Siamo felici di potervi proporre un’interessante intervista fatta ad Egon, genitore transessuale, che ha, gentilmente, accettato di rispondere a delle domande sulla transgenitorialità, argomento di cui si parla, si legge e quindi si conosce ben poco. Buona lettura!
1) Quando è iniziata la tua transizione?
Ufficialmente la mia transizione è iniziata nel 2011, con la presa in carico del mio caso da parte dell’ospedale Careggi di Firenze, dove, presso il reparto di endocrinologia, c’è un centro specializzato nei “disturbi di genere”. In realtà quello è stato solo il momento in cui ho scelto di affrontare questo mio sentire, che in realtà mi ha accompagnato, in vari modi e in varie fasi, per tutta la vita. Il mio rapporto con quello che credevo fosse la mia parte oscura, ha un’immagine ben precisa: era come se dentro di me ci fosse una porta, con scritto sopra a caratteri cubitali, “non aprire”, ed io mi ero attenuto a questo divieto, girandoci solo intorno, spiando dalla serratura, finchè un giorno la porta si è spalancata, e quello che è uscito fuori non è più voluto rientrare. Il divieto che mi impediva di oltrepassare quella soglia e conoscerne il contenuto era fatto di paura, paura di essere troppo diverso, di perdere tutti gli affetti per colpa di questa diversità inconcepibile, di perdere i miei genitori, di perdere la possibilità di vivere nel mondo, nella società e di morire quindi solo e abbandonato, nella indigenza più assoluta. Quindi evitavo di domandarmi perchè, fin da piccolissimo, avrei voluto essere un maschio, perchè nei miei giochi di fantasia io fossi esclusivamente un personaggio maschile, perchè, quando scendeva la sera, io non vedevo l’ora di andare a letto e giocare, così disteso, ad essere un ragazzo, ed inventare da fermo strane avventure. Poi venne anche la scrittura, ed anche nelle mie storie io ero sempre un eroe maschile. Alla fine cominciai a vedere, nella mia immagine riflessa allo specchio, quella di un mio doppio maschile, che mi guardava beffardo ed inarrivabile, una specie di fratello cattivo che mi tormentava con la sua bellezza…stavo lunghi momenti ad ammirarmi schiacciandomi il seno, estasiato dal mio busto piatto… Come donna mi sentivo completamente inadeguata, disarmata, non capivo le regole e le necessità della socializzazione al femminile, e detestavo ed invidiavo al contempo le rappresentanti del mio sesso biologico che sembravano invece padroneggiarla con disinvoltura…qualche volta fingevo di essere come loro… Mi piacevano i giochi maschili, fisici, o i giocattoli come le macchinine, mentre detestavo le bambole…quando ad 11 anni ho voluto le prime barbie, facevo finta che fossero ragazzi e creavo storie complicatissime che li vedeva protagonisti. Ho creduto spesso di essere pazzo, schizofrenico e piangevo molto: mi chiudevo nella mia camera e piangevo per ore, inconsolabile, sentendomi assai solo. Odiavo di me anche questa necessità irrefrenabile di piangere, salvo scoprire molto più tardi che questa capacità mi ha salvato, facendo sfogare fuori tutto questo mio mondo interiore che non capivo e di cui ero profondamente spaventato ed imbarazzato. Ho vissuto alcuni anni da lesbica bucht, sentendomi bene perché le “mie” donne mi trattavano da uomo, ma anche in questa esperienza c’era qualcosa che mi metteva a disagio, c’era qualcosa di falso, di incompleto. Oltretutto a quei tempi il mondo lesbico era assai separatista, ed io che mi dichiaravo bisessuale ( l’unica cosa di cui sono stato sempre sicuro) venivo visto come un traditore, un insicuro. I bisessuali non erano concepiti allora nel mondo omosessuale, c’era il detto “bisex now, gay later”. Poi è cominciato il tentativo di adeguarmi, di cercare di vivere secondo quello che il mondo si aspettava da me. Ho conosciuto, sul lavoro, un ragazzo più giovane di me, un ragazzo di cui avevo molta stima, bravo nella sua attività, onesto, intelligente e di un moralità assai rigida. Nonostante la nostra diversità, un giorno lui mi disse che si era innamorato di me. Mi cascò il mondo addosso: avevo raggiunto un equilibrio, in quel momento ero single ed avevo una vita sessuale abbastanza libera, il lavoro andava bene, il divertimento anche…ma a quel ragazzo così onesto, così per bene, ricco, come potevo dire di no, sottrarmi a questa fortuna? Era come un treno che passava ed io dovevo montarci per forza. Lui si stabilì nella casa che io avevo in affitto ed abbiamo avuto una storia di 9 anni: ci siamo sposati, abbiamo