Mi sveglio, sono a casa. Sono le 8, non è tardi ma è meglio se mi sbrigo. Mi lavo, vesto, riempio la borsa delle cose che mi serviranno e via, di corsa verso il treno. Ho la gonna, fa caldo, il sole mi riscalda appena. Amo la primavera. Passo davanti alla banca, la guardia mi squadra, faccio finta di nulla. Procedo. Passo davanti ad una salumeria, sento un fischio, mi dà sui nervi, ma procedo. Gli anziani che sono in fila chissà da quanto alla posta mi guardano, alcuni sorridono, altri parlano piano, procedo. Mi sento osservata, la gonna sarà pure corta ma a voi che importa? Non le avete mai viste due cosce da fuori? Vorrei urlarglielo, ma taccio e procedo. Arrivo al treno, un biglietto prego. Pago, non posso non farlo, maledetti controlli. Il biglietto è aumentato ma il servizio fa più schifo di prima. Il treno arriva, provo ad entrare, siamo già uno sull’altr@ e mancano 10 fermate, saliranno altre persone, la sola idea mi fa star male. Il contatto non mi dispiace, amo sentire i corpi ma non in treno, non in questo modo, non ho scelta, devo starti addosso e tu starai addosso a me e “scusatemi tanto signorina, stiamo stretti” non basta se mi hai sfiorato il culo. Voglio urlare, ma taccio perché sono le 10 di mattina e vorrei solo arrivare tranquilla all’università, dove sicuramente perderò la pazienza. Arriva la mia fermata, tutt@ scendono, sono libera.
Cammino felice, il sole sta salendo e i suoi raggi riscaldano di più. Vado in dipartimento, devo chiedere delle cose ad un professore. Lui non c’è, i baroni se la prendono comoda. Vado alla macchinetta, mi prendo un caffè, vedo che la mia gonna attira interesse, continuo a chiedermi cosa ci sia di così sbalorditivo. Mentre ritorno davanti allo studio del professore passa un assistente, mi guarda dalla testa ai piedi, so già cosa sta pensando “gonna=stupida”. Non mi scandalizzo, so bene che lo pensano davvero, poveri scemi. Non abbasso lo sguardo, so che gli farei un piacere, e attendo finché il professore arriva e anche lui mi squadra, ma mi faccio coraggio, gli chiedo quello che dovevo, lui prova a trattarmi come un’emerita imbecille, ribadendomi ovvietà e concetti che avevo già chiari, cerco di farglielo capire, nulla, non mi ascolta. Lo saluto, ringrazio per forma, nella testa lo mando a cagare, corro giù per le scale, devo andare in biblioteca a cercare questi libri, ma è tardi quindi volo. Le strade sono piene di luce, amo la mia città, è così radiosa e viva, la gente parla a voce alta e nel caos mi inebrio. Arrivo in biblioteca, ripongo la borsa, mi porto l’agenda con i titoli, prelevo la tessera, salgo al secondo piano e inizio la ricerca. Incontro un’amica, dio quanto è bella, ci piacciamo ma lei è fidanzata quindi nada, me la devo togliere dalla testa. Però è bella e le sorrido, ci scherzo e ci abbracciamo, mi piace il suo profumo. I custodi ci guardano in modo strano, ed io decido di fregarmene, la stringo più forte che posso e che loro schiattassero di rabbia.
Pranzo insieme a lei ma poi tocca lasciarsi. Devo passare dalle compagne, al centro sociale, dobbiamo decidere se fare o meno un evento. Entro e saluto chi c’è, trovo una compagna, me la strapazzo e poi iniziamo a parlare. Non siamo mai state brave a rimanere fisse su un argomento, quindi dall’evento si passa a raccontarsi le ultime news e lì andiamo a ruota libera. Racconto della mia voglia di farmi legare, dio quanto tempo è passato dall’ultima volta? La mia compagna mi capisce, anche lei ne ha voglia, ma le ultime esperienze sono andate male quindi non si fida più. Parliamo e le nostre voci non sono basse, non ce lo poniamo il problema che i nostri piaceri possano disturbare qualcun@. E perché mai? Ed invece succede, non te lo verranno a dire, ma ti guardano e appizzano le orecchie. Sono compagni, sì, ma non per questo immuni dal sessismo. So quello che pensano di me, so cosa pensano della mia amica, lo so, siamo zoccole ma a noi piace, ce lo rivendichiamo e delle nostre “depravazione” ce ne facciamo vanto. Arrivano le altre, che belle che siamo, si respira un’aria diversa insieme e io mi sento invincibile. Passa il pomeriggio e tra una news e un elenco delle cose da fare entro la settimana riusciamo a decidere ciò che si doveva. E’ tardi, sono le 19,30 e io devo rientrare. Saluto le compagne e vado a prendere il treno.
Di sera una gonna desta ancora più interesse. Arrivano i fischi e io accelero. Procedo a passo svelto, e non guardo in faccia nessun@, controllo l’orario del treno e come sempre a quell’ora i controlli non ci sono, passo e chissene frega del biglietto, non lo pago e non vorrei pagarlo neanche all’andata. La stazione è piena di persone, sono stanca, mi trovo un posto a sedere e aspetto. Un ragazzo fa avanti e indietro, mi fissa, spero che non mi chieda nulla o che non voglia rubarmi nulla, anche perché farebbe un buco nell’acqua, ho a mala pena un euro e 20 centesimi nel portafoglio. Arriva il treno, salgo, vorrei un posto a sedere ma niente, è pieno. Allora sto in piedi e quel tipo mi sta ancora fissando. Vorrei dirglielo che la deve smettere ma sono stanca e non voglio stare lì a reggere una discussione che finirà con un “ti sei impressionata”. Arriva la mia fermata, scendo e corro verso casa. Mi fanno male i piedi.
Sono vicino al portone, cerco la chiave, un gruppo di ragazzi passa e uno di loro mi urla “che bei capelli” tirandomene una ciocca. Non ce la faccio più. Con tutta la voce che ho gli urlo “deficienti” e loro ridono, ma che cazzo se ridono? Vanno avanti, loro, spavaldi dell’educazione che li vuole strafottenti. Ci hanno ingabbiati, tutt@. Salgo le scale, penso che ho urlato davvero forte, che quell’urlo non era solo per quei ragazzini, era per liberarmi dalla rabbia di un’intera giornata, vorrei poter dire che domani sarà meglio, ma non è vero. Domani la giostra ricomincerà ed io reagirò come posso e quando non lo farò mi diranno che potevo, quindi se non l’ho fatto merito ciò che ho subito. Perché chi parla spesso non ha idea di quante cose ci cadono addosso, di quante violenze una giornata è composta. Io reagisco e non chiedo mai di subire, ma non scaricate tutto su di me, come se fosse un problema mio, come se il mio solo reagire avesse il potere di cambiare il sistema. Reagite anche voi alle violenze che osservate, che non subite ma a cui partecipate con lo sguardo, l’orecchio, reagite ad ogni insulto, ogni battuta, ogni sguardo viscido e poi venitemelo ancora a dire che “se non reagisco è colpa mia”.
P.S. se non è chiaro, non sto suggerendo alle donne di subire ma sto chiedendo, a chi ci dice che non lo facciamo abbastanza e che se non lo facciamo allora quello che ci accade è colpa nostra, che non è così e che è troppo facile parlare quando non si è il soggetto che le subisce.