Un compagno ha bisogno di aiuto

È un bel po’ che di questo blog non rimane che un archivio. Ma vi chiediamo un ultimo sforzo finale per uno di noi che se la sta passando molto male, e che ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non possiamo fare altro che linkarvi il crowdfunding messo su dalle persone a lui più care e sperare nella solidarietà militante di cui ci facciamo parecchio vanto.

Salve a tutti. Siamo Elena, Varxh e Chiara, tre persone molto vicine a Den. Abbiamo deciso che quest’ultima se la cavava meglio con le parole, e le abbiamo chiesto di parlarvi di lui. 

È sempre strano cercare di strizzare in qualche riga tutto quello che si dovrebbe sapere di un essere umano, ma per amor di sintesi tenteró. Conosco Den da qualche anno, e mi è sempre sembrato una persona fantastica. È comprensivo, pirotecnico, folle il giusto, e curioso di tutto. In un giornata tipo lo si trova a divorare (metaforicamente) libri di Hawking o di qualunque altro astrofisico conosciuto (la grande passione), o variegati pezzi letterari e non di scibile umano, solitamente circondato da palle di pelo miagolanti. Ha solo 21 anni, e giá ha all’attivo vari articoli su giornali online (argomenti: intersezionalità, femminismo, critica sociale), unapartecipazione mensile su Radio Onda Rossa, vari interventi in eventi di centri sociali romani. Insomma, oltre a essere un umano fantastico è anche molto coinvolto socialmente, cosa che gli riesce benissimo. Scrittore insonne, ha anche un blog, dove trovate poesie e pezzi suoi, scritti probabilmente alle 4 del mattino in raptus creativi improvvisi (con immancabile essere micioso annesso). Beh, immaginate un Baudelaire giovane e post-moderno che al chiaro di luna batte a macchina fantasie meravigliose e avete piú o meno l’immagine che cerco di trasmettere (togliete l’assenzio e rimpiazzatelo con camomilla fumante). Qui e qua troverete il resto che fa. 

Venendo al punto saliente: perché aiutarlo? Se le immagini accattivanti descritte prima non bastassero come motivazione, ne aggiungerei una ulteriore. La vita, giá prima ma recentemente peggio, lo ha preso a sassate innumerevoli volte in molti ambiti diversi. È una persona che, con le adeguate risorse e possibilità sará grandi cose, senza dubbio. E il fatto che per casualità lui non le abbia non mi sembra un buon motivo per cui non dovrebbe riuscire a fare qualcosa di meraviglioso nella vita. Tutti noi quindi abbiamo deciso di aiutarlo, creando questa campagna, con un piccolo contributo da ognuno la situazione migliorerà di sicuro. Spero di avervi fatto conoscere almeno un pó la persona che conosco io.

Ritorniano a noi: aprire un crowdfunding implica avere una posizione precisa. È l’idea che il singolo non debba essere abbandonato a se stesso, che la partecipazione collettiva non debba ridursi a sporadici atteggiamenti di elemosina e pietismo, ma essere un sostegno attivo, permanente, reciproco, umanizzato, solidale: responsabilità verso gli altri. Vogliamo che gli scogli, gli ostacoli di ogni giorno non siano solo un problema di Den e le persone a lui immediatamente vicine.

Da molti anni soffre di gravi forme ansiose e depressive, non trattate perché nessuno si è mai accorto e in ogni caso, nessuno aveva risorse per farlo, ormai diventate ingestibili e pericolose. C’è urgentemente bisogno di un intervento immediato.  Si trova a venire a patti con varie problematiche fisiche – tra cui dolori neuropatici mai arrivati a attenzione medica – che uniti alla sua condizione di autistico annullano drasticamente le possibilità di spostarsi da casa senza un mezzo di trasporto idoneo, non posseduto. Non siamo più disposti a tollerare la marginalizzazione, l’indifferenza, il rimando, l’abilismo di servizi che si sottraggono al prenderlo in carico, individuando nel suo sostegno qualcosa di accessorio e in cui non investire: chiediamo partecipazione di tutti nel garantirgli una psicoterapia, un sostegno medico, mezzi di trasporto idonei, un computer che è l’unico mezzo con cui può lavorare. Tutte cose che non si può permettere viste le disastrose condizioni economiche della sua famiglia.

Speriamo vivamente nella vostra solidarietà <3 

Come riconoscere un anarcomachista

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Illustrazione di Suzy X

L’anarcomachista è aggressivo, competitivo fino all’eccesso. Elitario, paternalista; più puro dei puri e più forte dei forti. Riesce misteriosamente ad essere dogmatico pur professando il suo odio per ogni dogma. Persegue la coerenza in maniera totalizzante e obnubilante, ignorando che in un mondo di contraddizioni sociali tale perfezione non può esistere. Insegue l’alienazione delle politiche che porta avanti nella stessa maniera in cui egli pensa di porsi di fronte all’esistente: senza compromessi.

L’anarcomachista è misogino ma può non sembrarlo. La sua pericolosità è direttamente proporzionale alla sua capacità di mimetizzarsi come “bravo compagno” o come individuo non stereotipicamente maschilista. Può essere qualunque uomo. E di tanto in tanto, persino qualunque donna.