fatto due bambini che io desideravo, abbiamo creato un’attività insieme, ma quella persona, che per me rappresentava la stabilità che io non avevo, il punto fermo di affetto incrollabile che io cercavo non avendolo trovato nei miei genitori, era sopratutto una gabbia. Lui ha creato intorno a me una prigione, talmente soffocante da essere, credo, il detonatore che ha aperto per sempre quella porta che fino ad allora non mi ero deciso ad affrontare. Quando ho ricominciato, a 39 anni , a vivere solo nel mio mondo di fantasia, a fare finta di essere un uomo, ho finalmente accettato di indagare quello che stavo facendo, a volergli dare un significato. Tra l’altro, per resistere alla quotidianità, avevo cominciato a bere. Mi rivolsi dapprima ad una terapeuta con cui ebbi il coraggio di parlare del maschio che viveva dentro di me e da lì presi la decisione di rivolgermi ad un centro specializzato. Ero spaventatissimo, ma ero anche stanco di scappare. Così, al Careggi, ho affrontato 9 mesi di incontri con gli psichiatri; mi sono stati somministrati test lunghissimi per valutare la “disforia di genere” (questo è il termine per il transessualismo), per fare diagnosi differenziate, mi hanno dato psicofarmaci per combattere l’ansia e la depressione che avevo (che ho accettato di prendere solo per amore dei miei figli, perchè non volevo che mi vedessero più piangere disperato per ore), ed alla fine dei 9 mesi è stata “emessa” la diagnosi di transessualismo. Così mi sono potuto rivolgere all’endocrinologo (che fa sempre parte dello staff del centro specializzato) per avere la cura mascolinizzante, a base di testosterone, che pian piano ha modificato il mio corpo: sono cresciuti i peli, i muscoli, il viso si è scavato, il grasso spostato, il clitoride è aumentato di volume, così come la libido. Dopo un anno e mezzo di ormoni (che comunque dovrò prendere per tutta la vita) e dopo un iter lunghissimo al tribunale, mi sono operato di mastectomia (rimozione del seno) all’ospedale Cattinara di Trieste.
Per “finire” il percorso, e cambiare i documenti, dovrò anche fare l’isterectomia. Contestualmente a tutto ciò è stato per me fondamentale il lavoro psicologico fatto con la psicologa del consultorio Trans Genere di Torre del Lago, che mi sostiene dall’inizio del percorso e che è una delle mie principali risorse per affrontare tutte le difficoltà di questo lungo cammino.
2) Quando hai iniziato il tuo percorso FTM eri già genitore di due figli: avevi paura della loro reazione rispetto al tuo cambiamento? E se sì come sei riuscito a superarla?
Quando ho iniziato la transizione mia figlia aveva 3 anni e mio figlio 5. Loro stati la roccia dura su cui io ho potuto appoggiare i piedi…tutto intorno a me franava e l’unica cosa certa era la loro presenza, il fatto che, così piccoli, loro avevano bisogno di me, della loro mamma, e che questa mamma funzionasse. Non riuscivo a vedere niente del mio futuro, l’unica immagine che mi teneva a galla era quelle di me, transizionato, che crescevo i miei figli, in un posto mio, con la fatica del mio lavoro, qualsiasi fosse. Per loro, come ho detto, ho accettato di prendere, per un periodo, antidepressivi ed ansiolitici, perchè non potevo continuare a farmi vedere da loro disperato come lo ero in quel momento, senza la capacità di riprendermi. Il fatto di avere avuto l’esperienza di una mamma depressa, mi è stato da memento: quando la madre soffre i bambini non possono stare bene. Inutile rimandare o non fare delle scelte per proteggere i bambini, quando poi queste cose ti schiacciano e ti impediscono di vivere serenamente il ruolo di genitore. Avevo però enormemente paura per loro, credevo che avrei potuto creargli dei danni permanenti vedendo la loro madre trasformarsi sotto i loro occhi, e le persone intorno (nonni, zie) rinforzavano questa mia paura ed alimentavano in tutti i modi i miei sensi di colpa, facendomi sentire un genitore indegno e cattivo. E’ stato solo per l’intervento della psicologa del consultorio se sono andato avanti. Lei mi ha fatto lavorare lungamente su me stesso e mi ha fatto capire che i miei figli non correvano alcun pericolo, gli unici problemi sarebbero venuti caso mai dall’esterno, dall’impatto con la società non matura per accettare certi fenomeni esistenziali. All’inizio non le credevo, ero terrorizzato per loro, fui sul punto di tornare indietro, ma il rapporto terapeutico era solidissimo e io mi sono affidato a lei ed il tempo le ha dato ragione.
