto. Ma no, non è vero, sono io che ho un problema, sono io che vedo (e leggo) una cultura sessista.

Basta il pensiero (deconstructing il Metodo Scanzi)

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Sono stato a lungo indeciso sul titolo da adottare per questo post. Di Andrea Scanzi in sé non me ne può fregare di meno, ovviamente, ma ha costruito un personaggio nella comunicazione talmente identificabile e noto che ormai solo a pronunciarne il nome potete vedere nei vostri interlocutori le smorfie di disgusto o l’aprirsi di un sorriso – ormai è nel mito, e pazienza se di questi tempi non abbiamo l’Olimpo ma il web e la TV. Rimane il fatto però che la sua retorica individua un metodo molto scorretto di argomentare e di proporre contenuti; un metodo vecchio come il cucco ma che ancora, stante l’ignoranza endemica accelerata dal ventennio berlusconiano, risulta vincente per fare proseliti, per attirare clic, per “convincere gli scettici”, per portare acqua al proprio mulino. Ve ne porterò due recenti esempi, più un altro in link. Mi scuso fin d’ora per la lunghezza – ma l’argomento la merita, credo.

Parlare del metodo retorico usato da Scanzi spero servirà a rendere intelligibile quest’uso della comunicazione anche in futuro e anche altrove: soprattutto spero che contribuisca a rendere meno automatica la lettura dei testi di figure di riferimento (una volta si diceva opinion leaders), in modo che prima possibile l’italiano medio perda il brutto vizio di essere d’accordo con X prima di leggere-controllare-criticare consapevolmente cosa ha detto X, e di insultare Y prima di leggere-controllare-criticare consapevolmente cosa ha detto Y. Dite che sono un illuso? Scrivo di questioni di genere in un collettivo transgenere in Italia, certo che sono un illuso.

Spero anche presto si diffonda una sana diffidenza per tutti quegli improvvisi salti di qualità fatti da sedicenti esperti di sessismo – quelli che “io lo so cos’è, ma per favore non perdiamo tempo” –  che usano così tanto la tecnica dell’empowerment su se stessi da ergersi in breve tempo a censori, distributori di giudizi, consiglieri, testimoni e custodi dell’unica e sola verità. Se a un certo punto qualcuno comincia a sentirsi particolarmente bravo e sapiente soprattutto sui giornali e in TV, è perché fa bene il suo lavoro sui giornali e sulla TV: cioè sa raccogliere pubblicità. L’esperienza si fa, prima di tutto, di persona e con le persone. Web, clic e like sono solo strumenti che hanno un prezzo.

Un ultimo chiarimento: non m’interessa né difendere Boldrini, né esaltarla, lo sa fare benissimo da sola. Stesso discorso per M5S, che non m’interessa attaccare o ridicolizzare – sono problemi loro.
A me interessa difendere la mia intelligenza, la mia libertà, la mia cultura, la mia capacità critica; non perché queste cose mi servano a fare politica, ma perché queste cose
sono la politica.

(1) Imu-Bankitalia: la vergogna della tagliola-Boldrini e una democrazia in agonia [ricordatevi il titolo del post, ci ritorneremo] 30 gennaio 2014

E’ davvero un bel momento per la democrazia italiana. Un’agonia conquistata a fatica. Svetta, per distacco, la Preside Boldrini [la Preside? Metodo Scanzi #1: usare un immaginario facile e ovvio per indirizzare una facile rabbia politica. Tutti siamo andati a scuola e tutti abbiamo sofferto per un* preside lontan* e autoritari*, no?]. Da ieri non è solo la donna con una voce che andrebbe vietata – come minimo – dall’Onu [Metodo Scanzi #2: la risata grossolana, la presa in giro alla Pierino. Boldrini ha una voce insopportabile, e chi nella vita non ha incontrato una donna dalla voce insopportabile?].
È anche la presidente che ha usato per prima la ghigliottina vile e orrenda contro le opposizioni [esiste da più di un decennio, lei l’ha usata per prima perché fa parte del suo lavoro, e questa è la sua colpa: notate come vile e orrenda siano solo in parte aggettivi attribuibili a un oggetto]. Vent’anni di berlusconismo ci hanno così disabituato all’opposizione che, se qualcuno la esercita, “giustamente” viene ritenuto anomalo. E dunque va zittito [Metodo Scanzi #3: o sei con me o sei contro di me, chiunque tu sia. Boldrini è una epigona di Berlusconi, se si oppone all’opposizione – non importa in quale modo, con quale funzione, per quale motivo. Ti sei opposto all’opposizione? Sei come Berlusconi. Punto].
Complimenti: del comunismo, evidentemente, la gentil signora [prima Preside, ora gentil signora: continua il tono canzonatorio privo di contenuti] pare aver imparato unicamente il veterofemminismo caricaturale e l’intolleranza zdanovista per il dissenso [notate bene la tecnica: in venti parole Scanzi dice che: 1) esiste il veterofemminismo (falso, il femminismo è più complesso di un duopolio vetero/neo); 2) lo si impara dal comunismo (falso, il femminismo non è certo nato come parte del comunismo); 3) in quanto vetero, è caricaturale (e perché? Opinione di Scanzi, sempre ammesso che esista, il veterofemminismo) 4) agire da Presidente della Camera è equiparato allo zdanovismo sempre e solo in base al Metodo Scanzi #3; l’agire nell’interesse della Camera, che è il suo lavoro, passa per reazione di un regime, come se Boldrini fosse il dittatore. Per ora siamo a Boldrini=Berlusconi= Zdanov(Stalin). Non è finita qui.]. Proprio come Re Giorgio, infaticabile comunista migliorista di destra. [Ve l’avevo detto: Boldrini=Berlusconi= Zdanov(Stalin)=Napolitano. Tutti uguali.] Lei e i tre o quattro vendoliani rimasti [Metodo Scanzi #4: il nemico dev’essere sempre dipinto come solo e patetico, anche se potente], oltre ad alcuni noti resistenti piddini, hanno festeggiato cantando Bella ciao [non è vero, ma a ‘sto punto, chi ci pensa più?] (poveri partigiani, vilipesi ormai pure da chi dice di ispirarsi a loro. Se Fenoglio avesse saputo che un giorno le sue mirabili gesta sarebbero state fraintese da uno Speranza qualsiasi, avrebbe scritto al massimo Lo sfigato Johnny) [Metodo Scanzi #5: deduci da una falsità, se la conclusione è vera nessuno penserà più alla premessa falsa. Che i partigiani siano quotidianamente vilipesi ormai pure da chi dice di ispirarsi a loro, è vero, peccato che qui non c’azzecchi nulla]. In un certo senso i reduci (di se stessi) di Sel non hanno sbagliato a festeggiare: hanno appena celebrato la fine definitiva del loro partito [Metodo Scanzi #6: approfitta del richiamo non giustificato per colpire a destra e a manca, intanto. Non si capisce perché la ghigliottina doveva portare vantaggi o svantaggi a Sel, che ha i suoi grossi problemi del tutto indipendentemente da Boldrini; ma già che ci siamo…], regalando peraltro ulteriori voti a chi vorrebbero cancellare dalla scena politica (la loro miopia è pari alla loro arroganza). Sel era già morta con quelle risate al telefono di Vendola [appunto, e allora perché parlarne? Ah, sì, i clic e i like], e tutto sommato non c’era neanche bisogno del Troiaium [era da un po’ che non diceva nulla di sessista, gli è sembrata carina l’ennesima battuta alla Pierino] con la soglia di sbarramento all’8% per affossarli (Sel, al momento, se va bene supera il 2) [rileggete il titolo dell’articolo e ditemi che c’azzecca tutto ‘sto pippone su Sel. Credo che c’entri qualcosa Freud, ma non è di mia competenza e non insisto].

La Preside Boldrini [e dàje] ci ha comunque tenuto a disintegrare quel poco che restava di un partito che pure vanterebbe non poche eccellenze al suo interno (Fava, Airaudo) [Metodo Scanzi #7: il nemico, oltre che solo e patetico, si disgrega da solo e noi tendiamo la mano a chi merita – in modo da disgregarlo più rapidamente. Voi direte: noi chi? Sotto quale testata Scanzi scrive tutto ciò? Di chi è questa testata? Ecco noi chi]. Si può dire? Con quella vocetta da robot Super Vicky para-leninista [aridàje], la Preside(nte) Boldrini è una delle più grandi delusioni nella storia recente della politica italiana [ovviamente, no? Ve l’ha detto prima: Boldirni come Berlusconi, quindi come qualunque altro politico deludente, di qualunque epoca, sono tutti uguali, tutti contro di noi. Noi chi? Ve l’ho già detto, state più attenti]: supponente, sussiegosa coi potenti, per nulla imparziale e drammaticamente respingente [Metodo Scanzi #8: dedurre le caratteristiche dall’aggettivo, non dalla realtà. Queste quattro caratteristiche sono della Preside con la voce da robot Super Vicky para-leninista, non dalla reale conoscenza di Boldrini come persona o come politica. Basterebbe leggersi il suo CV]. Lei e le quasi-femministe [Scanzi, noto storico del femminismo, sforna categorie interpretative: dopo il veterofemminismo, c’è anche il quasi-femminismo] che hanno letto Erica Jong senza capirci una mazza [Metodo Scanzi #9: io non sono supponente, ma tu sei un* cretin* che non sa manco quello che legge], si rasserenino: non sono criticate in quanto donne, ma in quanto politiche disastrose. [Metodo Scanzi #10: ti cucino una merda ma te la impiatto come un profiterole. Secondo questo metodo, Preside, robot Super Vicky para-leninista, una voce che andrebbe vietata dall’Onu, aver imparato unicamente il veterofemminismo caricaturale, aver letto Erica Jong senza capirci una mazza sono critiche politiche, non in quanto donne. Complimenti per il profiterole.] Oppure – si parva licet – dovremo dire d’ora in poi che anche le Santanché, le Biancofiore e le Madia sono attaccate “poiché donne” (e c’è chi lo ha scritto, tipo Gramellini) [se succede davvero allora così va scritto, Scanzi, indipendentemente dalla persona. Ma immagino che non ti interessino queste distinzioni. Come le chiameresti tu? Ah, certo, roba da veterofemministe].

Che dire? Grazie a chi si impegna così alacremente per regalarci questo eterno crepuscolo morale [morale, notate bene: la condotta, discutibile ma secondo il regolamento, del Presidente della Camera è giudicata immorale. Questo invece sarebbe un giudizio politico? Come si chiamano le donne immorali? Lo sappiamo, vero?]. Ieri è stata una giornata tremenda, non come quella che portò alla uccisione politica di Rodotà e alla rielezione del monarca Re Giorgio, ma siamo lì [vi prego sempre di notare l’aggettivazione; sembra che Scanzi parli dell’uccisione di Falcone e Borsellino o della strage alla stazione di Bologna]. Complimenti dunque a chi ci regala tali emozioni: alla preside Super Vicky Boldrini, al simpatico questore Dambruoso che ha schiaffeggiato la deputata 5 Stelle Lupo (che fai Boldrini, lo cacci? Oppure l’espulsione con nota annessa per i genitori è solo per i discoli che salgono in cima ai tetti per difendere la Costituzione? [a parte il continuo uso della metafora scolastica, notate che questo fatto molto grave viene menzionato solo adesso, e solo per dire che anche in questo caso Boldrini è stata scorretta e amorale – peccato che Scanzi sia altrettanto scorretto: perché fa finta di non sapere che prima di cacciare Dambruoso serve la relazione dei questori della Camera? E poi, allora, qual è l’oggetto dell’articolo?]). Complimenti al Pd, che quando c’è da mostrare i muscoli (che non ha) a caso è sempre in prima fila [Dambruoso è di Scelta Civica, ma tanto il Metodo Scanzi l’avete capito come funziona]. E complimenti a quei meravigliosi renziani che, con il loro coraggio da Don Abbondio arrivisti, da una parte resuscitano il Caimano con una legge elettorale vergognosa [cosa c’entra adesso? Di che parla l’articolo?] e dall’altra regalano soldi pubblici alle banche private. [Oh, ci siamo arrivati! All’ultima riga del post finalmente si tocca l’argomento del titolo – e non se ne dice niente. Ah, già, il SEO, i clic. Complimenti.] Fenomeni mica da ridere. [Non solo loro, Scanzi caro.]