L’anarcomachista rincorre la logica del martirio e pensa che sia giusto e necessario che chiunque faccia altrettanto. Non tutt* vogliono o possono essere picchiat* e incarcerat*, ma a lui non importa. Perché pensare all’orizzontalità e all’incolumità altrui quando si può godere di un trip testosteronico con lo scontro di piazza fine a sé stesso, tatticamente inutile? Non si pone mai il problema di aver sovradeterminato le decisioni e le voci altrui: non lo farà né per il destino di una manifestazione, né per altro.

L’anarcomachista pensa di vivere in una bolla di sapone al di fuori della società, immune alle influenze aliene dei contesti oppressivi da cui emerge, pertanto sente di non avere alcuna responsabilità nell’aumentare la consapevolezza dei suoi privilegi e oppressioni e men che meno quella di combatterli. Ove necessario, ne nega l’esistenza – o peggio ancora, si proclama fintamente suo nemico, ingannando compagne e compagni di lotta. I quali non se ne accorgeranno per molto ancora: si dice che i fatti contano più delle parole, ma se i fatti contraddicono l’immagine idealizzata che si ha dell’ambiente sovversivo e dei suoi abitanti, allora le parole pare proprio vadano più che bene.

L’anarcomachista è emozionalmente impedito, e arroccato nella sua corazza di cinismo e distanza emotiva, prova una profonda paura di ogni cosa che non sia lineare, razionale, e risolvibile con due punti sull’ordine del giorno. Non sbaglia, non si scopre e non si mette mai in discussione: la sua lotta è sempre e comunque votata alla superficialità.

L’anarcomachista non si fida di nessuno, specialmente delle esperienze delle persone su cui ha potere, alle quali risponde in maniera dismissiva e trivializzante.

L’anarcomachista è un capolavoro di narcisismo. Si sente legittimato a colonizzare ogni discorso, ogni spazio, ogni sentimento, ogni corpo. Vuole essere ascoltato, ma non è disposto ad ascoltare: non è infrequente vederlo palesemente scocciato e annoiato quando gli si parla di questioni che crede non lo riguardino. Basta una vaga avvisaglia di critica politica per farlo andare sulla difensiva.

L’anarcomachista dimostra spesso, nelle sue interazioni sociali, una propensione a battute e linguaggi sessualizzanti (nei confronti delle donne) e omotransfobici. I gruppi, collettivi, organizzazioni a cui partecipa sono caratterizzati da un altissimo ricambio di persone, le quali fuggono esauste e infastidite da lui, dai suoi comportamenti e dai silenzi collettivi che ne consolidano la posizione. Talvolta i componenti di questi gruppi, collettivi, organizzazioni si domandano il perché di questi esodi, ma sembrano non accorgersi del fatto che essi sono compiuti principalmente da persone svantaggiate in qualche asse di privilegio.

L’anarcomachista prende posizione: o sei la soluzione o sei parte del problema. Questo soltanto finché il problema è fuori dalla sua portata. Se un suo amico, parente, compagno abusa verbalmente, emozionalmente, psicologicamente, fisicamente o sessualmente di qualcun*, questa sua capacità improvvisamente sparisce e lascia il posto a una silenziosa, pacifica, violenta equidistanza. Non comprende che non credere alla vittima significa in automatico abbracciare la versione di chi l’ha resa tale.

L’anarcomachista riesce a riempire intere ore assembleari di lotte intestine, discussioni inutili e lunghe digressioni inappropriate piene di fuffa. Parla di teoria quando serve agire, e di azione quando serve pensare.

Riconosci ed estirpa l’anarcomachista che è in te e negli altri!

L’archivio della Primavera Queer 2014

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Ci raccontavamo in quei giorni a Chieti, con Laura Corradi, che in Italia una cosa come la Primavera Queer non s’è mai vista.

Un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcun* dei quali già attivisti nei collettivi Laboratorio Le Antigoni e La Mala Educacion) ha promosso a Chieti la Primavera Queer come momento di autoformazione, incontro e discussione intorno alla teoria queer. Il progetto è stato presentato al bando 2013 per le attività socio-culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, selezionato e finanziato. Docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in sei giorni di seminari e laboratori.

Non nel senso che in Italia non s’è mai fatto nulla di queer, ci mancherebbe: ma non ci ricordavamo di nulla che durasse una settimana, che sia stato voluto e costruito dagli studenti e finanziato da un ateneo italiano. Speriamo di essere smentiti, ovviamente.

Adesso in questa pagina stanno raccogliendo tutti i materiali completi di quei giorni, per costruire un archivio più che utile in un paese che ha difficoltà anche solo a sapere che esiste la parola “queer”. E’ importante diffondere il più possibile le parole di tutti quelli che sono intervenuti, in presenza o connessi dalle loro sedi, e conservarli, perché in giro su questi argomenti c’è ancora molto poco; e perché realtà molto efficaci sul territorio ancora conoscono poco di quello che si fa di buono anche a pochi chilometri di distanza.

Il video del mio intervento, Il linguaggio sessista: riconoscerlo, neutralizzarlo, decostruirlo dura quasi un’ora e venti quindi vi consiglio di non sorbirvelo tutto insieme perché potrebbe farvi male 🙂 aggiungo però il file ODP con le slide che ho usato; questo invece è l’abstract del mio discorso. Qualsiasi domanda o commento vogliate fare mi sarà molto utile e ve ne ringrazio fin da adesso.

Spero che ci siano presto altre Primavere Queer in tante altre città.