3) Aldilà delle tue paure, come in effetti i tuoi figli hanno poi vissuto la tua scelta? Come hanno vissuto il tuo cambio di nome e di aspetto? Hanno avuto problemi a scuola, tra gli amici/che?
La psicologa che mi segue mi aveva dotato di semplice regole per affrontare la transizione con i miei figli: essere sinceri, non confonderli e continuare a svolgere il mio ruolo di madre, fargli sentire che la loro madre era sempre lì, che non se ne sarebbe andata via anche se cambiava aspetto.
In effetti è proprio questo di cui hanno paura i bambini piccoli: se un genitore cambia, il genitore va via.
Così vanno sempre rassicurati su questo punto, fargli sentire tutto il nostro amore per loro, fargli sentire che questo dato non cambia, anche se la mamma non ha più le trecce ma i capelli rasati.
Un altro consiglio era quello di aspettare sempre le loro domande e poi spiegargli come stavano le cose.
Quindi i miei bambini hanno cominciato a chiedermi perchè le persone mi chiamassero con il tal nome e non più con il nome che loro avevano conosciuto sino ad allora e perchè mi dessero del maschile. Io ho spiegato tutto con tranquillità e sincerità, mettendogli a parte dei miei sentimenti. Loro adesso sanno e comprendono chiaramente che la loro madre si “sente” uomo pur essendo nata in un corpo femminile, che gli ha permesso di essere la loro madre, e che per questo suo sentire ha cambiato delle cose fisiche, come avere più muscoli e più peli ed aver tolto il seno. Benchè vedano questo chiaramente, nella percezione che hanno di me nulla è mutato, perchè per loro io sono sempre la stessa mamma, che si cura di loro, li ama e li protegge e a cui loro sono attaccatissimi.
Per adesso non hanno avuto nessun tipo di problema, né a scuola né con il resto della famiglia, ma non dubito che questo momento arriverà, cosa di cui ho una grande paura e di cui mi sento responsabile, ma ho anche imparato a non preoccuparmi delle cose prima che accadano perché spesso sono assai diverse da come ci si immagina.
4) Puoi raccontare qualcosa riguardo i cambiamenti – se ci sono stati – nel tuo linguaggio e in quello che sentivi attribuito a te dagli altri? In questo senso cos’è accaduto con le istituzioni e nelle occasioni pubbliche (riunioni tra genitori a scuola, sul luogo di lavoro, palestra/supermercato/bar…)?
Mi stupisco sempre del fatto di come mi sia venuto naturale, da subito, parlare di me al maschile dopo quasi 4 decenni di socializzazione al femminile; saranno state le ore e ore di gioco protratto fino, ed anche oltre l’adolescenza, in cui mi “immedesimavo” nella parte del maschio, cercando di modularne anche la voce ( e che gioia il fatto che adesso la mia voce sia effettivamente maschile, senza sforzo né finzione). Per le persone intorno, invece, è determinante l’aspetto fisico e l’abitudine. Quando ti cresce la barba e non hai più il seno, diventa difficile che qualcuno ti dia del femminile. Per me il passaggio definitivo, il momento in cui al di fuori il tuo aspetto non dà adito a dubbi, è coinciso con la mastectomia, la rimozione del seno. Da quel giorno, per il mondo, sono un uomo.
In famiglia invece è diverso. I miei figli continuano a chiamarmi mamma e a darmi del femminile, cosa che ritengo nel loro pieno diritto e che non mi disturba, ed anche i miei genitori hanno enormi difficoltà ad abbandonare il concetto di me come donna, come loro figlia. La mastectomia ha comunque segnato però un passaggio anche in questo caso, con mia madre che comincia almeno ad affrontare il “problema” del mio nuovo nome e genere, mentre prima dichiarava che non avrebbe mai smesso di chiamarmi con il mio nome di battesimo e mai mi avrebbe considerato un uomo.