Nei giorni seguenti il Metodo Scanzi si è arricchito di un nuovo stratagemma, ma nuovo solo per lui: la “scusa SE è successo che”, come racconta Mazzetta qui. Come ho già detto anche io, il metodo “mi scuso se ma tanto è lo stesso” è tipico dei sessisti. Ma io sono un veterofemminista che ha letto letto Erica Jong senza capirci una mazza.
Comunque il nostro, nei giorni seguenti, continua col suo metodo, stavolta ergendosi a consigliere del M5S, lui che di politica e comunicazione, come abbiamo visto, le sa tutte. Per avere un’idea di quale sia “l’errore” che m’interessa evidenziare qui, vi lascio qualche link di altr* veterofemminist* che hanno letto Erica Jong senza capirci una mazza:
Che cosa è diventato il Movimento 5 Stelle? (a proposito di equivalenze politiche); Insulti sessisti e auguri di stupro (a proposito di Erica Jong letta male); Il nuovo femminismo (per capire che aria tira in certi ambienti, diciamo così); Andrea Barbato a Beppe Grillo nel ’92 (un po’ di storia pre-web, illuminante anche sul Metodo Scanzi); Insulti a cinque stelle, non è soltanto Laura Boldrini vittima di sessismo e omofobia (tanto per ricordare che ce n’è per tutti, non sono cose casuali).

Alla luce di tutto ciò, dicevamo, il nostro si erge consigliere e attua il Metodo Scanzi #11: parlo di te per non parlare di me. Leggiamo ‘sto capolavoro. Lo interromperò di rado, confido in quanto finora detto senza ripetermi troppo.

(2) Cari M5S, non potete fare errori (2 febbraio 2014)

Nella sua intervista a Daria Bignardi, a un certo punto il deputato Alessandro Di Battista ha detto: “Camminiamo su un cornicione, non possiamo sbagliare e quando lo facciamo dobbiamo chiedere scusa” [di come andrebbero fatte e dette le scuse abbiamo già detto sopra]. E’ un punto centrale: il M5S non può fare errori, perché gli altri (i “nemici”, cioè quasi tutti [di nuovo la logica duale: ci sono solo bianchi e neri, bene e male, belli e brutti – o stai con me o stai contro di me, non c’è spazio per il diverso]) non aspettano altro e perché ogni errore mina la fiducia di quei milioni di italiani che continuano a ripetere che quel movimento è l’unico anticorpo contro il potere. Una fiducia di cui dovete avere un rispetto sacrale [che bell’aggettivo, sacrale. Con una parola sola si passa dal politico al religioso, e tutt’intorno è silenzio]. Per questo:

1) Cari M5S, non potete dire “boia” o “boia chi molla“. Mai, mai e poi mai. Capisco la rabbia che porta il sangue agli occhi e induce a straparlare, ma queste frasi sono tremende ed evocano ricordi oltremodo foschi. Sono frasi imperdonabili, ancor più se dette da deputati solitamente bravi come Angelo Tofalo. E non venite a dirmi che in origine “Boia chi molla” non era uno slogan fascista: adesso è a quello, al fascismo, che fa pensare. Ed è un assist gigantesco per chi vuole – ora comicamente e ora in malafede – tratteggiarvi come nuovi Farinacci. Come no: Crimi camicia nera, Fucksia (un’altra che non ne indovina mezza neanche per disgrazia) balilla e tutti insieme eia eia elalà. Bugie totali. Ma c’è chi ci crede. Perché ci vuole credere. [Sì, io ci voglio credere, ma non perché qualcuno ripete slogan in piena incoscienza. Ci voglio credere perché, come hai sostenuto tu stesso tempo fa, M5S è “ecumenico”, cioè si allea con chiunque, e accoglie chiunque, voglia fare le stesse cose – anche i fascisti. Per me invece conta il motivo per cui vuoi farle e quale storia porti con te; perché se non guardi anche a queste cose, succede che le parole di Grillo diventino un riassunto di quelle di estremocentroalto, e tu non te ne accorgi. Dovrebbe bastare saper leggere, non si tratta solo di bugie o verità. Contano anche la storia, la memoria, e un sacco di altre cose.]

2) Cari M5S, non potete regalare l’alibi multiuso e multitasking del “sessismo” quando combattete una battaglia nobilissima come quella su Imu-Bankitalia (vi hanno dato ragione perfino Dragoni e Barisoni, certo competenti e certo non “grillini”). Le allusioni grevi ai “pompini” sono schifose, costituiscono un harakiri imbarazzante e regalano agli eterni soloni la giustificazione per scrivere lenzuolate di quasi-femminismo in cui “loro” sono democratici e gli altri poco meno che stupratori. Ovviamente quella stessa gente, di fronte allo schiaffone di Dambruoso alla 5 Stelle Lupo, minimizza o magari solidarizza (con Dambruoso). Due pesi e due  misure, ma in Italia funziona così. E le parole di De Rosa sono indifendibili e irricevibili. [Un dibattito serio avrebbe argomentato come in questo blog la vicenda Imu-Bankitalia – ma servono persone competenti e che non urlano, e giornalisti disposti a divulgare senza fare slogan. E comunque, a proposito di due pesi e due misure: pompinara è un insulto sessista, mentre invece Preside, robot Super Vicky para-leninista, una voce che andrebbe vietata dall’Onu, aver imparato unicamente il veterofemminismo caricaturale, aver letto Erica Jong senza capirci una mazza, che cosa sono? Scanzi, piantala. Non sono sessiste solo le parolacce, non te l’hanno insegnato a scuola? No. E il fatto che ci sia chi solidarizza con Dambruoso fa schifo come chi attacca Boldrini per la sua voce o il suo aspetto. No?]

3) Cari M5S, non potete mandare in tivù uno come Becchi per difendervi. E’ come chiedere a Mike Tyson di andare in tivù per difendere la salute dei lobi. Di fronte a Becchi, parrebbe credibile persino Boccia. Di fronte a Becchi, ha ragione perfino la Moretti. Becchi è espressione sin troppo nitida del “grillino” caricaturale e sopra le righe, che ha torto anche quando ha ragione e che serve alla tivù per screditare il M5S. Nessuno al mondo, ascoltando Becchi, avverte poi la voglia di votare M5S (ed è per quello che va in tivù). Avete ragazze e ragazzi che sanno usare il piccolo schermo (ci siete arrivati anche voi, alla fine, dopo mesi di autismo mediatico e “noi nei talkshow non andiamo“). Errore dozzinale. Voi in tivù dovete andare: lo dovete a chi vi ha votato e vi vuole conoscere. E vuole che qualcuno difenda le loro idee. Mandateci le Sarti e i Morra, i Di Maio e le Lezzi, i Di Battista e le Taverna. Becchi, al massimo, speditelo nel remake del Drive In al posto di Beruschi. Checché ne dicano Beppe Grillo e Yoko Casaleggio, la tivù è ancora (sin troppo) decisiva nel veicolare notizie e consensi. O la si sa usare, o si sta a casa a coltivare i nidi di rondine tra le pieghe della barba da quasi-filosofo. [E meno male che saccente era Boldrini. E ovviamente Scanzi parla di comunicazione M5S evitando di citare Messora – mica scemo, lui. Di Battista, per dirne uno della lista di Scanzi, è quello che guarda in camera e dice «Fidatevi della rabbia sana che abbiamo in corpo. Chi guarda questi occhi sa che io dico la verità!». Davvero un gran comunicatore, originale soprattutto.]

4) Caro Grillo, post come quello su “cosa faresti se la Boldrini fosse con te in auto”, sono autogol che neanche Niccolai. Servono esattamente per poi poter sostenere castronerie vili tipo che i grillini sono tutti stupratori e insultatori [peccato che nessuno l’ha sostenuto, in primis Boldrini, come avete letto sopra nel link di Mazzetta] (come se in rete i renziani o i berlusconiani fossero tutti dispensatori di versi petrarcheschi [ma sì, se gli altri scrivono merda pure io rispondo merda, per Scanzi questa è democrazia diretta, evidentemente]). Quegli autogol servono a dire che, chi critica la Boldrini, lo fa perché è sessista (yeowwwn) [sbadiglia pure, ma se argomenti con Preside, robot Super Vicky para-leninista, una voce che andrebbe vietata dall’Onu, aver imparato unicamente il veterofemminismo caricaturale, aver letto Erica Jong senza capirci una mazza, c’hai poco da sbadigliare: è sessismo]. Non ci vuole uno scienziato per arrivarci. Grillo ha fatto e farà molto per il Movimento. Il giorno in cui capirà che è molto più convincente quando argomenta che non quando scherza senza avere ispirazione, sarà sempre troppo tardi [ma sì, ma lui scherza, è un comico, ah ah ah].

5) Cari M5S, Daria Bignardi ha tutto il diritto di fare domande critiche a un deputato che non condivide e mai voterebbe. E’ una giornalista, sa fare il suo lavoro, ha simpatie renziane dichiarate e a casa sua può chiedere tanto del padre di Di Battista quanto del suo passato da chierichetto. Non vi piace? Non la guardate. La Bignardi ha dato trenta minuti a Di Battista, che peraltro sa cavarsela benissimo senza che un attimo dopo mezzo web gridi alla lesa maestà. Non tutti la pensano come voi e, anzi, in tivù il 95% è sfacciatamente renziano. Funziona così [allora Scanzi, deciditi: la tivù è il nemico o no? E poi ricordatevi: se le può fare Bignardi le domande antipatiche, le può fare anche Scanzi. Non è chiaro? Mettete la frase “Scanzi in tv” su Google, e buon divertimento].

6) Cari M5S, Corrado Augias ha tutto il diritto di critcare duramente i 5 Stelle. E’ un intellettuale, ha le sue idee e le argomenta. La Bignardi ha fatto bene a chiedergli cosa ne pensasse (ben sapendo cosa ne pensava) e Augias ha detto la sua tanto a Le invasioni barbariche quanto su Repubblica. Fate bene a criticarlo, non a insultarlo o minacciarlo (glisso su chi ne ha bruciato i libri: non so se è realmente grillino o magari infiltrato, ma di sicuro è assai prossimo all’idiozia più vomitevole). Io non condivido nulla di quello che ha detto e scritto Augias sui 5 Stelle, e credo anche che Augias – come molti intellettuali engagé vecchia scuola vicini al Pd – parli di cose che conosce pochissimo e per sentito dire. Ma io, di uno come Augias, avrò sempre rispetto profondo. E’ uno di quelli con cui è bello confrontarsi e scontrarsi, proprio come l’amico Vauro (che avete insultato in maniera troppo spesso belluina). Non confondete gli Augias con i pigibattista: sarebbe come confondere un Barolo con una gazzosa scipita [aspetta, com’era Boldrini? Supponente, sussiegosa coi potenti, per nulla imparziale e drammaticamente respingente. De te fabula narratur, Scanzi caro, e di nuovo dovrebbe bastare saper leggere].