Deconstructing una certa idea di maschio etero

real-doll-02Scusate se in questo caso non mi applicherò su un testo preciso, ma su un aspetto credo non secondario di una recente vicenda di media, generi, televisione e sessismo.
Premessa importante: non ho una opinione su Belen Rodriguez in quanto donna, perché non la conosco e non ho avuto occasione di ascoltare o leggere nulla che la riguardi o la esprima personalmente in qualche suo ambito privato; inoltre, so benissimo che il fatto che lei presenti un programma non significa certo che quello è un ‘suo’ programma – ci sono autori, produttori, e altri. Ne parlo come personaggio televisivo: come tale, è solo la mia opinione, lei definisce l’immagine di se stessa in una maniera penosa (“Fisicamente non ho difetti” è una lapide più che una frase), ed è difficile immaginare che davvero qualcun@ possa fare una tale confusione tra personaggio televisivo e vita reale – ma tant’è, c’è poco da fare. Questa sua “versatilità” per il facile mercato dei media è stata anche ribadita nella coincidenza, rimarcata ovunque nel mainstream, tra la presentazione del suo libro fotografico e il compleanno del figlio.

Immagino quindi che la notizia dell’esistenza del programma televisivo “Come mi vorrei”, sul canale Italia1, vi sia già nota; forse però non sapete che si presenta al pubblico con queste parole inquietanti:

Vi è mai capitato di vivere un momento della vostra vita in cui volevate cambiare TUTTO, dalla pettinatura al modo di fare? Ricominciare da capo si può! Un nuovo programma di make over non solo estetico: Belen Rodriguez consiglia il protagonista di puntata su come piacersi di più e risolvere problemi relazionali con fidanzati, parenti o colleghi di lavoro. Hai tra i 18 e i 26 anni e hai bisogno di aiuto per migliorare te stessa e cambiare il tuo look? Partecipa a COME MI VORREI!

Parole che già basterebbero da sole per farsi un’idea e formulare un giudizio, ma se volete proprio continuare a farvi del male qui ci sono un riassunto e poi un altro riassunto di due puntate.

Le critiche non sono mancate: televisivamente la conduttrice è apparsa inadeguata se non impreparata; e poi giustamente c’è chi rifiuta una rapprensentazione di questo tipo dei rapporti tra generi, e lo dice apertamente. E indubbiamente, come dice Zanardo, questo ottimo segno di presa di coscienza è sempre più diffuso e quantitativamente rilevante – perché la banale risposta “basta cambiare canale” non serve per quelle migliaia di persone che invece non lo cambiano, e che rappresenteranno prima o poi un problema per quell@ che invece cambiano canale o non hanno la televisione. Altrettanto indiscutibile appare il fatto che un tale tipo di programmi è destinato a vivere poco (anche prima che funzionino le petizioni) perché è fatto davvero troppo male.
Tutto giusto e adeguato, in toto o in parte, ma credo ci sia ancora una cosa da dire, che da qualcuno è stata accennata, ma non nei toni più adatti.

Questo programma televisivo produce non solo una immagine precisa di cosa e come una giovane donna “normale” dovrebbe essere secondo i canoni della moda e della vita sociale più comuni e diffusi – cioè secondo un’ignobile accozzaglia di pregiudizi, sessismi, volgarità, adeguamenti alla moda commerciale più triviale, ignoranze multiple. Dice anche qualcosa di ben preciso – per forza di cose, senza farlo espressamente –  su cosa dovrebbe essere un uomo eterosessuale “normale”; e dice sostanzialmente che un uomo eterosessuale “normale” cerca solamente una donna capace di compiacerlo.

Secondo questo programma televisivo, io (maschio eterosessuale) desidero una donna addestrata a obbedire, ad adeguarsi ai miei gusti, a non sollevare obiezioni né tantomeno a esprimere idee o concetti per me ignoti o incomprensibili. Il tutto presentandosi agghindata e truccata secondo uno standard pornocommerciale più o meno assimilabile alla categoria “secretary xxx” (cercate su Google, togliete i filtri e buon viaggio). Vengo scambiato, letteralmente, per una testa di cazzo: uno che ragiona col glande – e un glande anche molto insicuro, parecchio ignorante e poco fantasioso.

Ecco, questo è il motivo per cui la sola esistenza di un programma così dovrebbe far scattare nella maggioranza degli uomini eterosessuali indignazione e rabbia, a prescindere da quello che viene espresso come idee e convinzioni riguardo le donne; perché è evidente che queste assurde idee e convinzioni riguardo l’uomo eterosessuale medio sono cose molto diffuse, eh.

(Per esempio: qui in Italia Belen Rodriguez e il suo team di produttori e autori dà per scontato che il mio gusto e il mio pisello possano e debbano essere adeguatamente compiaciuti da una specie di “Barbie ufficio” semovente e disponibile, meanwhile altrove un festival di musica classica pensa bene di farsi pubblicità creativa mettendo giovani mangagirls a ballare ammiccanti una musica di Dvorak. Così, per dire, un esempio a caso.)

Questo tipo di comunicazione, che in questo momento è felicemente rappresentata dal programma condotto da Belen Rodriguez – ma è stato e sarà ancora per un pezzo rappresentato da tante altre produzioni – mi sta dicendo che il desiderio sessuale maschile standardizzato e appiattito sul modello “lobotomizzata in lingerie” è il più normale e regolare, e che sarebbe il caso che le donne che non si sentono adeguate vengano normate a tale livello, perché l’origine dei loro problemi personali e sociali è tutto lì. E mi dice inoltre che tutto questo mi dovrebbe stare bene, ne dovrei essere soddisfatto e beato.

