La recente intervista di Alessandra Moretti, e la stragrande maggioranza dei commenti a quella intervista, dimostra come in Italia siamo ben lontani dall’aver capito anche solo cos’è uno stereotipo, e uno stereotipo sessista in particolare. Un’europarlamentare candidata a presiedere una regione straparla di stile, bellezza, piacere come se fossero qualcosa di usabile per smarcarsi da altre posizioni politiche scomode – femminismi, donne dello stesso partito – e come se non fossero argomenti già molto usati da altri movimenti politici opposti al suo per identificarsi, fare fronte comune, creare consenso.
Qui il filmato, per chi non l’avesse ancora visto.
Già spiegare la scelta di una candidatura alle regionali – dopo l’elezione europea – con una similitudine calcistica evoca brutti ricordi retorici. Poi si definisce uno «stile femminile nel fare politica» come «la cura di me stessa, la voglia di essere sempre a posto», «questo è un quid in più». Lo stile maschile quale sarebbe? “L’òmo ha da puzzà”? L’uomo non ce l’ha questo quid? E perché no? «La bellezza fa notizia» – ma non stavamo parlando di politica? Non dovrebbero fare notizia altre cose? Ne dobbiamo dedurre che a Moretti stia bene che «la bellezza fa notizia»? E quale bellezza? «La bellezza non è affatto incompatibile con l’intelligenza» e non si capisce chi l’ha messo in dubbio, o rincorrere i luoghi comuni è uno dei punti del suo programma politico? «Rosy Bindi ha avuto il suo stile, diciamo che il nostro è diverso», sarebbe rispettoso chiederlo a Bindi. Poi, «il nostro» di chi? A nome di chi parla Moretti? Non lo dice. «Uno stile che mortificava la bellezza», abbiamo capito Moretti, ma quale bellezza? Secondo quali standard, semmai ce ne sono? Perché lo dà per scontato? «La capacità di mostrare un volto piacente» – mi sono perso. Stiamo parlando di politica o di comunicazione? E di quale politica e quale comunicazione? E «piacente» a chi? «Ho deciso per esempio di andare dall’estetista ogni settimana», e ce ne rallegriamo per lei Moretti, ma ciò cosa dovrebbe dimostrare? Che il suo stile è diverso, che lei non è Rosy Bindi? Non è necessario l’estetista, glielo assicuro, lo dice esplicitamente la carriera politica di entrambe. «Mi prendo cura di me», e non è una cosa banalmente fatta da chiunque? Rosy Bindi non si prende cura di sé, sta dicendo questo? O forse sta dicendo che esiste un certo modo di prendersi cura di sé che sarebbe migliore di un altro? E qual è? «Vado a correre», come altri milioni. E’ una caratteristica politica importante? C’entra con la comunicazione? Ci sta dicendo che il suo corpo non è quello di Rosy Bindi – e anche qui non serviva molto a notarlo, è tipico degli esseri umani essere diversi l’uno dall’altro. Quindi? «Devo venire con i peli, i capelli bianchi?» Perché, qualcuno glielo ha chiesto, c’è un regolamento? Ma non si accorge, Moretti, che è lei con questi discorsi a ratificare stereotipi ridicoli e penosi, pensando di opporvisi? «Perché io che ho un ruolo pubblico, che rappresento tante persone, tante donne, voglio rappresentarle al meglio». Bene – e questo «al meglio», per una candidata presidente a una regione, consisterebbe nell’andare dall’estetista ogni settimana? Nella tinta, nelle meches? Sta scherzando, vero Moretti?
«Ma che c’hai? Ma che t’ho fatto? Ma perché c’ho gli occhi blu? Perché sono anche bella, oltre che brava, ti dà così fastidio?» No, Moretti, a me dà fastidio l’ignoranza. La crassa ignoranza di chi fa finta di fare politica, comunicazione e di parlare di bellezza a un pubblico supposto nato ieri, evidentemente benedicendo quella mancanza di memoria che è un suo male devastante. Quello che mi da fastidio è vedere una candidata a presidente di regione che non ricorda – e non ha imparato nulla – dall’ultimo ventennio di politica in fatto di comunicazione e donne in politica. Quello che mi dà fastidio è vedere un’europarlamentare che non sa cos’è uno stereotipo sessista, e come lo si combatte. Quello che mi dà fastidio è vedere una persona alla quale si dà un microfono aperto sul paese che parla a vanvera di bellezza, non sapendo che la bellezza non è l’adesione a uno standard convenzionale di misure corporee e abitudini d’abbigliamento. Mi dà fastidio che tutto quello che so e che faccio da attivista antisessista e da dottore di ricerca in Estetica è stato travisato e denigrato da una professionista della politica che non ha il coraggio d’informarsi prima di parlare e non ha imparato nulla sulla comunicazione politica dopo quello che è successo in Italia almeno dal ’94 a oggi.
«La gente mica è scema, capisce», quale gente? Quella raccontata in percentuali clamorose di vittoria elettorale che si traducono in numeri sempre più piccoli di votanti? Il resto dell’intervista continua così, non vale la pena seguirla ancora.
Emanuela Marchiafava ha ragione da vendere, quando parla di donne intimidite da una pratica discriminatoria tipica di una politica maschilista: «se non sei attraente secondo i canoni maschili, ti sfottono dandoti della racchia, se sei bella come una bambola ti trattano come se lo fossi, se sei intelligente ti accusano di arroganza […] Sarebbe quindi assai più interessante concentrarsi ad analizzare i commenti alle parole dell’onorevole Moretti». La cosiddetta legge di Lewis è nota: “I commenti a qualsiasi articolo sul femminismo giustificano il femminismo”.
Purtroppo quello che ha detto Moretti, però, non va affatto nella direzione di non farsi intimidire, ma in quella di aderire al maschilismo. Perché se ti proponi in opposizione all’immagine di Bindi dopo quello che è successo a Bindi e alla sua immagine, se non ti accorgi che parlare di “estetista settimanale” in questo momento suona come classista per molte donne, se non tieni conto nelle tue parole di un numero enorme di donne che fa e ha fatto un’ottima politica contro gli stereotipi, se non ti ricordi che in questo paese i femminismi hanno detto, scritto e lavorato decenni su questi temi (e che i luoghi comuni sulle femministe sono arcinoti), allora quello che stai proponendo col tuo sconclusionato modo di argomentare sono esattamente «i canoni maschili» e maschilisti. E Moretti lo dimostra più volte, di non tener conto di tutto ciò: essere contenta che «Boschi è una delle ministre più fotografate» significa non aver capito nulla di comunicazione, politica e questioni di genere in questo paese. Eppure anche Bindi, allora, la sua ottima risposta l’aveva data: «sono una donna che non è a sua disposizione». Sarebbe bastato capirne bene il senso, di questa risposta.
Perché è la stessa ignoranza di Moretti a spiegare per esempio come sono possibili gli insulti in rete a Samantha Cristoforetti, il primo esempio vicino che viene in mente, e tanti altri tipici atteggiamenti maschilisti – la sua si chiama “emancipazione negativa”. Tanto negativa che sembra quasi sembra che io abbia scritto per difendere Bindi, e non me stesso, dalla sua ignoranza.
Si dice che dall’estetista, mentre lavora, tempo per leggere ce ne sia.
Anton Cechov: il culto dell’ estetica (ahi, Benedetto Croce e peggio dannunziana armata grottesca brancaleoinide) coincide con la vecchiaia della mente.