Nel luoghi “istituzionali”, quelli cioè in cui hai bisogno di esibire il tuo nome anagrafico, quindi tutto ciò che a che fare con la burocrazia, che sia un ufficio postale, una banca, una richiesta medica, si creano situazioni che possono avere del comico o essere tragiche per chi le subisce.
Comunque il passare da essere considerato donna a essere percepito come uomo, porta con sé dei cambiamenti che sono molto interessanti per far emergere come ancora la nostra società non sia egualitaria tra i sessi. Agli uomini ci si rivolge più volentieri, più direttamente, si scelgono come interlocutori privilegiati, e non devono subire lo sguardo indagatore degli astanti, che ti fanno sentire perennemente preda e sotto esame.
5) Credi che l’età dei figli possa giocare un ruolo importante nel modo in cui si apprende la scelta di transizione di un proprio genitore? Oppure è solo una questione di educazione/cultura, ovvero che, se questa società non fosse così transfobica (oltre a tante altre cose), la questione del possibile “trauma” non sussisterebbe?
Secondo me è impossibile ragionare di società altre rispetto a quella in cui viviamo e di cui dobbiamo subire/agire le dinamiche. Molto probabilmente se la nostra società non fosse transfobica, non ci sarebbero differenze di reazione di fronte ad un genitore transessuale dipendenti dall’età della prole.
Dal momento invece che nel “nostro” occidente, la transessualità è spesso considerata un evento imprevisto e dissacrante, non sano, non umano, non “naturale”, al di fuori di ogni convenienza e convinzione, l’età del figlio è determinante per accogliere la notizia che sua madre o sua padre sono transessuali.
Un bambino piccolo è ancora fluido, le rigide categorie della nostra normatività non sono ancora monoliti cristallizzati. Se il vissuto dell’esperienza del genitore transessuale viene raccontato ed esperito con serenità, diventa un dato del reale assolutamente tranquilizzante, come ogni altra caratteristica del genitore. Se la mamma ed il papà sono buoni genitori, se mantengono il loro ruolo di figure accudenti e di riferimento, al bambino/a non importa che forma abbiano.
Quello che al bambino interessa è che i genitori siano fonte di amore, cura e sicurezza.
Fondamentale è quindi restare vicino ai bambini nel proprio ruolo e esprimersi con i bambini con sincerità e chiarezza su quanto sta succedendo. Non bisogna imbrogliare i bambini, bisogna metterli a parte di quello che mamma o papà stanno facendo, aspettando però che siano loro a chiedere spiegazioni.
Sicuramente i problemi verranno poi da fuori, quando i bambini/e potranno essere derisi per il genitore “diverso”. Compito della famiglia credo sia allora quello di rendere i/le piccol* forti e preparat* a questa evenienza, e forse questa precoce esperienza della diversità in seno alla famiglia, anzi proprio in una figura amata, possa dare una marcia in più ai nostri figli/e.
Arriva un momento che i bambin* possono essere derisi per tutto, perchè grassi, o con il naso lungo, o troppo bassi o troppo alti, perché portano gli occhiali o l’apparecchio…avere visto come ci si confronta in modo positivo con la diversità in un mondo non troppo accogliente può rendere questi bambini/e più saggi e forti.
6) Oltre all’aiuto di esperti, cosa credi si possa fare per aiutare chi ha già dei figli e vuole transitare o chi ha già intrapreso questo percorso e desidera avere dei figli? Esiste una rete per la trasgenitorialità dove trovare info e supporto necessari?