Cosa ha ridotto milioni di uomini eterosessuali (i numeri sono questi) a pensarla così?
A farsi ritrarre in questo modo ridicolo?
A permettere che il proprio desiderio, la propria immaginazione sessuale siano questa miseria?
A costringere la conoscenza di una donna ad avere la forma di un colloquio di lavoro?
A trovare sicurezza nell’adeguarsi a un modello preconfezionato?
A far manovrare il proprio sesso da mode, tendenze e luoghi comuni?
E’ sempre e solo un problema mio, questo?

Un bicchiere e una risata per Riccardo

Pieter Bruegel il Vecchio, "Paese della cuccagna" (Luilekkerland), olio su tavola, 1567.
Pieter Bruegel il Vecchio, “Paese della cuccagna” (Luilekkerland), olio su tavola, 1567.

La notizia, immagino, la sappiate: Riccardo Venturi, tra pochi giorni, avrà l’udienza preliminare per il reato di “Attentato all’onore e al prestigio del Capo dello Stato”.

Le sue parole che raccontano fatti e pensieri sono qui. L’attentato che ha scatenato l’apparato di potere e i suoi kafkiani meccanismi lo potete leggere qui.

Ho avuto il piacere di incontrare Riccardo due volte – che considerando la sua socialità e la mia pigrizia è un record del quale andare fiero. Entrambe le volte in occasioni libere, antifasciste, comuni; momenti felici e intensi per i quali non ci sono parole.

Non posso che invitarvi a leggere tutto il possibile dal suo blog, tutte le sue parole, più che potete: salvatele, diffondetele, conservatele. Non lasciate che si attenti alla vostra libertà: scatenate la sua, e mi raccomando, oggi bevete e ridete pensando a lui, come faremo noi.

A presto, Riccardo, da tutt@ di Intersezioni. Come vuoi tu: verið þið öll blessuð og sæl.

Perché il femminismo fa male agli uomini

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Pubblichiamo la traduzione di questo articolo, “How feminism hurts men”, di Micah J. Murray. La traduzione è di Luciana Franchini, che ringraziamo: la responsabilità di tutto è mia, ovviamente.

 

Ieri qualcuno su Facebook mi ha detto che il femminismo glorifica le donne a scapito degli uomini, che il suo obiettivo di validare le donne castra noi maschi.

Ha ragione.

L’ascesa del femminismo ci ha relegati a uno status di second’ordine. L’ineguaglianza e la discriminazione sono diventate parte della nostra vita quotidiana.

A causa del femminismo gli uomini non possono più camminare per strada senza la paura di essere fischiati, molestati, addirittura aggrediti sessualmente dalle donne. Se viene aggredito, l’uomo viene anche incolpato: per com’era vestito, “se l’è cercata”.

A causa del femminismo non ci sono più conferenze cristiane importanti su come comportarsi da uomini, e dove migliaia di uomini possano celebrare la propria virilità e Gesù (e magari farsi qualche risata con gli stereotipi sulle donne).

A causa del femminismo le convention religiose sono spesso dominate da donne. Gli uomini vengono incoraggiati a limitarsi a badare ai bambini o alla cucina. A volte agli uomini viene persino detto di stare zitti in chiesa.

A causa del femminismo le donne guadagnano più degli uomini a parità di lavoro.

A causa del femminismo è ormai difficile trovare un film con un eroe maschile. La maggior parte dei film da cassetta parla di una donna coraggiosa che salva il mondo e ottiene un uomo oggetto come trofeo per le sue vittorie.

A causa del femminismo gli sport femminili sono un business enormemente fruttifero in cui esse vengono idolatrate su scala mondiale. Gli uomini compaiono solo di sfuggita, di solito prima degli stacchi pubblicitari in cui vengono oggettificati per il loro corpo.

A causa del femminismo tutti i contraccettivi sono gratuiti per le donne senza che debbano aprire bocca, mentre gli uomini devono lottare affinché le loro compagnie assicurative paghino per le ricette del Viagra. E se gli uomini tentano di ribellarsi, i leader della destra “vicina ai valori familiari” li chiamano porci o puttani.

A causa del femminismo il corpo maschile è costantemente sotto esame. Se un uomo appare in topless in TV, scoppia un caso nazionale che finisce con multe enormi e boicottaggi. Le blogger scrivono regolarmente di come si debba essere più attenti alle nostre scelte nell’abbigliamento, poiché potrebbero indurre le donne a peccare. La satira afferma che i pantaloncini “non sono veri pantaloni” e che gli uomini dovrebbero coprirsi, perché “nessuno vuole vedere una cosa del genere”.

A causa del femminismo gli uomini non sono rappresentati alla Casa Bianca, e le donne hanno oltre l’80% dei seggi al Congresso. Quando un uomo si candida per una carica, il suo aspetto fisico e il suo abbigliamento sono oggetto di discussione quasi quanto le sue idee politiche.

A causa del femminismo gli uomini devono combattere per avere voce nella sfera pubblica. Nelle questioni di teologia, politica, scienza e filosofia la prospettiva femminile è spesso considerata quella di default, normale e oggettiva. Le prospettive maschili vengono scartate perché troppo soggettive o emotive. Se ci ribelliamo, spesso veniamo bollati come arrabbiati, ribelli, sovversivi o pericolosi.

