Facebook e la sua millantata apertura alle diversità

1392917512992.cached

Molti sapranno  già delle nuove opzioni di personalizzazione del sesso recentemente introdotte su ogni profilo. C’è già stata qualche critica, ma nulla di distante dalla noia brutale dei soliti noti che si lamentano perpetuamente  delle lettere che vengono, di tanto in tanto, aggiunte all’acronimo LGBT. Giustamente,  preferirebbero che la sigla rimanesse sempre GGGG. Ironia a parte, cosa stiamo festeggiando esattamente?

Ricapitoliamo. Un’azienda californiana fattura molti, moltissimi soldi. Questi introiti gli derivano principalmente dalla vendita di spazi pubblicitari situati sul sito stesso e scelti oculatamente in base alle caratteristiche rivelate dell’utente, come età, sesso, luogo di nascita e di residenza, interessi, hobbies, film, musica preferita e molto altro ancora. Considerando che ogni utente di tale piattaforma è letteralmente la gallina dalle uova d’oro di Zuckerberg, ne conveniamo che l’azienda trae ogni vantaggio possibile dal far sentire a proprio agio i propri dipendenti, ignari o consapevoli. Con tutto questo fiume di denaro, delle possibilità di autodescrizione un po’ meno in bianco e nero non sono poi possibilità così fantasmagoricamente progressiste. Con un po’ di milioni in meno,  si darebbe un certo apporto positivo a questioni “irrilevanti” come la possibilità per le persone trans di accedere alle prestazioni sanitarie che necessitano, arginare la disoccupazione dilagante con relativa assenza di reddito,  fornire servizi per persone trans senzatetto (le quali sono escluse dai già insufficienti servizi esistenti, in quanto spesso divisi per genere). Ma il profitto viene prima delle persone: è il capitalismo, baby.

Qualcuno mi spieghi, poi, l’assurdità per cui posso inserire ogni ipotesi identitaria che mi attraversi anche soltanto per sbaglio l’anticamera del cervello, ma non posso esprimere la mia eventuale attrazione nei confronti di chi la incarna, visto che nella casella delle attrazioni il binarismo di genere rimane: si possono spuntare solo uomini e donne. Oppure perché a realtà come Intersexioni  è impedito di pubblicare alcunché poiché segnalato come sito pericoloso in quanto segnalato come spam, ma veri capolavori di pattume ideologico come Sentinelle in Piedi e Manif Pour Tous sono più che graditi.

Non posso quindi fare a meno di sentirmi preso in giro da chi, in tutta serietà, plaude questo gesto di discutibile inclusione. Si chiama fidelizzazione del cliente (che poi è un dipendente). È marketing allo stato puro, e politicamente parlando, pinkwashing. Possiamo scegliere ben cinquantasei identità di genere diverse, oggi, ma chiediamoci quante di queste possano essere liberamente espresse al di fuori di un campo vuoto da riempire nel nostro diario, perché quando usciamo dal digitale, non possiamo cambiare le impostazioni di privacy della violenza altrui. Purtroppo.

Una risposta a “Facebook e la sua millantata apertura alle diversità”

  1. come sempre d’accordo al 100%. non è altro che questo, fidelizzazione del cliente e niente altro…

I commenti sono chiusi.