Gli ultimi giorni, per la politica italiana, sono stati tremendi. E’ avvilente l’arroganza del potere. E’ deprimente la pochezza degli Speranza. E’ esilarante la labilità di Matteo Peppo Pig: in quell’incontro che vi siete ottusamente rifiutati di fare al Nazareno, un Nicola Morra se lo sarebbe messo in tasca con facilità siderale. Lo avrebbe demolito, ridicolizzandolo con agio [c’avete fatto caso? E’ pieno di gente capacissima di mettere sotto “i nemici”, ma nessuno ci mette quelli giusti. E chiedetelo a Scanzi, no?]. Renzi è solo chiacchiere e distintivo, vende fumo e neanche del migliore. Basta crivellarlo con due frasi di senso compiuto e già non sa più come controbattere. Avete buttato via un match point a campo aperto: errore infinito. A volte, strategicamente, siete di un bischero che ne basterebbe la metà.

E’ sconfortante vedere come quasi tutti i media usino il napalm coi 5 Stelle e le carezze con chi usa le “tagliole” e ammazza la democrazia parlamentare (non lo dico io: lo diceva il Pd cinque anni fa, per bocca di Alessandro Soro, quando il Parlamento discuteva quello scudo fiscale che poi passò grazie – ooops – alle assenze decisive dei piddini).

I 5 Stelle stanno combattendo, pressoché isolati, battaglie preziose (quella sull’articolo 138 della Costituzione non se la ricorda già più nessuno?). Costituiscono l’unica opposizione reale e per questo verranno osteggiati in ogni modo. Ribadisco: in ogni modo. E’ proprio per questo che non devono sbagliare nulla, ma proprio nulla. Che senso ha vanificare mesi e mesi di (spesso) ottimo lavoro con frasi sbagliate e belinate da asilo?

Avete la fiducia di milioni di italiani, a cui ormai non siete rimasti che voi. Fate tesoro di questa fiducia, continuate la vostra crescita e non disinnescatevi da soli, regalando assist d’oro a chi – pur di mantenere lo status quo – non aspetta altro che farvi passare per fascisti, violenti, dementi, sovversivi e magari prima o poi pure stragisti.

In questa tirata finale – della quale non ho voluto interrompere il lirismo tutto reazionario, pare De Amicis – c’è tutta l’ambiguità del Metodo Scanzi. Chi parla come un sessista – dando agli uomini del ladro o del corrotto, ma alle donne della pompinara o della preside con la vocetta – non è veramente sessista: ogni tanto sbaglia, dice delle cose senza senso, offre assist ai “nemici”, ma non è sessista. Chi parla come un fascista e dice la cosa più fascista di tutte – non esistono più destra e sinistra – non è veramente fascista: ogni tanto sbaglia, dice delle cose senza senso, offre assist ai “nemici”, ma non è fascista. Chi parla da incompetente e ignorante – parlando di sirene, di chip sottocutanei, complotti informatici – non è incompetente e ignorante: ogni tanto sbaglia, dice delle cose senza senso, offre assist ai “nemici”, ma non è incompetente né ignorante.
Insomma, per fare politica basta il pensiero – ve lo dice Scanzi. In fondo, uno vale uno.

Deconstructing il collaborazionismo sessista

decon20140127_2Lo so, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Quelle come l’articolo che state per leggere sono cose assolutamente di routine sulla stampa (anche online), di questi tempi. Sono facili articoli di costume fatti per avere un facile consenso, acchiappare clic, roba che serve per vendere gli spazi pubblicitari, lavoro di redazione necessario alla testata per campare, tirare avanti, tranquillizzare i finanziatori. Marieclaire è un nome molto noto, ha un target di lettrici molto definito, e quindi come tutte le redazioni storicamente consolidate produce contenuti di sicurezza, assolutamente convenzionali, che rassicurano chi legge circa la sua identità, i suoi valori, il suo status quo. C’è la crisi, bisogna sopravvivere.

Il prodotto editoriale che state per leggere – io non ce la faccio a chiamarlo articolo, e neanche post –  vale come esempio di un genere molto diffuso di scrittura, che io non esito a chiamare collaborazionista. E’ una scrittura che ratifica il potere patriarcale esistente, sostenendo una visione del mondo schiacciata sui luoghi comuni sessisti più ovvi e scontati, presentati però in maniera accattivante e “simpatica”. La maniera è quella di una donna che parrebbe stanca di quei meccanismi sociali sessisti di cui parla, e che invece li glorifica sollevando ipocrite risate circa la loro efficacia. Il risultato è quel pensiero non pensato, tipico di quell’esaminatore distratto che è l’ipocrita spettatore/lettore medio, sessista per abitudine più che per convinzione – ma comunque responsabile per quanto di sessista ancora succede. Un pensiero chiamabile tranquillamente pregiudizio.
Complimenti alla blogger, alla testata, al lavoro di redazione.

Capire gli uomini, cinque segreti [Tanto per cominciare, cinque parole e cinque sessismi: 1) capire gli uomini è il compito delle donne 2) servono i segreti, perché di solito le donne non ci arrivano da sole 3) questi segreti sono pochi, perché gli uomini non sono molto complessi come le donne 4) l’esperienza non serve, devi seguire delle regole che saranno infallibili con tutti gli uomini 5) sapute e applicate queste cinque norme, se ancora qualcosa non va il problema sei tu. Oppure è lui che non è un uomo normale.]

«Gestire un uomo è semplice perché ha solo due stimoli: la fame e l’eccitazione. Se vedi che non ha un’erezione, preparagli un panino». [Massima sessista paragonabile solo allo speculare, ma più sintetico, “cazzo e cazzotti” con il quale generazioni di maschioni si sono intesi circa il modo di risolvere i rapporti con l’altro sesso.] Cercando la fonte di questa (geniale) affermazione [non è ironica eh, la ritiene geniale sul serio, vedrete], ho googlato parole inglesi a caso e tra i risultati mi è comparso un titolo che prometteva di risolvere tutti i miei (nostri) problemi in un colpo solo:

Capire gli uomini, cinque segreti. [Dice che l’ha trovato googlando, ma il link non c’è. Sarà un file riservato, una roba da wikileaks? Oppure preferisce non assumersi la responsabilità di ciò che verrà detto? Mah.]

Fatima, fatti da parte. Eccoli.

1. Pensano al sesso in continuazione. [Frase talmente generica che va bene per tutte le ocacsioni. E poi, non sia mai lo faccia una donna, eh. Questo è il primo segreto per capire gli uomini: il moralismo quantitativo. Complimenti.]
Alla faccia del segreto. E lo mette anche al primo posto. C’è da dire, però, che ho sempre sottovalutato la cosa: uno studio del Journal of Sex sostiene che gli uomini abbiano pensieri a sfondo sessuale fino a 388 volte al giorno [un link all’articolo? Una spiegazione sui criteri di conteggio adottati? Ma in fondo siamo su Marieclaire, mica vorrai citare le fonti, no?], contro i dieci miseri pensieri della media femminile [sono solo dieci, quindi sono miseri. Magari lui pensa 388 volte al solito colpo d’inguine, lei s’immagina dieci orge con persone di una dozzina di generi e giocattoli fantasiosi, ma la misera è sempre lei perché 10 è minore di 388. Ma non erano gli uomini ad avere l’ossessione delle misure?]. Calcolatrice alla mano, vuol dire che pensano al sesso ogni due minuti, più o meno, se consideriamo le ore di veglia (e presumiamo di escludere i 90 minuti dedicati alle partite di calcio) [se esistesse un contatore Geiger sensibile alla densità di stereotipi, starebbe sfondando il fondo scala con la lancetta]. Ora mi è chiaro perché alle donne avanza tanto tempo per le pippe mentali – a sfondo sentimentale, e non erotico [eh, mi raccomando, a sfondo erotico mai per carità]. C’è da imparare [sempre perché debba rimanere assodato che le donne non pensano MAI al sesso come erotismo]. (Ma dimezziamogli lo stipendio, a ‘sti porci). [Capito? Se sei un uomo e pensi al sesso sei un porco – un po’ di specismo mettiamocelo, così facciamo tutti contenti – a prescindere dal resto. Quindi se sei una donna e pensi al sesso tante volte quanto un uomo sei una…]

2. Hanno bisogno di spazio.
Cito [da dove continueremo a non saperlo]: «Non è che non abbiano voglia di stare con voi, è che sentono la necessità – a volte (spesso) – di stare da soli. [Gli uomini, eh: le donne no. Le donne sempre in gruppo, mai da sole, le donne sole sono brutte, cattive, anormali.] Diciamo che hanno bisogno di ricaricarsi in solitudine per poter apprezzare la coppia [notate bene: ricaricarsi, perché la coppia li stanca tanto, poverini, è solo una dispersione di energie] (a cui comunque dedicano un sacco di tempo, vedi punto 1). A differenza delle donne, gli uomini non hanno l’impellenza di occupare le domeniche andando per mostre o per negozi: [quindi le donne hanno il gene dello shopping e/o dell’arte e gli uomini no – oh, gli stereotipi sessisti li sta veramente prendendo tutti] stanno bene sul divano, con la televisione accesa, una birra e l’attività fisica di Homer Simpson. [Donne che vi sbracate sul divano a riposare la domenica: siete indegne, siete delle donnacce, siete delle non-donne. In piedi! Allo shopping, al museo!] Questo non presuppone che ci sia alcun problema con voi» [specialmente se portate la birra fresca e non rompete, ndr]. Bòn: facciamo che io i miei spazi li prenderò a tempo debito nella scarpiera. [Eccola, la vendetta della shoppingara: comprarsi scarpe, e tutti i problemi di relazione vanno a posto. Io v’avevo avvertito che i luoghi comuni sessisti c’erano tutti.]

3. Sono ingenui. [Altro aggettivo che può voler dire qualunque cosa, e che serve come scusa per qualsiasi comportamento. E poi: tutti quegli uomini stronzi che ci sono in giro allora sono gay?]
«Se volete che qualcuno vi risponda di no, chiedetelo alla vostra amica se quel vestito vi ingrassa. [Le donne sono false e ipocrite. Altra tacca sulla cintura.] Noi risponderemo la verità, non quello che voi desiderate. Non per altro, ma non abbiamo idea di quale sia la risposta giusta» [Gli uomini sono così, c’hanno tutte le virtù, è semplice, che ci vuole a ricordarselo?].

4. Quello che dicono è quello che pensano. [Quindi quando ti senti presa in giro, donna, è un tuo problema ermeneutico.]
Questo punto va approfondito. A chi non è capitato (quotidianamente?) di cercare un significato diverso o nascosto in una frase detta o scritta da un uomo? [A me. Ah, già: io sono un uomo, io i miei simili li capisco perché ho il pisello. Mica perché mi sforzo di condividere un linguaggio.] Ecco, pare sia inutile. «Non siamo così profondi: quando diciamo qualcosa intendiamo proprio quello, che sia un sì, un no, un niente o un ok. [O per esempio uno “sta’ zitta”, oppure un “t’ammazzo di botte”. Non ci sono significati nascosti, chiaro? Intendiamo proprio quello] Solo e solamente quello, giuro». Mhm, sarà…

5. Non sono perfetti, ma nemmeno da buttare. [Leggi: te li devi tenere così, questo è il segreto. Non ci puoi fare niente, sono ineducabili geneticamente.]
«Se non volete essere paragonate alle bellezze irrealistiche delle riviste, piantatela di paragonarci con gli uomini perfetti che vedete al cinema. Non esistono. Quelle frasi dolci, le infinite attenzioni strappalacrime e i gesti eclatanti con cadenza settimanale sono atteggiamenti photoshoppati almeno quanto il culo delle vostre care modelle». [Già: peccato che entrambe le distorsioni giovino a un sesso solo. Capito il paragone? Una donna con un minimo di raziocinio non farebbe neanche terminare questa frase così violenta, ma qui “il (terribile) karma di una bionda” ha il potere di sdoganare qualunque stronzata. Attenti che adesso c’è la frase assolutoria a effetto.]