Ma siate forti, fratelli.

Un giorno saremo tutti uguali.

Qualsiasi cosa facciate, non leggete Jesus Feminist. È pieno di idee che continueranno a opprimere e danneggiare gli uomini – idee come “anche le donne sono persone” e “la dignità e i diritti delle donne sono importanti quanto quelli degli uomini”.

 

 

Deconstructing “la tua opinione”

Copia di emmanuel-mouret-beato-tra-le-donne-nella-commedia-fammi-divertire-147593 I fatti li conoscete senz’altro: Beppe Grillo se ne esce con l’ennesima frase sessista. Siccome in giro c’è ancora molta ignoranza su cosa sia il sessismo, perché a scuola non si fa nessun tipo di educazione alle questioni di genere, perché i media generalisti se ne fregano di contrastare il patriarcato vigente, perché sul sessismo pensano tutti di avere un’opinione autorevole solo in quanto hanno un sesso, e infine perché anche la pagina di wikipedia, ammettiamolo, richiede di voler capire quello che c’è scritto. Vediamo allora di concentrare il nostro deconstructing non su un intero discorso, ma su una sola frase, cari amici sessisti: “in forma ridotta, per venire incontro alle vostre capacità mentali” (cit.)

Leggi tutto “Deconstructing “la tua opinione””

Le donne, i negri, il sesso

shapeimage_2E’ ora di chiamare le cose col loro nome – lo diciamo da un pezzo. Quando ai tempi ci fu una polemica per un libro su Casapound, e ci fu un gran discutere se il libro era fascista o no, se parlare dei fascisti è fascista o no, se scrivere un libro su una realtà fascista è fascista o no, e così via, pubblicai questo post nel quale facevo semplicemente presente che il sistema per decidere se qualcosa è fascista non è difficile. Quello che è difficile è intendersi su cosa sia un comportamento politico fascista – perché a qualcuno non potrebbe fare piacere.

Un qualcuno a me viene in mente: il classico compagno sessista che quando si tratta di commentare cose che riguardano donne o altri generi diversi dal suo sa regalare perle di sessismo da incorniciare. E argomentavo che il sessismo, ovviamente, è sempre un fascismo, quando è usato pubblicamente per fini politici.

Di recente vedo oggetto del solito sciacallaggio mediatico le parole di Romano Angelo Garbin, che certamente conoscerete già. Che la sua dichiarazione sia sessista non ci sono dubbi. Che sia giusto espellerlo dal suo partito è un problema del partito – di partiti sedicenti di sinistra, che usano pesi e misure diversi per giudicare della condotta di chi è iscritto e chi no, è piena l’Italia.

L’occasione però è interessante per chiarire una cosa. Quando il maschilismo è usato per insultare pubblicamente qualcuno, è fascismo – su questo non ci piove. Chi usava il maschilismo e il “virilismo” per propagandare una certa immagine di sé e dell’avversario politico è sempre stato il fascismo, quindi il “contrappasso” immaginato da Garbin come punizione per Valandro è uno splendido esempio d’immaginario simbolico fascista. Dico simbolico anche perché sono personalmente certo che, messo nelle condizioni legali per attuare questo suo desiderio, Garbin non lo farebbe davvero mai, e principalmente perché di punire Valandro in fondo non gliene può fregare di meno. Pensando però a un avversario politico donna che ha usato un insulto sessista e razzista, la cosa più “spontanea” che ha pensato è una graziosa ritorsione a suon di Big Black Cocks. E ce lo ha fatto sapere, tutto contento, via Facebook.

Questo basta e avanza, per come la vedo io, a identificare un fascista. Fascista nella cultura, nel pensiero, nell’immaginario. La domanda che mi pongo, interessante sia dal punto di vista politico che culturale, è: perché un attivista di sinistra, molto impegnato nella politica, settantenne, riconosciuto leader di sinistra in un territorio, ha un immaginario simbolico del genere? E perché lo usa pensando che sia una cosa di nessun conto? E perché tanti la pensano come lui? Lui se ne sta bello tranquillo ad aspettare quel che succederà, tanto la considera «Na tenpèsta in te on goto de aqua…».

E magari lui, e tanti come lui, si chiedono come mai i leader di sinistra al governo non fanno mai cose di sinistra, non pensano mai cose di sinistra, sono tanto distanti da “la base”. Base che, invece, su certi argomenti sembra andare naturalmente d’accordo: guardate come sono facilmente intercambiabili certi immaginari simbolici – e certi commenti politici – di Lega e SEL. Basta trovare l’argomento giusto: le donne, i negri, il sesso.

Dice che Robin Thicke c’ha il cazzo grosso

Un ineccepibile articolo scritto dal nostro pluritalentuoso amico Sdrammaturgo: Enjoy!

In this Country, you gotta make the money first.

Then when you get the money, you get the power.

Then when you get the power, you get the women.

 Da Scarface di Brian De Palma

 

Il problema non è la valletta nuda. Il problema è il presentatore vestito.

C’è questo videoclip di tale Robin Thicke.

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L’idea è semplice: fondo bianco, tre modelle nude dall’occhio vacuo che fanno balletti scemi e ammiccano intorno a tre cantantucoli trendy e cool che la sanno lunga.