Credo che, come in ogni altro momento della transizione, il confronto tra pari sia fondamentale. Spesso i cosiddetti “esperti” non sono affatto preparati su certi argomenti, tanto che a molti genitori transessuali dicono essere casi rari e difficili, salvo poi scoprire un grande numero di genitori transessuali (certo una minoranza rispetto ad una norma e rispetto anche alle persone transessuali in genere). Per questo considero l’esperienza di mettersi in rete tra genitori transessuali molto interessante ed è quello che ho cercato di fare io sin da subito. Ho così conosciuto tante madri e tanti padri trans, tante esperienze da scambiarci che ci hanno aiutato a superare i momenti difficili. Infatti il mutuo aiuto può essere uno strumento validissimo, chi ha già affrontato e risolto certe situazioni con i figli/e, può mettere la sua esperienza a servizio degli altri. Non si tratta di sostituirsi a certe figure e fare terapie, ma “solo” di raccontarsi con apertura, umiltà e responsabilità e mostrare come “ce l’abbiamo fatta”. Un momento assai importante per me di questa rete è stato quanto sono stato invitato a unirmi alla “rete genitori raimbow”, associazione di volontariato presente in varie regioni d’Italia, che ha lo scopo di supportare i genitori che hanno avuto figli/e da precedenti relazioni etero.
7) In Francia una legge permetterà alle coppie gay e lesbo di sposarsi e adottare dei figli. In Italia questo non è ancora possibile ma quando se ne parla si declina il tutto rispetto all’omosessualità e il lebismo. Perché pensi che le persone trans siano escluse e come ti poni rispetto alla possibilità di allargare tali diritti anche per i/le trans?
L’immagine comune della persone trans, oltre al fatto che sia una prostituta, è quella di una persona omosessuale e che ripudia le sue caratteristiche genitali, per cui un candidato impossibile alla genitorialità. Quale donna che si sente uomo potrebbe accettare una gravidanza e quale uomo che odia il suo pene potrebbe diventare padre?
Quindi il problema della genitorialità transessuale non viene neanche minimamente in mente nelle persone “comuni”. Benchè la realtà sia ben differente, è certamente vero che per le persone transessuali la genitorialità è di fatto proibita una volta iniziato il percorso di transizione. La terapia ormonale femminilizzante, nel casi delle mtf, distrugge in pochi mesi la capacità riproduttiva e non si dà nessuna informazione alla persona che inizia, sulla possibilità di congelare i suoi gameti prima che la produzione di spermatozoi venga distrutta per sempre, cosa che avviene invece in altri paesi. Comunque, se ci fosse rimasto un dubbio, per cambiare i documenti in Italia è richiesta la sterilizzazione chirurgica. Così, anche nel caso degli ftm, le cui gonadi potrebbero “ripartire” se la terapia mascolinizzante non viene portata avanti a lungo, si richiede l’isterectomia per essere sicuri che non ci siano uomini che facciano bambini, come invece succede negli “scandalosi” Stati Uniti.
Così, il transessuale, anche se giovane, deve rinunciare all’idea di diventare genitore.
In effetti l’esperienza dei genitori transessuali, qui in Italia, è proprio quella raccolta da associazioni tipo “rete genitori raimbow”, cioè persone che sono diventate genitori prima di intraprendere il loro percorso e spesso in seno a situazioni “tradizionali” come matrimoni o comunque relazioni monogame etero.
Nel caso dell’adozione, quando una persona trans ha rettificato il sesso e i documenti, ha gli stessi diritti di una persona biologica, quindi se in coppia con una persona di sesso opposto, ha sulla carta più diritti che un single o una coppia omosessuale, ma nella realtà, il tribunale dei minori, ben si guarda da dichiarare idonea all’adozione una persona con tale trascorso.
Dal momento che è ormai palese come il ruolo genitoriale non dipenda dal sesso della persona, né dalla forma della coppia, bensì dalla capacità di assolvere la figura di accoglimento-contenimento del bambino/a, bisognerebbe sganciare la figura del genitore e del benessere del bambino/a dalla forma della famiglia triade (mamma, papà, figlio/a) che non è affatto una forma data e costituita per “essenza” della famiglia umana, ma solo una declinazione di famiglia frutto di una certa congiuntura economica e sociale. Nella storia e nei luoghi sono esistite tante altre forme di famiglie assai diverse dalla nostra mononucleare ed eterosessuale che si è imposta negli ultimi cento anni, che hanno adempiuto il loro ruolo di crescere la prole come ed in alcuni casi meglio delle nostre “sacre famiglie” tanto decantate.
Quindi mi sentirei di dire che le persone sono importanti, non la norma, e che i bambini crescono bene tra persone libere, soddisfatte ed equilibrate.
Ringraziamo Egon per la disponibilità e speriamo che la sua testimonianza sia di aiuto per tante persone!
Intanto, se ne volete sapere di più, vi riportiamo dei link/video segnalatici da Egon.