Sì, insomma, riassumendo potremmo dire che i grandi classici Disney stanno alle aspettative delle donne quanto i film porno a quelle degli uomini: occhèi. [MA occhèi COSA! Il porno commerciale è una componente fondamentale dell’immaginario medio maschile e ne plasma le aspettative, tanto quanto il classico Disney è una componente fondamentale dell’immaginario medio femminile, e ne plasma le aspettative: il problema è proprio qui. Sono pietre di paragone prodotte dallo stesso potere patriarcale! Vogliamo parlare di questo? Mentre in media le ragazze sono educate ad aspettarsi il virtuoso principe azzurro per il quale sacrificarsi, i ragazzi si aspettano delle ebeti robot ninfomani che non hanno alcuna pretesa. Questo anche grazie a un’industria editoriale che non fa niente per cambiare questo stato di cose.]

Ah, nel tutto non ho scoperto chi abbia detto quella cosa lì del panino. Se nessuno la reclama finirò per farla mia. [Te la meriti tutta, quella genialità.]

 

Un’idea veramente originale: la fica!

unoFinisce il 2013, inizia il 2014 e si sa: è tempo di calendari. Quello per la violenza sulle donne “va un casino quest’anno” (cit.). Oh, finalmente si spendono tempo, energie e risorse per mettere in casa di tante persone qualcosa che, per tutto l’anno, ricorderà un’emergenza sociale così importante come la violenza di genere. Ma come si fa a ricordare un tema tanto spinoso per tutto un anno? Vediamo qualche esempio, tra i tantissimi.

Bruno Oliviero fotografa Kyra Kole

Antonio Oddi fotografa Giorgia Giannandrea

“Il calendario delle studentesse” di Arakne Communication

Ecco come! Con la fica! D’altronde, si sa: i vecchi metodi sono sempre i migliori.

Divertitevi a cercare altri esempi. Le rappresentazioni, al di là delle parole di circostanza di tutti i professionisti interessati, sono del tutto aderenti ai consueti schemi visivi della fotografia di moda più conformista. Simboli e frasi svuotate di senso, patinature, trucchi ed effetti stancanti, pose e scatti già visti migliaia di volte. In tutti i casi, corpi di donna nelle posizioni e negli abiti preferiti dal machismo pornocommerciale: intimo variopinto, qualche sguardo torvo, strappi e tagli, aderenze, magrezze, frasi a effetto, sorrisi di purezza sotto il fard.

Il motivo di tutto questo è ormai noto, a chi si occupa di questioni di genere: la violenza sulle donne è un brand, e se ne sono accorti tutti, grandi aziende e piccole realtà, fotografi noti e “creativi” in cerca di visibilità. “There is nothing more alluring than a dead girl“, e il risultato lo vedete in quei tre esempi: parole ricopiate e messe in bocca – o sulla foto – senza alcuna cognizione di causa, tanto per decorare la solita posa softpornomainstream che placa la coscienza – e gonfia i corpi cavernosi – del maschio che assiste. A posto così.

A questa meravigliosa convergenza estetica tra softporno commerciale, ipocrisia politica, incoscienza sociale, ignoranza crassa viene dato il nome di “per la violenza sulle donne”; ed è dovuta, ovviamente, al gioco al ribasso tipico del marketing spietato. L’argomento trendy fa abbassare il prezzo e raccoglie i volontari, ed ecco che tutti fanno a gara per intitolare il loro (solito) spaccio di carne umana in lingerie alla “violenza sulle donne”. E’ il prezzo basso a decidere vicinanze ed equivalenze, passando sopra alle più evidenti assurdità.

La tristezza di queste operazioni commerciali è aumentata dal fatto che nessuno dei poteri in gioco viene minimamente messo in questione; in fondo è l’etimologia a ricordarci quel legame originario tra donne, sesso, denaro e potere (il potere di chi l’ha inventato, questo legame) che ormai si esprime nella vita politica, sociale e nel linguaggio di gran parte della nostra bella società. Pensare che la pornografia commerciale sia fatta solo di cazzo, fica, urla finte e grugniti macho è ormai davvero riduttivo, quando non difensivo e forse nostalgico di una felice era dell’incoscienza maschile. E purtroppo oggetti come questi calendari moralizzano ancora di più l’immaginario, evitando, tra le altre cose, di impegnarsi a stravolgere quel porno commerciale che ne avrebbe tanto bisogno.

Invece non c’è alcuna necessità di nascondere questo sfacciato potere maschilista e il suo continuo desiderio di macinare immagini e rappresentazioni di corpi femminili: fa vendere, quindi ben venga. E’ lavoro, occupazione, reddito, visibilità, di che vi lamentate? Zitti tutti e tutte, zerbini e femministe: è il mercato, baby. E il mercato lo sa bene cosa serve per vendere; fatelo il giochino online “Fashion or Porn“, è molto istruttivo. Attenzione, potreste vedere del sesso, mica come nelle immagini dei calendari degli esempi qui sopra. Quelle sono “per la violenza sulle donne”.

Rubo a feminoska:

Questi calendari sono normativi per i corpi, eterodiretti, il ‘mondo donna’ (così viene chiamato da molti addetti ai lavori) fa tendenza, per questo i soliti misogini e misogine lo sfruttano, utilizzando claim che reputano di richiamo, svuotandoli di contenuto, e legandoli al solito bieco sfruttamento dell’immagine femminile eteronormata e machopornizzata. L’operazione è scrivere nuove parole d’ordine sullo stesso vecchio immaginario, ed è fatto in maniera talmente idiota che non ci si chiede nemmeno quali siano le nuove parole d’ordine.

Altre parole, altre immagini e altre fantasie ci sono, eh. Basterebbe informarsi, non farsi prendere in giro e smettere di dare ragione a chi fa soldi speculando sull’immaginario sessista.

Deconstructing la costanza (di Miriano)

Paolo Veronese, "Cena a casa di Levi"
Paolo Veronese, “Cena a casa di Levi”

Costanza Miriano, nomen omen, continua col suo punto di vista, ed è giusto così: se parliamo di fede, ragionare è inutile. Non ha alcun senso voler “dimostrare” ragionando una fede. Vale per le religioni come per la maggica Roma: io credo ogni anno che possiamo vincere lo scudetto. Io però non sono mica così scemo da pensare di avere perciò ragioni per convincere gli altri, neanche se lo vincessi sempre. Lei invece sì.
Qualunque fede professi, se non sei un fanatico la prima cosa che fai è rispettare le fedi altrui, o anche l’assenza di fede. Se invece la tua la vuoi imporre, o la ritieni superiore alle altre, professi violenza – come tanti tifosi ai quali, in fondo, la fede serve solo per poter esercitare un potere sugli altri, tranquilli di avere ragione a prescindere. E giù botte e retorica della vittima, come tanti fascisti, ultras, e altri noti professatori di fedi.

L’originale è questo

C’è sottomessa e sottomessa
di Costanza Miriano

Pensa che c’ero caduta anche io. Col fatto che da un mesetto rispondo a giornalisti stranieri che mi chiedono “perché sottomessa?” (in molteplici varianti tra cui “cos’è la sottomissione?” e, la più stupida, “chi lava i piatti a casa sua?”), e lo faccio in varie lingue (itagnolo, inglano) con abnegazione e grande padronanza di me, cercando di evitare alterazioni isteriche del tono di voce, mi ero ingenuamente convinta che fosse la parola sottomessa a disturbare nel titolo del mio libro. [Quindi, se qualcuno fa domande a Miriano sulle cose che scrive è perché è disturbato da quello che lei scrive. Un normale o professionale interesse è escluso. Retorica della vittima mode on.]

A far scomodare addirittura la ministra della sanità e delle pari opportunità, Ana Mato, che ha chiesto il ritiro in Spagna del mio libro “Cásate y se sumisa” dal commercio. [Credo che non sia una sola parola, Miriano: è proprio tutto il libro che fa una certa impressione.] A far parlare l’intero parlamento spagnolo (sono contenta di sapere che tutti i problemi più urgenti del paese siano stati finalmente risolti, tanto da poter mettere all’ordine del giorno il libro di una sconosciuta moglie e mamma italiana che scrive lettere alle sue amiche per convincerle a sposarsi: pare che il prossimo tema di discussione sarà la sfumatura delle casacche di Topolino nei fumetti degli anni ’50). [Non sia così modesta, Miriano. A parte che ciascun parlamento è sovrano e parla di quello che vuole, lo deve fare a prescindere dall’urgenza, altrimenti non sarebbe un parlamento. E comunque le casacche di Topolino non hanno lo stesso impatto sociale di una teoria cattolica sul miglior comportamento sociale delle donne.] A farmi finire in vari programmi della BBC (strano, in Italia nessuno si è accorto che un governo stava chiedendo la censura di un’italiana, ma in Inghilterra si sono scandalizzati) [se le interessassero davvero le donne, Miriano, saprebbe che qui in Italia le donne non c’è proprio bisogno di censurarle: le si elimina sistematicamente dall’agone sociale ben prima, non ci arrivano proprio all’onore della censura], tra cui le News Night, in cui mi sono buttata a spregio del pericolo col mio inglese da lesson number two (the book is on the table), tanto per la soddisfazione di citare John Paul the second sul programma di punta della terra anglicana. [So’ le sue soddisfazioni, beata lei.]

Pensavo anche, in un ingenuo attacco di comprensione, che la parola sottomissione potesse avere evocato, in qualche donna più grande e più insicura di me, lo spettro di antichi ricordi di tempi in cui si doveva lottare per affermare la pari dignità tra uomo e donna, [antichi ricordi, certo, adesso è tutto a posto] dignità che oggi nessuna ragazza europea normale sente realmente messa in discussione. [No, nessuna ragazza europea normale a parte le 170 milioni di donne europee che subiscono violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita, come dice quel rapporto Estrela che certo per lei non esiste. E poi Miriano, mi scusi ma glielo devo dire: che schifo quel “normale”.]

Poi ho fatto la scoperta. Ci sono diversi libri in vendita in Spagna con la parola sumisa nel titolo. Per esempio Aprendiendo a ser sumisa, o La formaciòn de la mentalidad sumisa, e molti altri ben più espliciti. [Espliciti, come se la parola ‘sumisa’ in italiano fosse ‘fregna’. Perché usare quell’espliciti, a parte solleticare gli scrupoli dei bigotti in ascolto?] Occhieggiano tranquillamente dagli scaffali delle librerie – e ci mancherebbe – senza che nessuno abbia trovato nulla da ridire. [Embè? Non ha idea di quanti ‘cazzo’ occhieggiano tranquillamente qui in Italia, nella stessa indifferenza generale. IBS mi dà ventuno titoli ancora in commercio, tra cui il recentissimo “Verrà la morte (e avrà il tuo cazzo)”. I titoli sono scelti dal marketing editoriale, non dicono niente. Come anche il suo, Miriano.]