In fondo sono sempre grato ai video rap sessisti: mi fanno scoprire ogni volta nuova passera mitologica di cui altrimenti avrei ignorato l’esistenza. E infatti in questo caso la brunette pallida è subito balzata nella zona Champions delle mie donne preferite.

Tralasciando la qualità della canzone in sé, che naturalmente è lassativa, il problema di questo videoclip non è tanto il sessismo, quanto il fatto che si tratta di un’occasione persa.

Pensate quanto sarebbe stato meglio così: nella prima parte, ragazze nude che fanno balletti scemi intorno a uomini vestiti di tutto punto. Nella seconda parte, cambio: ora le ragazze sono vestite eleganti e stavolta tocca ai ragazzi essere nudi e fare balletti scemi. Poi, tutti vestiti prima del gran finale in cui olé, tutti nudi.

Altrimenti, Robinthì, con questo video che m’hai voluto dire? “Sono ricco e famoso, sono un maschio alfa, sono pieno di figa sottomessa”.

Capirai che novità. A ‘sto punto sarebbe bastato un fermo immagine di quattro minuti e trentuno secondi sul tuo estratto conto.

E poi quella scritta, “Robin Thicke has a big dick”. Guarda che l’altro giorno negli spogliatoi della palestra in cui vado c’era uno che si vantava con un amico di avere il cazzo grosso.

Ma come, “sono un cantante famoso”, “vado alle feste con le modelle di intimo”, “frequento la gente che conta”, “Hugh Hefner me fa ‘na pippa”, per poi esprimere gli stessi concetti di uno che va in una palestra sulla Tiburtina?

E annamo, e daje.

E bada bene, non ti sto facendo la solita morale veterofemminista sulla mercificazione di qua e il corpo delle donne di là e l’omologazione dei canoni estetici di sopra e l’interiorità di sotto.

Io tra Emma Goldman e Melissa Satta uscirei con Melissa Satta, figurati.

Ho gusti estremamente convenzionali. L’occhio vacuo me piace pure. E ti dirò, la trovata delle modelle strafighe che fanno balletti scemi non mi sa manco male.

Di 73.272.161 visualizzazioni che hai ottenuto, 73.272.160 sono le mie.

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L’arrapamento mi ha fatto pure passare sopra alla presenza dell’agnello spaurito. Come dire, talvolta il mio antispecismo finisce dove comincia il mio testosterone.

Probabilmente ho più cose in comune con te che con un responsabile di un centro antiviolenza.

Mi piace la figa quanto te. Anzi, pure più di te, considerando che ne ho molta meno di te, data la mia posizione sociale.

Pensa che non riesco nemmeno ad avercela coi manifesti pubblicitari sessisti, perché uscire ed essere circondato da culi sodi mi mette fondamentalmente di buonumore.

Quello che mi offende dei manifesti pubblicitari non è l’uso del corpo femminile, ma la pubblicità. Se sui cartelloni ci fossero donne bellissime fini a loro stesse che non pubblicizzassero nessun marchio se non la propria stessa avvenenza, non avrei niente in contrario. E poi vedere veterofemministe scandalizzate è per me sempre motivo di gaudio.

Bellezza gratuita a mo’ di memento: “Ricordati che tutto sommato vale la pena vivere”.

Di contro, la pubblicità anche senza l’uso del corpo femminile mi esorta ad augurarmi l’estinzione della specie.

Però mi chiedo: perché solo e sempre le donne? Perché noialtri dobbiamo rimanere sempre vestiti?

Certo, perlopiù siamo quasi tutti brutti, sono d’accordo. Ma di uomini che meritano di avere la propria nudità esposta ce ne sono, eh.

Tu stesso sei un bel ragazzo, non ci sarebbero state affatto male le tue chiappe in bella vista accanto a quelle delle tre superbone.

Il paritarismo a cui anelo io piacerebbe pure a te, sono sicuro: tutti nudi.

Quindi, visto che tanto ti sono eternamente debitore per avermi messo al corrente delle tette di Emily Ratajkowski, per il prossimo videoclip chiamami e ci penso io. Qualche idea più originale di quella la escogito di sicuro.

Non temere, ti garantisco che ci saranno persino ancor più modelle ignude. Ma mi auguro che quanto appare scritto nel tuo video non sia una cazzata, perché con me il mondo scoprirà la verità.

Cinque motivi per essere un uomo femminista

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Propongo qui di seguito la traduzione di un post apparso in un sito americano, che condivido pienamente. La traduzione – me ne scuso subito – è molto “di pancia” e fatta da me, quindi abbastanza approssimativa; chi vuole commentare per correggerla è il benvenuto. Va anche detto che “femminismo” è una parola che ormai corrisponde a un campo storico e semantico vasto come la letteratura, e quindi nell’adattare un testo americano alla realtà italiana ci sarebbero da fare numerosi distinguo; prima di tutto, riguardo l’uso del termine “femminista” riferito a un uomo, dalle nostre parti. Mi pare comunque che il senso orginale di questi “cinque punti” si sia conservato nella mia versione, e sia ampiamente adattabile al nostro paese. Oltre a ciò che è doveroso, poi, immagino già le bocche storte delle numerose – e numerosi – proprietari del marchio “femminismo” in Italia, quell* che “il femminismo sono io”, punto e basta. Ecco, quest* ultim* li invito con la più cordiale gentilezza a ignorarmi e a continuare pure a coltivare il loro orticello in compagnia di chi è loro più caro.

