Dell’utilità di certi commenti banali

piratesII

 

Questo è un commento ricevuto per il primo articolo sul numero 5/2014 di MicroMega.

pornografia è quella forma di fiction incentrata su atti sessuali non simulati e in cui la non simulazione cioè la verità di quello che accade è continuamente mostrata e dimostrata dalle inquadrature pertanto le scene erotiche di film e telefilm “normali” e dei film d’autore dei citati Pasolini e Oshima non sono porno perchè c’è simulazione e in ogni caso non vi è la prova visiva dell’avvenuto rapporto sessuale

Ne parliamo non tanto per l’autore – noto personaggio ossessivamente presente su qualunque spazio virtuale si occupi di questioni di genere, tranne quelli che lo respingono per manifesta inutilità, come questo – quanto perché per una volta, invece di esprimersi con futili tautologie, ha espresso un medio pensiero che rappresenta il sentire comune sulla pornografia.

Cioè ha detto una solenne stupidaggine. Ben mascherata da luogo comune eh, ma ‘na stupidaggine.

Non è certo richiedibile a tutti di essere pienamente informati sul dibattito attuale riguardo la pornografia, ma è facile supporre che un blog che si presenta come «pornotransanimalfemminist*» lo sia. Se ci vieni a sentenziare armato solo della tua conoscenza da accanito spettatore di serial, degli esami al DAMS e delle definizioni da vocabolario, è facile che tu sia ignorato come poràccio insipiente – oppure che, come in questo caso, tu sia utile agli altri per chiarire qualcosa.

Ciò che le donne trovano riprovevole nella pornografia, hanno imparato ad accettarlo nei prodotti di ‘alta’ cultura e nella letteratura. Ciò che l’analisi femminista identifica come la struttura pornografica della rappresentazione – non la presenza di una qualità variabile di ‘sesso’, ma la sistematica oggettivazione della donna nell’interesse dell’esclusiva soggettivazione dell’uomo – è un luogo comune dell’arte e della letteratura come della pornografia commerciale.

Questa breve citazione – da Susanne Kappeler, The Pornography of Representation, Oxford, Polity Press 1986, p. 103, traduzione mia – di un testo di quasi trent’anni fa dovrebbe far capire che definire ancora la pornografia sostanzialmente come quei film o riviste o immagini «dove la gente scopa davvero» è un pochino infantile e riduttivo – se non è in malafede. Ho scelto il primo passo che m’è venuto in mente, ma la bibliografia disponibile è sterminata.

Il problema non è ciò che viene rappresentato e il suo opinabile valore morale. Il problema è la struttura politica, sociale ed economica che produce, veicola, diffonde e rappresenta quel tipo di rapporto di potere tra uomini e donne: i primi sempre soggetti, le seconde sempre oggetti. Ed è intendere il problema in questo modo che permette di farlo uscire dai pruriginosi e inutili confini della morale – legata a ciò che si vede, alla verità di ciò che si vede, a ciò che è accettato come osceno da un certo gruppo sociale – per studiarlo come fenomeno legato ad altri aspetti della società, come le questioni di genere, i femminismi, il patriarcato, i problemi di una industria da 13 miliardi di dollari l’anno (nel 2007) immersa nell’illegalità contrattuale e sindacale, la contaminazione di questa forma di rappresentazione verso la pubblicità, la moda, gli altri generi cinematografici e letterari, e così via.

Se c’è gente che se ne occupa in questo modo da almeno quarant’anni – libri, ricerche, convegni, discussioni in pubblico, analisi, testimonianze – forse è il caso di abbandonare simpatiche, divertenti e politicamente innocue definizioni come «atti sessuali non simulati» e impegnarsi a studiare, capire e parlare più propriamente.

O fare altro, eh, rimanendo amici come prima. Non è un obbligo documentarsi, ed è vero per MicroMega come per chiunque. Però, se ti fai dare degli euro per qualcosa che hai scritto, o se vieni a commentare pensando di poter insegnare qualcosa, allora sì: sarebbe meglio farlo.