Allora il problema, mi dico, non è quello. Gridano tutti che il mio titolo è offensivo. [Te lo spiego io, Costà: vogliono dire “il tuo libro è offensivo”, si tratta di una figura retorica. Non è solo il titolo, sono pure tutte le altre parole.] Deve essere dunque per forza la parola Casate, sposati. [Certo, come no. E già altre venti righe per fare la vittima.] Strano, perché il ministro che ne chiede la messa al bando per incitazione alla violenza sulle donne è del PPE, partito che una volta fu cattolico, anche se la signora [fare la vittima e fare la carnefice: che classe questo signora una riga sotto il ministro, complimenti] non avverte la contraddizione di essere titolare di un ministero responsabile di centinaia di migliaia di aborti all’anno [no, non l’avverte, perché è una sua responsabilità solo nella tua visione delle cose] (uccisioni [anche considerarle uccisioni è una tua opinione, discutibile come tutte] almeno presumibilmente anche di bambine: ma quella pare non sia violenza sulle donne [infatti non lo è. Ma adesso s’è capito a che serve gigioneggiare sul titolo: serve a dire le tue cose come fossero verità, senza doverle argomentare]).

Dunque va bene sottomettersi, ma sia ben chiaro, solo sessualmente [a parte che nessuno l’ha detto che è solo sesso, ma a te fa tanto comodo pensarla così che lo dai per scontato, come fosse un gran peccato. Poi ci sarebbe da dire: fosse sesso o altro, l’importante a proposito di censure, cara Miriano, è il consenso, non cosa fai], a un amante [mai a un marito eh, chi sottomette sessualmente è solo un amante, mi raccomando], sottomettersi in cinquanta sfumature a un passante, a chiunque, anche all’idraulico che viene a controllare la caldaia [complimenti anche per l’immaginario erotico da porno commerciale anni ’90]. Libri così non vengono avvertiti come offensivi della dignità della donna [no, perché stiamo parlando – dato che citi le arcinote cinquanta sfumature – di racconti di finzione, non di saggi che vorrebbero insegnare la verità vera]. Proporre invece un atteggiamento interiore [appunto: tu discetti sulla morale, la psicologia e la vita altrui, i romanzi non lo fanno] (per la seicentesima volta: sì, le donne possono lavorare, e no, non sono una casalinga, ma una giornalista tv), una disposizione spirituale di dolcezza, di accoglienza, di obbedienza a un solo marito, sempre allo stesso, a un uomo che sarà pronto a morire, cioè a dare tutto alla sposa senza risparmiare niente [botte comprese?], questo invece viene percepito come offensivo per la dignità femminile [che strano, cosa ci sarà mai di offensivo nel decidere spontaneamente di rendersi schiave di uno pronto a morire? E’ così bello!], ma talmente offensivo da far ravvisare addirittura la possibilità di un reato: istigazione alla violenza sulle donne [sai com’è: sottomettere, dice Treccani, significa “Mettere sotto… far coprire la femmina dal maschio, farla accoppiare… Ridurre all’obbedienza, piegare ai proprî voleri”. Che dici, se c’intitoli un saggio e non un romanzo, chi se la prende con te è troppo permaloso? Secondo me no] (dove? In quale frase, parola, virgola, o retropensiero la violenza viene vagamente incoraggiata, giustificata, scusata, o anche solo nominata, nel mio libro? Dove? [Ovunque, te l’ho detto poco fa, a partire dal titolo. Ma tranquilla, non è reato, non ti preoccupare, è solo collaborazionismo col patriarcato]). Il punto è che la dolcezza femminile disinnesca la parte peggiore dell’uomo, e lo rende nobile [uh, come no. Quindi il femminicidio di media ogni tre giorni è dovuto a una mancanza di dolcezza. Aspetta che me lo segno]. Non ha nulla a che vedere con la violenza, anzi, al contrario. [Notate bene: secondo lei chi contesta il suo libro sostiene che la dolcezza femminile come stile di vita matrimoniale è violenza. “O sei con me o sei contro di me”, non esistono alternative. Tutto chiaro Costà, stai bene così.]

Parliamoci chiaro: è il matrimonio il vero obiettivo della polemica, che continua con sorprendente tenacia da settimane, sulle prime pagine dei giornali e sulla rete, in televisione e in radio. [“Come porto il discorso su quello che me pare a me”, lezione uno. Piaciuta?] E lo scandalo si allarga: i giornalisti ormai chiamano dalla Colombia, dall’Argentina, dal Messico, dalla Francia, dal Belgio, dall’Inghilterra, dalla Russia… [uh come mi piace vantarmi, signora mia…]

Cosa esattamente sconvolge nell’idea del matrimonio? Del matrimonio cristiano, precisamente? [Cristiano? Certo, se ci si vuole difendere è meglio stare dalla parte della maggioranza. Allora dico che la posizione che mi si contesta non è cattolica, ma cristiana. Così se tu la contesti sei per forza non cristiano, oppure un senzadio e senzagesù. Insomma una brutta persona.]

Fondamentalmente l’uomo contemporaneo può accettare tutto tranne l’idea di ascoltare una voce che non provenga da se stesso. [Lei le sue profonde analisi sulla psicologia di massa le spara così, per scienza infusa.] Non può accettare la possibilità che non sia sempre bene seguire le proprie emozioni, inclinazioni – i pensieri quando è già a uno stadio più progredito [grazie del complimento, è molto cristiano dividere le persone in più o meno deficienti] – la propria idea di bene e di male. È tutto lì il punto del cuore dell’uomo, dalla Genesi in giù: sono io che decido cosa è Bene e Male? [E voi che invece pensavate fosse la banca, il vostro capo o la casta: invece no, sei tu che decidi cosa è Bene e Male.]

Il vero nodo della questione è che noi cristiani siamo contenti di obbedire perché sappiamo a chi obbediamo [abbiamo imparato a fare a meno della libertà, capito il trucco? “Dàje, zompa de qua, Serena!” (cit.)]: abbiamo conosciuto, davvero, personalmente, un pastore buono, un pastore che pasce gli agnelli e non i lupi [poveri lupi, sempre ‘na brutta fine fanno, mannaggia a Walt Disney]. È per questo che ci piace ascoltare la voce del pastore [non fate i maliziosi, c’è scritto pastore e non padrone], non perché siamo repressi, ma perché siamo furbi [che bello: Miriano ci insegna come essere furbi. Molto cristiano anche questo, sì]. Abbiamo capito che quello è il meglio, che ci conviene seguirlo, perché lui è l’autore dell’universo, del dna, della fisica, dei movimenti degli astri. [Mi sa che avevate ragione, allora: è proprio il padrone.] Figuriamoci se non sa come funzioniamo noi, suoi figli (che invece non solo non abbiamo idea di come funzioni l’universo, ma abbiamo problemi anche col tostapane. E con l’uomo, mistero a se stesso). [L’uomo anche nel senso della donna eh, come nelle migliori tradizioni cristiane: e che stiamo a sprecare due parole? Quando dico uomo intendo pure la donna, ovvio. Lei viene da ‘na costola di lui, ma sono uguali.] Io capisco dunque l’odio che suscitiamo noi cristiani, [a me fai solo ridere, non so se vale lo stesso] stoltezza di fronte al mondo: è un mondo che non sa quanto è buono il Padre, e quindi lo vuole uccidere (lo ha idealmente accoppato già da tempo). Se togli l’amore di Dio, obbedire, sottomettersi, la croce, nulla di tutto questo ha senso. [Non dire se togli come se fosse assodato che già ci sia, e io lo debba togliere. E’ assodato – non ci sono solo i cristiani al mondo, eh, né ci sono stati da sempre – che ‘sto amore di Dio ce l’ha messo qualcuno e in un momento preciso, e non è che prima l’uomo il senso della vita non ce l’avesse. Ma no, certe cose meglio fare finta che non esistano, o che siano frutto di odio. Molto comodo, così.]

Qualsiasi cosa, anche morire (il mio secondo libro, Sposala e muori per lei, non ha fatto fremere di sdegno mezzo labbro) [e ti credo, erano tutt* impegnat* a fare scongiuri – a parte gli scherzi, è molto utile un libro che ratifica l’immagine di uomo monogamico fedele fino alla morte; chissà chi sono i nove milioni di clienti italiani della prostituzione?] può essere accettata. Ma obbedire a qualcuno che non sia me stesso, quello no. Non si può tollerare. [Ormai ha preso il via, adesso il problema sono quelli che non vogliono obbedire al suo stesso dio. Che in sostanza è pure vero eh, ma allora scrivi su questo e non menartela col tuo libro, Miriano, su.]

Eppure per noi quello è il primo comandamento: ascolta, Israele. Non fidarti di te. Ascolta una voce che non provenga da te stesso. [Ma non era “Io sono il Signore… non avrai altro dio…”, no? Boh] Sappi che il tuo cuore, ferito dal peccato originale, a volte è inaffidabile. Ascolta uno che ti ama e che spinge dalla tua parte più ancora di te stesso [EH?], che ti ama come un figlio unico. [Ma non dovevo amare il prossimo come me stesso? Ma non eravamo tutt* fratelli e sorelle? Adesso siamo figli unici? “Poi dice che uno si butta a sinistra” (cit.)]

Per questo la Chiesa propone agli uomini impegni definitivi che lo custodiscano da se stesso. [Capisco l’emozione, ma se come impegno definitivo intanto prendiamo quello di rispettare la grammatica?] “Il matrimonio cristiano – scrive per esempio papa Francesco nella Evangelii gaudium – supera il livello dell’emotività. Il matrimonio non nasce dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto”. Per noi cristiani il matrimonio è una via di conversione, un laboratorio in cui l’uomo e la donna affrontano i loro peccati – o, laicamente, i difetti – principali: il desiderio di controllo femminile e l’egoismo maschile, esattamente ciò di cui parla san Paolo. [Aspetta, ferm* tutt*: il matrimonio quindi è la promessa reciproca di un uomo e una donna che, al di là dei sentimenti (che non gliene frega niente a nessuno), dicono lei “prometto di non controllarlo” e lui “prometto di interessarmi anche a lei”, entrambi per sempre. E uno dovrebbe prenderli sul serio.]

Ma l’uomo contemporaneo, che ha dimenticato la visione giudaico cristiana della storia come lineare e non ciclica [EH?], è un bambino tutto emotività, assolutizza il comfort [questo sembra lo slogan di una casa automobilistica], il soddisfacimento dei propri bisogni immediati e superficiali, impedendosi di capire quelli più profondi. [Altra tesi che lei sa perché la sa, punto.] Impedendo per esempio alle donne di riconoscere che quello che le realizza profondamente è dare la vita per qualcuno, e darla facendo spazio, mettendo da parte la mania di controllo per affidarsi a un uomo solido e sicuro [Capito? Quello che realizza le donne è abdicare dalla propria autodeterminazione per affidarla a un uomo – no, non è istigazione alla violenza di genere, no, è proprio la rinuncia a vivere decentemente, tutto qui], riconoscendone la bellezza, rivelandola anche a lui stesso. [L’uomo cioè è bello ma non lo sa, finché una donna non gli dice: comandami in tutto e per tutto e lo scoprirai. Fichissimo, se sei un uomo.] L’uomo viene così restituito a se stesso – Dio affida l’umanità alla donna, scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem – e può così scoprire la bellezza di dare la sua vita per la sposa, morendo per lei, [ecco, lo sapevo che c’era la fregatura] seppur giorno dopo giorno, a fettine, [a dadini no? Per forza a fettine? E invece tutto intero, nella retina, tipo arrosto?] salvando il mondo una pratica alla volta. [Una pratica alla volta, da bravo impiegato. Cioè, questa sarebbe la narrazione che ha dato tanto scandalo? In effetti la censura è eccessiva. Questa roba va letta ad alta voce, tutt* insieme, in una serata spensierata con gli amici, per farsi quattro risate.]