http://www.bluethenation.com/2013/06/15/five-reasons-to-be-a-feminist-man/

Cinque motivi per essere un uomo femminista

Uno dei più forti pregiudizi riguardo il movimento femminista è l’idea che ogni femminista sia una donna. Anche nei giorni più bui dei rapporti tra razze negli Stati Uniti, nessuno aveva l’impressione che l’intero movimento abolizionista fosse composto da neri, o che tutti gli attivisti per i diritti civili fossero neri. Di fatto i segregazionisti – e i sostenitori della schiavitù prima di loro – erano notoriamente ben consapevoli dell’esistenza dei politici opportunisti e dei provocatori. Ma il femminismo è stato opportunamente ritratto dai suoi oppositori come un’unica landa di lesbiche arrabbiate e misogine che vogliono uccidere i bambini e tagliare il pisello a tutti. Il che è strano, dato che mia madre è una femminista, e non solo ha fatto sesso con un uomo almeno quattro volte – dato che ha avuto quattro figli senza ammazzare nessuno di loro – ma non ha mai, in nessun caso, provato a tagliare il mio o l’altrui pisello.

Lasciatemelo dire chiaramente: sono un maschio. Dico “fratello” spesso, solo circa il 60% delle volte in senso ironico. Ho spalle grosse e la barba. Seguo parecchi sport. Bevo pessima birra e pessimi alcolici, e non so che farmene del vino. Mangio carne rossa più volte di quanto sarebbe salutare farlo. Penso che le pistole possano essere divertenti. Probabilmente ho qualche allergia che ignoro del tutto perché non me ne accorgo. Non lavo i piatti finché non rimango senza piatti puliti. Mi piace giocare a biliardo, a carte, a dadi. Sono un maschio. A volte lo sono in maniera tanto infantile e deliziosa.

Quindi quando dico che sono un femminista, nessuno si deve permettere di considerarmi uno sfigato dicendo “Uff, ecco il solito sgorbio schifoso alternativo, probabilmente legge libri e cose del genere”. E neanche mi si può liquidare come gay, che è un’altra deduzione tipica che fanno i maschi sugli uomini femministi, perché non lo sono. E non si può dire che sia succube della mia donna, perché sono single. E non sono neanche stato “femminizzato” o altre cose del genere, vedi sopra. Diamine, porto un multiuso Leatherman sempre con me nel caso ci sia improvviso bisogno di una pinza o un coltello. Sono un uomo, sono un femminista, e penso che più uomini dovrebbero essere femministi. Ve ne darò cinque buoni motivi, e nessuno di loro sarà “perché alle donne piace troppo, ciccio” oppure “perché pensa alla dua mamma, uomo”. Non dovresti essere femminista per difendere le tue donne, o perché pensi che ti farà scopare di più. Dovresti essere un femminista perché si deve proprio essere un cazzo di femminista, punto. Così ecco qui cinque ragioni per cui dovresti esserlo, ben illustrate [vedi l’originale, ndr] con l’aiuto di Ryan Gosling (comprate il libro femminista di Ryan Gosling, è fantastico!).

1) Non c’è in assoluto un solo argomento morale contro il femminismo. Nessuno.

Questo è, ovviamente, il più importante. Femminismo è la semplice credenza che la gente dovrebbe avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di tutti gli altri, libera da barriere inutili o costruite apposta, senza avere costantemente paura per la propria incolumità, a prescindere dal genere. Se hai qualcosa da opporre a ciò, fottiti. Sei uno stronzo. Se non hai nulla in contrario, congratulazioni. Sei già d’accordo con femministi e femministe su uno dei loro più fondamentali principi ideologici. Ora comportati di conseguenza a quel principio e staremo tutti meglio.

2) Più uomini femministi ci sono, meno donne saranno violentate. Davvero.

Mi spiego. Il ritratto più comune nella nostra cultura di uno stupratore è uno schifoso maschio con baffetti sottili e cappotto, oppure un tizio con la felpa che segue una donna fino a casa, l’agguanta e se la fa tra i cespugli. Può avere o no un furgone chiuso, a seconda di quale episodio di “Law & Order: SVU” ha più influenzato la vostra idea di stupro. Ma non è certo un’idea molto corretta.  La maggior parte degli stupri sono commessi da uomini che sono noti alla vittima. Conoscenti, colleghi, anche familiari o amici. Se vi siete mai chiesti perché alcune donne sono un po’ prudenti prima di stabilire un rapporto amichevole con voi, quella è la causa principale. Quello, e il fatto che loro sanno che il più delle volte volete solo farci sesso.

Questo è il motivo per cui più uomini femministi significa meno donne stuprate. Un buon numero di quegli stupratori che erano conosciuti dalle loro vittime non hanno neanche capito che stavano commettendo un crimine. Sapevate che se una donna è molto più ubriaca o drogata di voi, e ci fate sesso, c’è una buona possibilità che diventiate proprio uno stupratore? Se tu sei come la maggior parte degli uomini di questo paese (e di tutti i paesi, in realtà), non lo sapevi. Sapevi che se una donna dice no la prima volta e quindi dice sì dopo che tu l’hai influenzata in qualche modo, sei appena diventato uno stupratore? Di nuovo, ci sono buone probabilità di no.