La cultura dominante [che non è quella cristiana, quella patriarcale, no no, viviamo in un mondo dominato dai gay, e dalla loro ideologia totalitaria, sappiatelo] tenta in tutti i modi di abbattere il recinto del tempio della trasmissione della vita, [niente male la metafora, eh? Il recinto del tempio della trasmissione della vita, e tanti saluti alla retorica] e di tagliare tutti i vincoli che appunto legano il sesso all’unione indissolubile tra due anime che cercano per tutta una vita di diventare una sola carne (in unam carnem, moto a luogo) [tiè, pure l’analisi logica ci regala Miriano, pur di convincervi che il sesso per divertirsi non si fa, no no no]. È questo che dicono i loro corpi e questo dicono – con i loro corpi fatti di geni e cellule impastati inscindibilmente – i figli che nascono da quell’unione. Dicono che l’intimità sessuale è sacra, ed è ciò a cui Dio ha affidato la trasmissione della vita: una visione magnifica e sconvolgente [certo, più la fai strana e meglio è, tanto non dev’essere capita, dev’essere un mistero divino, quindi meglio farlo fitto e incomprensibile]. Può essere sublime o terribile, ma non potrà mai essere neutra, né per l’uomo né per la donna. Mai il sesso potrà dunque essere normalizzato, banalizzato, [ma chi ci pensava? Ma stai sempre a pensare a quello, Miriano? Il problema non era la violenza di genere?] ma avrà sempre a che fare con qualcosa di sconvolgente, con una dedizione che un giorno potrà anche sembrare non corrisponderci più, ma che ha toccato la nostra più profonda essenza.

Un uomo e una donna così sono reciprocamente sottomessi solo al loro cammino di conversione a Dio, e sono liberi dal pensiero dominante [sì sì, proprio liberi… ma non erano quelli contenti di obbedire? Proprio la definizione dei liberi], dal totem della laicità, [ah, adesso è la laicità a essere un totem, interessante] sono liberi e non manipolabili, e questo non è tollerabile dal pensiero unico. [Pensiero unico che non sarebbe il sostenere “noi cristiani siamo contenti di obbedire perché sappiamo a chi obbediamo mentre tutt* gli/le altr* non accettano l’idea di ascoltare una voce che non provenga da se stessi”. Questa sarebbe tolleranza. Ma vaffanculo va’. ]

È per questo che noi cristiani veniamo censurati [ma da chi? Ma dove? L’hanno fatto? No, mai]. È per questo che in Francia ogni giorno decine di ragazzi finiscono in carcere nel silenzio generale, perché hanno indossato una maglietta con l’immagine di una famiglia, o perché hanno recitato il rosario fuori da una clinica dove si uccidono i bambini nel posto più sicuro del mondo, sotto al cuore della loro mamma. [Complimenti per il tollerante trattamento della questione aborto.] È per questo che le persecuzioni e le uccisioni dei cristiani nel mondo vengono sistematicamente taciute. [Non è vero che vengono taciute, e poi non stavamo parlando di censura, di libri, di idee? Abbiamo bisogno di tirare fuori i morti, Miriano? Ancora complimenti.] È per questo che chi si oppone alle teorie del gender in alcuni paesi rischia il posto di lavoro, [AHAHAHAHAHAHAHAH, questa è la migliore] (forse leggendo l’incredibile decalogo che l’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità vorrebbe imporre ai giornalisti, anche noi: esempio, dire “utero in affitto” sarà discriminatorio, occorrerà dire “gestazione di sostegno”) anche se le teorie di genere sono appunto teorie, e quindi andrebbero dimostrate, e comunque non imposte con la forza [nessuno le impone con la forza, Miriano, non faccia della retorica inutile non suffragata da fatti. I fatti sono che le teorie antirazziste sono state dimostrate da parecchio, quindi cosa vuole? Un teorema che le dimostri che non si deve discriminare? Forse non è un precetto cristiano? Un comandamento? Per non discriminare lei ha bisogno della dimostrazione geometrica? Ancora e sempre complimenti, e meno male che gli egoisti sono gli altri]. È per questo che una giornalista norvegese, neanche particolarmente fervente, è stata rimossa dalla conduzione del tg perché indossava una croce di due centimetri al collo. [Sa, ci sono dei paesi dove il rispetto per le altre religioni e per la libertà e la laicità dell’informazione sono cose serie.]

Noi cristiani invece non censuriamo. [Adesso, forse; ma fino a ieri sì. L’indice dei libri proibiti l’ha creato la chiesa cattolica, e dal 1558 al 1966 fanno 408 anni di censure. Per poi sostiutirlo con qualcosa di più “politically correct”, no? Lo stesso atteggiamento che imputate all’UNAR, che è un pochino più recente e meno potente.] Noi viviamo in una casa bella, pulita, divertente, libera, dove si respira una buona aria. [Noi cristiani, gli altri no. Ma noi non censuriamo, discriminiamo direttamente.] Dove tutto, persino il dolore, ha un senso. Noi se vediamo qualcuno che abita in un posto brutto sporco e triste [tutt* gli/le altr* che non sono cristiani, ndr] non è che ci arrabbiamo, casomai ci dispiace per lui. [Però, che carini.] Al limite [ma al limite, eh] lo invitiamo a casa nostra, per fargli vedere come si sta bene vivendo senza idoli, [quelli degli altri sono idoli, ma noi non censuriamo, no no] quando tutto sta al proprio posto. E se proprio siamo parecchio avanti nel cammino, ci offriamo anche di andare a casa dell’amico, a mettere a posto insieme a lui [noi cristiani non censuriamo, andiamo a casa altrui a mettere le cose a posto. Ricordate le Crociate?] (non guardate me, io ho già i miei, di calzini da raccogliere, con dodici piedi in giro per casa). [Lei c’ha da fare, è sottomessa.]

Prometto che qui non scriverò più nulla riguardo Costanza Miriano e il suo blog. Mi pare più che sufficiente quanto detto finora, nei secoli dei secoli. Amen.

(grazie a Feminoska)

Deconstructing “il sesso con sentimento”

pierinoQuello dell’educazione sessuale nelle scuole è un tema che in Italia non ha mai raggiunto un livello serenamente accettabile di dibattito pubblico, sia per qualità che per quantità. L’unica produzione massiccia e sistematica di comunicazione riguardo l’argomento “sesso a scuola”, in Italia, sono stati i film di Pierino. Per una seria e programmata educazione che renda gli italiani – almeno quelli del futuro – un po’ meno incoscienti e in balia di stereotipi e falsità riguardo qualunque argomento sessuale, nessun giornale o televisione s’è mai battuto molto. Questo è quello che, nel 2013, il più autorevole giornale d’Italia, secondo per tiratura solo alla Gazzetta dello Sport, pubblica in uno spazio della sua sezione “Cultura”, con l’incoraggiante titolo Come insegnare l’educazione sessuale a scuola?. Buona lettura.

Come insegnare l’educazione sessuale a scuola?

di Federica Mormando

La recente sentenza della Corte di Cassazione che nega la pedofilia in un rapporto sessuale fra un uomo di 60 anni e una bambina di 11, perché «c’era amore», mostra che di educazione sessuale ne hanno, e tanto, bisogno parecchi adulti, anche in posizioni di potere. [Su questo ultimo punto possiamo anche essere d’accordo, ma la famigerata sentenza non dice proprio così: dice che nel caso la Corte d’Appello non ha tenuto conto dell’attenuante dovuta al fatto che i due erano innamorati. Cosa gravissima lo stesso, ovviamente, ma da qualcuno che scrive sul Corriere io mi aspetto un’esattezza non ordinaria. La sentenza, in nessun modo, nega la pedofilia in quel caso.]

Invece l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato 85 pagine di guida all’educazione sessuale per i bambini da 0 a 16 anni, un po’ ambigua nella presentazione, visto che «…la matrice che illustra gli argomenti che deve affrontare l’educazione sessuale a seconda della fascia di età degli allievi (… ) presenta maggiori elementi per la concreta realizzazione dell’educazione sessuale olistica nella scuola, sebbene i presenti standard non vogliano essere una guida per l’attuazione dei programmi di educazione sessuale”. [E quale sarebbe l’ambiguità? Come tutti i documenti di grandi organizzazioni internazionali, essi non possono occuparsi dell’attuazione del loro oggetto: essi, appunto, parlano della realizzazione, cioè di cosa andrebbe fatto, ma non posso certo dire “come” realizzare le cose (l’attuazione), dato che le realtà di ciascun paese sono diverse. Quindi l’OMS dice ciò che secondo lei andrebbe fatto, ma non può certo dire come.]

Non risulta quindi chiarissimo lo scopo, [invece sì, dovrebbe bastare saper leggere] comunque “La richiesta di educazione sessuale anche per i più piccoli è stata supportata da un diverso modo di percepire le bambine e i bambini, ora percepiti come soggetti» ed è «concepita per offrire una panoramica degli argomenti che dovrebbero essere presentati a specifiche fasce di età» [e ti pare poco?].

E’ opportuno che i genitori ne conoscano le linee (si trova facilmente in Internet), visto che ci avranno a che fare.

Ad esempio, nella fascia da 0 a 4 anni, bisogna fra l’altro trasmettere informazioni su tutte le parti del corpo e le loro funzioni, su gioia e piacere nel toccare il proprio corpo, masturbazione infantile precoce, scoperta del proprio corpo e dei propri genitali. E sul fatto che la gioia del contatto fisico è un aspetto normale della vita di tutte le persone [sarebbe proprio ora, invece a tre anni trovi bambini già ben indottrinati a vergognarsi di cose che non hanno nulla di vergognoso].

Il programma prosegue dai 4 ai 6 anni con, fra l’altro, «relazioni con persone dello stesso sesso, amicizia e amore con persone dello stesso sesso, gioia e piacere nel toccare il proprio corpo (masturbazione precoce)» [e non ne vuoi parlare? Oppure preferiamo quei genitori sgomenti e imbarazzati davanti a un *pup* che, giustamente, si tocca?].

Eiaculazione e contraccettivi sono rimandati alla fascia 6-9 anni, mentre continua l’indottrinamento sulla masturbazione [ma che parola è indottrinamento? Detto così, sembra che l’OMS voglia insegnare a farsi le pippe e i ditalini prima dei dieci anni. Ma che linguaggio è?].

A mio avviso questo documento, più che guida, è espressione di patologie contemporanee [EH? Un documento ufficiale dell’OMS sarebbe scritto da gente con delle patologie? Federì, ma ti stai rendendo conto di quello che dici?] oltre che della presunzione che intride la società di poter riprodurre meglio che in natura la formazione delle persone, da quella motoria a quella sessuale [la presunzione di fare CHE COSA? Quindi esiste una “formazione naturale”? E quale sarebbe la formazione naturale al giorno d’oggi, a parte lo stato brado in qualche foresta pluviale? Ancora crediamo che la parola naturale voglia dire qualcosa di univoco per tutti? Ricordo a chi legge che questo testo appare nello spazio che vuole mettere a confronto genitori e insegnanti. E chi dei due avallerebbe una frase come la società (presume) di poter riprodurre meglio che in natura la formazione delle persone? Così, per curiosità].

Spaventa il probabile non rispetto dei tempi individuali [sono indicati dei margini di qualche anno, eh], e del complesso di emozioni e trepidazioni, ansie e paure, che se dette perdono magia, di cui è costituito tutto il nostro crescere. [SCUSA NON HO CAPITO. Dovrei essere contento di conservare la magia di tutto quello che non so e non capisco sul mio corpo? Per poi magari farmela spiegare dal pornazzo mainstream sul web, o dal primo maldestro che mi mette le mani addosso? Dovrei tenermi ansie e paure perché comunque è meglio la magia?Quello che c’è da opporre a un documento dell’OMS è la magia del non dire emozioni e trepidazioni? Annàmo bene.]

Fermo restando che il «mai rispondere agli estranei, e se qualcuno ti tocca urla» va ben dichiarato prima dei 4 anni (mentre l’OMS fa parlare dell’abuso dai 4 ai 6), perché voler spiegare ciò che è esperienziale, chi può sostenere che spingere a razionalizzare le sensazioni in questi casi arricchisca e non impoverisca? [E perché parlare di quelle sensazioni e inserirle in un percorso educativo significherebbe razionalizzarle? E perché razionalizzare è connotato negativamente? E perché non parliamo degli evidenti pregiudizi di chi ha scritto questo articolo?] Masturbazione, gioco del dottore, bersaglio una volta di demonizzazioni e ora di lezioni [EH? L’OMS prescrive lezioni sul gioco del dottore? E quanto è in malafede usare un’espressione come “lezioni di masturbazione”, lasciando immaginare che ci sia uno seduto sulla cattedra a menarsi il battacchio? Pensa alla quinta ora come ci arriva, poveretto], sono esperienze private, perché renderle codificate [ma che vuol dire codificate? Ci sarà una classificazione dei tipi di seghe? E perché, di nuovo, codificare qualcosa significa renderlo brutto e cattivo?] (e far pensare a chi non si masturba di aver problemi)? [MA CHI LO HA DETTO? Ma che modo di ragionare è? Ma davvero c’è chi pensa che l’educazione sessuale in classe obblighi a masturbarsi? Che sarebbero, i compiti a casa? “Uffa, per domani quella di educazione sessuale c’ha dato tre pippe con la mano sinistra. Ma a me non va per niente” “E ti dice bene, io mi devo infilare un cetriolo in culo!”] Perché doverne parlare? [E perché no? Perché chi scrive questo articolo non argomenta a sostegno della magia contro le indicazioni dell’OMS? E perché invece aspettare di arrivare in silenzio a violenze, a gravidanze indesiderate, a malattie trasmesse sessualmente? Poi che ci fai con la magia?]

Si iniziava anni fa con le «storie» narrate alla televisione [ma quando mai? Ma chi , ma dove? Quali storie? Un link, un nome…], si è proseguito con le foto su Facebook [EH? Si è proseguito cosa? L’educazione sessuale, su Facebook? Ma cos’è questo farfugliare? E’ il Corriere, oh!], si dovrà continuare con l’educazione al racconto delle sensazioni masturbatorie? [E di nuovo, perché no? E soprattutto, perché da raccontare ci sarebbero solo e soltanto le sensazioni masturbatorie? Ma chi ha deciso che l’educazione sessuale sia solo parlare della masturbazione?]

E se l’educazione sessuale invece dovesse essere tutt’altro? [E lo è, mia cara, di nuovo: dovrebbe bastare saper leggere.]

Il papà e i suoi amici che non fanno commenti sulle ragazze. Le mamme che non li permettono. I giornali che riproducono immagini rispettose. I miti che migrano dai corpi belli alle belle menti ed anime. [Vabbè, sì, ci sono anche queste cose, ma non così mescolate e così moraleggianti. E poi niente stereotipi sessisti, per favore, dato che parliamo di educazione sessuale.]

I genitori e gli adulti che parlano di amore, di sentimenti, che si rispettano e chiedono a se stessi e ai bambini cosa facciamo per renderci felici? [Amore, sentimenti? Ho un sospetto… Federica, dove vuoi andare a parare?]

E se l’educazione sessuale fosse un corollario di quella sentimentale e civile? [Buongiorno, ben arrivata, salve, tutto bene? Però quel sentimentale a me non convince molto… secondo me non è molto chiaro cosa sarebbe l’educazione sentimentale.]

Se prima, molto prima di sapere la fisiologia del sesso si vedessero papà e mamma baciarsi, non sarebbe un’ottima prefazione ai sentimenti futuri? [EH? A parte che non sta scritto da nessuna parte che la fisiologia del sesso sia da raccontare come fossero le istruzioni per montare un mobile IKEA, posso sapere che cosa c’azzeccano i baci di mamma e papà? Che è, sesso, quello? E poi i sentimenti? Solo coppie etero? Ancora stiamo a questo livello? Sul Corriere si parla così di educazione sessuale?]

E se si ricollegasse il sesso al sentimento, per maschi e femmine? [E te pareva che non finiva così. Ecco la soluzione all’italiana, per l’educazione sessuale nelle scuole: bandire il “sesso senza amore” fin da piccoli. Complimenti. Tranquilli bambini! Sarà l’amore a farvi conoscere il vostro corpo, così, per illuminazione; tranquilli ragazzi, sarà l’amore a non farvi prendere la sifilide, il papillomavirus, l’AIDS, l’epatite B o C. E a insegnarvi come fare sesso in maniera piacevole e non violenta con chi vi pare. Davvero incommentabile.]

Per qualcosa di più sensato sulla masturbazione, leggete qui. Per l’educazione sessuale nelle scuole italiane c’è ancora molto da lavorare, e come si legge, per esempio, su “l’Unità” due giorni fa, è sempre più evidente che  in ballo ci sia qualcosa di più grosso che una “semplice” riforma dei programmi scolastici. Nel frattempo, in altri paesi, con una comunicazione più efficace e libera da grotteschi moralismi si ottengono risultati importanti. Dàje.

Deconstructing il Queer Bilderberg

muccassassina_672-458_resizeEbbene sì: c’è in atto un complotto internazionale che vuole il mondo abitato da poche persone che non si riproducono e che sono facilmente influenzabili soprattutto nei loro costumi sessuali. Vi lascerà stupiti tutto ciò, eppure è così, ci dicono: è in atto una Rivoluzione sessuale globale e noi siamo ancora qui, seduti davanti a un gelido schermo luminoso invece di copulare a volontà con partners neanche mai lontanamente immaginati. Che imbecilli.

Prima di addentrarci nell’esame del testo rivelatore di questo nefando disegno internazionale, che ci vuole tutti sterili e insensatamente dissoluti, una piccola nota e una raccomandazione squisitamente filosofiche – perdonatemi per qualche riga, poi capirete perché.

Nota: Ratzinger soprattutto ha sostenuto praticamente un giorno sì e l’altro pure della sua carriera anche precedente il soglio papale qual è il male del secolo, ovverosia: altro che AIDS, cancro e guerre sostenute dal capitalismo, ciò che fa tanto male al genere umano è il dispregio di ogni verità assoluta – tipo diopadre, Cristo e altre di queste cose. Il relativismo (questo è il nome del male supremo tra i supremi) è quell’atteggiamento filosofico – non è una dottrina, o si contraddirebbe – che ritiene inesistenti le verità assolute, oppure che non siano conoscibili o esprimibili, o che comunque lo possono essere solo in parte, cioè relativamente a circostanze storiche. A questo modo di intendere e interpretare il rapporto dell’uomo col mondo la chiesa cattolica – ma non solo lei – si oppone, sostenendo ovviamente che invece gli assoluti esistono (sarebbero quelli che dice lei) e dimenticandosi a bella posta che essa stessa è nata in un particolare periodo storico, e che tantissima altra umanità, altrove, ne fa a meno senza farsi problemi.
Raccomandazione: non credete a nulla di quello che “si dice” su Nietzsche. Vi prego.

Ma adesso addentriamoci nel complotto più relativista di tutti.

Rivoluzione sessuale globale

di Antonio Malo (Professore Ordinario di Antropologia nella Pontificia Università della Santa Croce) [Capito? Mica pizza e fichi – qui una spiegazione per gli esterni al G.R.A.]

L’autrice del libro La rivoluzione sessuale globale (Die globale sexuelle Revolution), la sociologa e pubblicista tedesca Gabriele Kuby, è una delle poche voci che con autorità riconosciuta si levano per criticare il relativismo occidentale odierno. [Eccoci qui; la nostra eroina Gabriele, nota al mondo per accusare di relativismo nientepopodimenoche Harry Potter, ha davvero una storia personale interessante e per niente relativista, no no.] A lei si deve, ad esempio, che il ministro federale della famiglia in Germania, Ursula von der Leyen, sia stata obbligata a togliere dalla circolazione il libro di educazione sessuale Corpo, amore, il gioco del dottore, in cui fra altre aberrazioni si invita ai genitori a giocare sessualmente con i loro bambini. [Non voglio mettere link appositamente: se anche voi credete davvero che in Germania sia stata mai autorizzata la stampa e la vendita di un libro di educazione sessuale apertamente pedofilo, siete nel blog sbagliato.]

Il saggio di cui mi occupo riprende alcuni temi di due delle sue opere precedenti [scusate il prof. Malo per il suo italiano, è molto emozionato]: Gender Revolution. Il relativismo in azione (Cantagalli 2008) e Statalizzazione dell’educazione. Sulla via per diventare uomini nuovi (2007). Adesso però la sua denuncia acquista una portata universale. [Prima ce l’aveva solo con Harry Potter, che infatti è noto solo nel suo paese, no?] Da qui il titolo del libro La rivoluzione sessuale globale; una rivoluzione che, come indica il sottotitolo (Distruzione della libertà nel nome della libertà), pretende di cambiare radicalmente le persone e la società facendo leva su una volontà di potenza, di chiara ispirazione nietzschiana. [Notate che non s’è capito né di che rivoluzione si tratti, né cosa c’entra la libertà e soprattutto perché ci deve andare di mezzo sempre il povero Federico.] A partire da questa chiave interpretativa [quale? E soprattutto, chiave interpretativa di che cosa?], Kuby riesce a raccontare la storia, i metodi e le conseguenze di un’agenda globale potentissima [la storia di un’agenda globale, ditemi che ho letto male, vi prego] che cerca di modificare le costituzioni dei paesi, le istituzioni educative e le consuetudini dei cittadini [oh mamma, la SP.E.C.T.R.E.!] con un solo scopo: la costruzione di una società globale in cui le persone siano poche e completamente manipolabili. [Ricapitoliamo: un professore ordinario di antropologia ci dice che trova importante il saggio di una sociologa che prima ha scritto contro le posizioni relativiste sostenute dalla saga di Harry Potter, poi adesso ha individuato un complotto internazionale per decimare la popolazione del globo e renderla idiota. E secondo loro ancora dovremmo starli a sentire.]

A qualcuno potrebbe venire in mente il pensiero: “Ecco, un altro libro sui complotti”. [Antò, guarda, a questo punto di pensieri me ne sono venuti già di ben peggiori.] Basta, però, guardare alla quantità di documenti analizzati, ai fatti e alle statistiche raccolte per capire di trovarci di fronte a un libro rigoroso e oggettivo. [Documenti, fatti e statistiche che qui non vengono citati manco di striscio, purtroppo. Si va a fiducia, che com’è noto non è affatto relativa.] Nonostante la mole di materiale, la lettura del libro, lungi dall’essere noiosa, diventa pagina dopo pagina piena di suspense e di rivelazioni sorprendenti. [Ah, noioso il libro non lo è di sicuro: già solo questa recensione mi sta facendo schiattare dalle risate!] Il lettore viene informato del retroscena, i mezzi e la ragnatela di organizzazioni governative e non governative implicate nella messa in pratica di questa agenda globale. [Che culo, eh? Noi sappiamo tutto – grazie Kuby! – mentre il mondo, ancora ignaro, vive tranquillo.] Nel contempo gli si offrono le categorie antropologiche e sociologiche necessarie perché questi possa fare le valutazioni pertinenti con cui prendere decisioni.[Non bastavano documenti, fatti e statistiche, c’è anche un compendio di antropologia e sociologia che permette a tutti di raggiungere il grado di preparazione necessario a fare le valutazioni pertinenti – senza, le vostre valutazioni non sarebbero pertinenti, eh – e anche a prendere decisioni. Tipo buttare via il libro, per esempio.]