Uno degli scopi più importanti del femminismo è educare gli uomini e le donne su ciò che davvero costituisce stupro, aggressione sessuale, etc. Un uomo femminista – seriamente, uno che comprende il femminismo – è molto improbabile che stupri le sue conoscenti, perché la maggior parte delle persone non voglio realmente stuprare nessuno. Ma se non sai in cosa consiste uno stupro – ed è molto facile non saperlo nella nostra cultura – è molto difficile non commetterne.

Un uomo femminista non penserà che dato che la gonna di una donna è corta, allora lei è del tutto disponibile a fare sesso con ogni uomo nel raggio di due miglia. Un uomo femminista non penserà che solo perché ha offerto a una donna qualche drink, ciò significa che ha ottenuto di fare sesso con lei. Un uomo femminista non risponderà mai alla domanda di OKCupid, “Pensi che ci siano alcune circostanze nelle quali una persona è obbligata a fare sesso con te?”, con nient’altro che “No”. Un uomo femminista non proverà a castigare la grocca troppo sbronza in un party, e invece si assicurerà che torni a casa sana e salva – non perché sta cercando di essere “un bravo ragazzo” che poi userà questo episodio come arma per avere sesso “volontariamente”, ma perché sa cos’è uno stupro e vuole comportarsi da essere umano. In breve, un uomo femminista non stuprerà mai nessuno.

3) Quando le donne sono responsabili di qualcosa, fanno davvero un buon lavoro.

Attualmente ci sono più donne nel Congresso di quante ce ne siano mai state. Il 20% del Senato è composto da donne. E a conti fatti, la loro presenza, particolarmente in posizioni di peso nelle commissioni, è stata molto positiva. Sono state capaci di aprire un dialogo attraverso l’una e l’altra parte politica, sia assottigliando i confini ideologici, che separando i democratici più conservatori (Blue Dog) da quelli più progressisti. Un importante traguardo per qualunque progresso, fatto alla faccia di un polo di maggioranza repubblicana ostruzionista, è stato raggiunto grazie agli sforzi delle donne. Per altri esempi dell’efficacia delle donne nelle posizioni di potere, guardate al mondo degli affari, dove le donne in posizioni di comando sono molto apprezzate. Sebbene sia più difficile per una donna raggiungere quelle vette, se lo fa, allora quasi sempre ottiene brillanti riscontri.

4) Quando l’aborto è rigidamente regolato, le persone muoiono.

Ricordate la donna morta di parto in Irlanda perché non le è stato permesso di abortire? Non è insolito in situazioni nelle quali l’aborto è vietato per legge o limitato. Il parto può essere, sfortunatamente, qualcosa di cui morire. E se anche non lo fosse, ci sono altri pericoli insiti nel rendere fuorilegge o molto limitato l’aborto. Il più importante è questo: qualcuno vorrà avere aborti, che siano legali o no. Se sono illegali, avranno i loro aborti con operazioni insicure, fortunose, in luoghi non attrezzati. E certamente, questo può accadere non solo sotto “Roe contro Wade”, ma anche quanto l’aborto è regolato con tutti i crismi della legge, che un medico incapace negli aborti possa essere perseguito. Ecco perché ce ne sono così pochi in giro. Se l’aborto è illegale, non ci sarà scampo. Delle donne moriranno perché un branco di stupidi vecchi bianchi hanno deciso che loro non dovrebbero avere il controllo dei propri corpi.

5) L’oppressione non finisce finché l’oppressore non smette di opprimere.

Lo so, lo so, questa è dura da sentire. Non ti senti come un’oppressore. Ovviamente non ti ci senti. Se ti accadesse, smetteresti di fare cose che opprimono gli altri! Questo è come funziona l’oppressione nel mondo reale. Ci sono molte poche persone là fuori sedute in cerchio a rollarsi i baffi pensando al modo di essere cattivo e far soffrire il prossimo. Nessuno si sente un oppressore. Io non mi sento un oppressore. Ma quasi certamente lo sono, a causa di qualcosa che faccio senza che riesca a comprenderne esattamente tutte le conseguenze.

Ma quando dici a una donna a caso, per la strada, che oggi è bellissima, o che dovrebbe sorridere; quando cerchi di rimorchiare una ragazza al bar senza neanche preoccuparti di tentare di conoscerla prima; quando te ne esci che quello che è successo a Steubenville è stato orribile ma che quella ragazza non avrebbe dovuto ubriacarsi così tanto; quando parli di donne come oggetti sessuali; quando ti dispiace essere colpito dalla “regola dell’amico”; quando tu fai queste e altre migliaia di piccole cose, tu opprimi le donne. Tu contribuisci a una cultura dell’oppressione, a una cultura dello stupro e della violenza sessuale, a una cultura della reificazione delle persone, a una cutura del dominio e della superiorità maschile.

E’ una cultura nella quale le donne possono ancora perdere il lavoro perché rimangono incinte. E’ una cultura protetta da una inquietante moltitudine militarizzata di predatori sessuali e stupratori. E’ una cultura nella quale le donne non hanno ancora gli stessi guadagni degli uomini per lavori analoghi. E’ una cultura che dice alle donne che non dovrebbero “volere tutto” (che significa avere una famiglia e una carriera e una vita sociale) mentre dice agli uomini di essere ambiziosi, andare là fuori e prendere tutto ciò che vogliono. Infine, è una cultura altrettanto dolorosa e frustrante per gli uomini che per le donne. E non è una cultura che tu dovresti aiutare a perpetuare.

Signori, siete già arruolati nella guerra contro le donne. E’ ora di cambiare fronte.