Nella prima parte del libro (capitoli 1-4), l’autrice presenta brevemente l’origine storica dell’attuale rivoluzione sessuale. [NO! Ce la siamo persa! Ecco, succede una cosa interessante e tocca venirla a sapere da un libro di una in odore di beatificazione. Però la rivoluzione sessuale è attuale, se ci diamo una mossa forse facciamo in tempo per l’afterhour.] Dopo aver segnalato la rivoluzione francese come punto di inizio storico della lotta per raggiungere l’uguaglianza, indica il movimento femminista del 68 come tappa precedente all’ideologia di genere, [FERMI TUTTI, un momento. A casa mia, 1968 meno 1789 fa 179 anni. Non è successo niente, in questi quasi due secoli? E poi, che sarebbe l’ideologia di genere? Ah, già, ne abbiamo parlato qui.] secondo cui l’umanità non è fatta di uomini e donne, bensì di un’informe massa di uguali [EH?] che hanno il diritto di costruirsi la propria identità sessuale. [Scusi la critica, prof. Malo, ma la vedo parecchio confusa nel muoversi tra i concetti di sesso e genere. Senza offesa, eh.] Il filo rosso che collega il ‘68 e l’ideologia di genere è, secondo l’autrice, il maltusianismo, cioè il tentativo di diminuire la popolazione mondiale, soprattutto i poveri di Occidente e dei paesi in via di sviluppo. [Premesso che quello cui si riferisce Malo è il neomaltusianismo, non si capisce come questa teoria sia collegata alle questioni di genere: la teoria dice che dovremmo controllare le nascite, non che l’eterosessualità deve scomparire dalla faccia della terra. Questo, casomai, è roba di Kuby.] Da questo punto di vista sono molto interessanti i ritratti intellettuali di alcune figure di spicco, come Margret Sanger, Alexandra Kollonti, Wilhelm Reich, Eddie Bernays, Simone de Beauvoir, John Money, Judith Butler, ecc. [Sì, sono interessanti, ma non hai detto che cosa c’entrano e perché. Poteva essere pure la formazione dello Stade de Reims del ’59.] L’impulso globale della rivoluzione sessuale non procede, però, solo dalle idee, ma soprattutto dalle conferenze organizzate dalle Nazioni Unite (Pechino, Il Cairo, ecc.) con cui si è tentato di decostruire i diritti umani, la sessualità, la famiglia.[Quindi l’ONU fa parte di – o forse è, sotto mentite spoglie – la SP.E.C.T.R.E.: sono loro che decostruiscono i diritti umani, la sessualità, la famiglia. Cose delle quali, malgrado ci fossero apposite conferenze internazionali pubbliche, s’è accorta solo la Kuby.] Da lì sono partiti alcuni degli slogan che hanno fatto il giro del mondo, come l’aborto è un diritto della donna, il “genere” non va imposto ma scelto. [Ah, ecco, questi sarebbero slogan. E il relativista sarei io.] Nonostante i secoli trascorsi, i metodi della rivoluzione sessuale globale sono gli stessi della vecchia rivoluzione francese: il terrore. [EH? COSA? Il terrore? L’ONU sta imponendo al mondo di cambiare genere sessuale con il terrore? Antò, sei proprio sicuro? Non è che ti sei entusiasmato un po’ troppo?] Oggi, però, la ghigliottina non taglia le teste degli oppositori, ma “solo” il posto di lavoro, la carriera accademica o politica. [Quindi chi si oppone alla rivoluzione sessuale globale viene licenziato, perde il posto, il prestigio sociale e il suo peso politico? MA MAGARI!!! A quest’ora Vladimir Luxuria sarebbe segretaria generale della NATO!]

Nella seconda parte (capitoli 5-10), Kuby continua la sua analisi degli organismi e dei documenti con cui si tenta di introdurre l’ideologia di genere. Fra questi ultimi concede particolare valore ai 29 principi di Yogiakarta, che furono formulati nel 2007 da un gruppo di “famosi esperti” senza autorizzazione né legittimazione in un incontro privato nella capitale indonesiana. [Stiamo parlando di questo segretissimo e inquietante documento che qui vi presentiamo in esclusiva galattica.] Nel marzo dello stesso anno, questi principi furono presentati all’opinione pubblica nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra. [Neanche Totò sarebbe riuscito a mistificare le cose come sta facendo Malo.] L’Unione Europea li accolse subito e incominciò a imporli alle istituzioni, ospedali, tribunali… e anche agli asili e alle scuole. [Incominciò a imporli! E da noi quando arrivano?No, perché siamo stufi di vedere ambienti LGBTQI ovunque tranne che in Italia, eh?] Perché, come spiega l’autrice in un altro capitolo, per distruggere il fondamento della famiglia si deve minare l’unione eterosessuale, [che bella novità cattolica, meno male che lo spiega l’autrice] il che non è facile fra adulti nella stragrande maggioranza eterosessuali. [E certo, adesso ad avere un problema di resistenza al sistema sono gli eterosessuali, vero?] Invece i bambini e gli adolescenti possono essere facilmente plasmati, soprattutto se chi occupa il ministero delle politiche familiari condivide quest’ideologia. [Infatti, com’è noto, i ministri delle politiche familiari sono i veri potenti nei governi, mica quelli degli Interni, degli Esteri o dell’Economia che invece non plasmano nessuno con le loro politiche, con la loro comunicazione.] Come documenta Kuby, sempre più spesso nella scuola e nel giardino d’infanzia i bambini vengono sessualizzati con giochi, fiabe, rappresentazioni teatrali. [Sì, ma di rosa e celeste, mica queer!] Essi vengono così derubati dell’innocenza tipica dell’infanzia. Si presenta ai bambini ogni sorta di pratica sessuale deviante come scelta equivalente incoraggiandoli a esperimentarla. [Ci siete ancora? Il professor Malo, supportato dai documenti, fatti e statistiche di Kuby, sostiene che i ministri delle politiche familiari presentano nelle scuole pubbliche ogni sorta di pratica sessuale deviante. E il relativista sono sempre io eh, loro stanno bene così.] Con ciò la loro personalità può subire cambiamenti irreversibili. [Invece Kuby sta a posto, dopo la conversione?] Inoltre, le istanze statali creano strutture per minare attraverso l’educazione sessuale generalizzata e obbligatoria a partire dalla scuola materna il diritto e l’autorità dei genitori. [Siamo allo Stato Queer contro i genitori eterosessuali. Come se Platone e Platinette si fossero coalizzati. Ma dove le prende Malo ‘ste fantasie? Che fumetti legge?] Nell’implementazione dell’ideologia di genere gioca anche un ruolo decisivo la violenza linguistica e la pornografia, definita dall’autrice la nuova piaga globale. [Nuova? La pornografia?] Mediante la creazione di neologismi come “gender”, la sostituzione di parole, come genitore A (padre) e genitore B (madre) e l’attacco al linguaggio non solo si corrompono le parole, ma si dà origine a “nuove realtà”, poiché — come hanno sempre pensato gli ideologi di ogni tempo – “non è la verità a farci liberi, ma la libertà a fare la verità”. [A parte che “gender” non è un neologismo ma casomai un prestito, l’ONU sarebbe anche la responsabile del nostro linguaggio ormai del tutto corrotto verso l’ideologia di genere? E come mai siamo ancora pieni di insulti, stereotipi e luoghi comuni sessisti, allora? E quella cretinata tra virgolette, chi l’avrebbe detta? Chi sono gli ideologi di ogni tempo? Non si sa. E’ un complotto, dopotutto, mica possiamo fare i nomi, bisogna fidarsi, senza relativismi.]

Nell’ultima parte del libro (capitoli 11-15), Kuby analizza le armi che il nuovo totalitarismo usa per combattere i ribelli: l’intolleranza e la discriminazione. [Notate il linguaggio militare, tipico dell’antropologia e della sociologia, si sa.] In questo modo l’autrice sottolinea il paradosso, già accennato nel sottotitolo, di cercar di togliere la libertà nel nome della libertà. [I diritti LGBTQI sarebbero un “togliere la libertà” agli eterosessuali. Certo, come no. Allora Rosa Parks voleva i bianchi tutti in piedi sull’autobus, ‘sta stronza.] Di fronte a questa dittatura relativista che strumentalizza la sessualità per imporre una nuova concezione della persona, l’autrice consiglia di formare la propria coscienza sulla scia della verità. [E indovinate quale verità? Ma quella non relativa, no? LA NOSTRA.] Come antidoto alle derive dell’ideologia di genere, propone di educare non alla sessualità, ma all’amore [aaaaaaah l’amooore / questo folle sentimento che / aaaaaaah l’amooore / più lo fuggo e più ritorna da meeee].

Come scrive Spaemann nella prefazione, [ma sì, buttiamo là un cognome] si deve ringraziare l’autrice per il coraggio di andare controcorrente [uh, guarda, un sacco controcorrente] offrendoci un saggio che illumina ciò che si nasconde sotto i cambiamenti linguistici, le mode pedagogiche e accademiche che ad un primo sguardo sembrerebbero solo una bizzarria, quando in realtà sono strumenti di una volontà di potenza [perdonalo, Federico, perdonalo] impegnata alla costruzione di una nuova umanità [e che è, l’Internazionale socialista?]. Penso perciò che questo libro meriterebbe di essere tradotto nelle principali lingue. [Eh, su questo l’ONU è in vantaggio, bisogna ammetterlo.] A questo scopo, mi permetto di dare due suggerimenti all’autrice. [Malo è partito per la tangente, adesso propone suggerimenti per migliorare il testo di Kuby, sai com’è tra eterosessuali, l’uomo comunque ha un po’ più di ragione rispetto alla donna.] In primo luogo, di rivedere i capitoli dell’ultima parte per darle più unità togliendo ripetizioni [eh eh, Kuby, ti sei ripetuta, eh? Forse Harry Potter, il tuo acerrimo nemico, t’ha fatto l’incantesimo dell’eco]; in secondo luogo, di distinguere fra almeno due tipi di femminismo [ecco, adesso ce lo dice Malo cos’è il femminismo]: quello che ha lottato e continua a farlo per il riconoscimento dei diritti politici e sociali delle donne, cioè per l’uguaglianza della donna come persona [brrr], e quello, invece, radicale, che scimmiotta una sessualità maschile degenere [scusi?] per la quale il sesso si riduce ad un uso della genitalità senza responsabilità. [“genitalità” invece non è un neologismo, no no, non è sostituzione di parole o attacco al linguaggio. E il relativista sono sempre io.] In questo modo apparirà con più chiarezza ciò che costituisce il genio femminile, la donazione, [donna = producifigli, questo sì che è femminismo!] la cui rivendicazione, lungi dall’essere un ostacolo all’amore, ne è la premessa.

Allora? Siete pronti per la rivoluzione sessuale globale? Mi raccomando portate l’amore, lasciate a casa il relativismo e attenzione all’ONU! Non fate tardi eh!

(Ringrazio Chiara per i documenti, i fatti e le statistiche 😀 )