Del mangiar cani

pigndog

“E’ veramente mostruoso che un individuo abbia fame di esseri che ancora muggiscono, insegnando di quali animali ci si debba nutrire, mentre questi sono ancora in vita ed emettono la propria voce, e stabilendo determinati modi di condire, cuocere e imbandire le loro carni. Bisognerebbe cercare chi per primo diede inizio a pratiche simili, non colui che troppo tardi vi pose fine.”

Plutarco, De esu carnium

Al Festival della carne di cane di Yulin – che si tiene ogni anno in occasione del solstizio d’estate – hanno massacrato tra ieri e oggi circa 10.000 cani. I cani, oggetto di un commercio illegale, a volte addirittura rubati alle proprie famiglie umane per essere venduti dai commercianti di carne di cane, vengono stipati in gabbie stracolme, e dopo viaggi estenuanti vengono uccisi in modo spesso estremamente crudele: strangolati, picchiati a morte,  scuoiati e/o bolliti ancora vivi.

Dal momento che il cane è nella maggior parte dei paesi occidentali – ma non solo, considerata la gentrificazione di ampi strati della popolazione cinese – il pet per eccellenza (“il migliore amico dell’uomo” come viene sovente definito), l’orrore nei confronti di tale pratica non ha tardato a farsi sentire a livello internazionale.
Anno dopo anno,  sempre più persone ingrossano le fila di chi denuncia questa pratica abominevole, chiedendone a gran voce la fine – e spesso, purtroppo, scadendo nel razzismo qualunquista che condanna, per gli usi e costumi di alcun*, un intero popolo.

La denuncia in sé è certamente condivisibile, ma quello che dà adito a tremendi dubbi è il fatto che, tra le persone che levano alte grida e si battono il petto contro questa odiosa pratica, molte – anzi moltissime – sono le stesse che non si fanno problema alcuno a mangiare maiali, agnelli, polli, conigli, mucche, cavalli… insomma, per costoro l’unico valido scrupolo nei confronti della pratica di cibarsi dei corpi di altri animali, è quello in grado di tutelare la vita dei cani.

Will Saletan (giornalista e, per inciso, carnivoro) in un articolo su Slate afferma che, per molte persone “il valore di un animale dipende dal modo in cui viene considerato.  Se lo allevi per la compagnia, allora è un amico. Se lo allevi per mangiarlo, allora è cibo. Questo relativismo è più pericoloso dell’assolutismo dei vegani o dei carnivori convinti. Si può scegliere di astenersi dal mangiar carne perché si è convinti che le capacità mentali degli animali siano troppo simili a quelle degli umani. O di mangiarla perché si pensa che non sia così. In ambedue i casi, si utilizza un criterio di coerenza. Ma se ci si rifiuta di mangiare soltanto la carne degli animali “da compagnia” – trangugiando pancetta e nel contempo affermando che i coreani non possono stufare dalmata – si sta affermando che la “moralità” di un’uccisione dipende dall’abitudine, o addirittura dal capriccio. Il ridicolo della situazione è che fino a pochi anni fa, i cani in Corea non erano considerati “animali da compagnia”. Perciò dal punto di vista del criterio del pet, è perfettamente legittimo che possano essere mangiati.”

In un altro articolo dedicato all’argomento aggiunge: “Gli psichiatri la chiamano “dissonanza cognitiva”. Mastichi un pezzo di pancetta e poi coccoli il tuo cane, rabbrividisci alla vista di un cavallo azzoppato ma continui a masticare il tuo hamburger […] Amiamo gli animali, ma amiamo anche mangiarli e non vogliamo dover scegliere .”

Personalmente, più che dissonanza cognitiva, mi piace definirla malafede. Le motivazioni che rendono i cani meno sacrificabili dei maiali, tanto per fare un esempio, sono ridicole e senza alcun fondamento: la maggior parte delle persone che dice che i maiali non stimolano la stessa empatia dei cani sono quelle che non hanno mai visto un maiale da vicino in vita loro – ma che probabilmente al cinema tifavano per Babe, maialino coraggioso e piangevano copiose lacrime mentre si ingozzavano di panini al prosciutto. Sono quelle persone per cui i vegani sono “estremisti che mettono sullo stesso piano i cani e le zanzare” (piace giocare facile, eh?), e per cui evidentemente la tensione alla coerenza è un valore abdicabile.

E’ questo il motivo per il quale, seppure canara e antispecista, quest’anno sto soffrendo molto meno del massacro di Yulin… o per meglio dire, sto soffrendo come al solito, come ogni giorno nel quale penso a tutti quegli splendidi animali uccisi e divorati per i “piaceri del palato”. Per quanto ami visceralmente i cani, non posso in tutta coscienza sentirmi più addolorata della loro morte rispetto a quella di una mucca, di un maiale o di un pollo, morti delle stesse orribili morti dei cani di Yulin.

Gli animali non umani hanno un proprio valore peculiare che prescinde da quanta empatia riusciamo a provare per loro, da cosa rappresentano per noi, dalla relazione che si viene a creare tra loro e noi. L’empatia ha degli aspetti controversi che non possono essere ignorati: l’empatia può non essere motivante all’azione, può spingere a trattamenti di favore, può dipendere da fattori non essenziali (a volte anche da aspetti secondari quali la percepita “coccolosità”) ed essere manipolata, può essere altamente selettiva, focalizzandosi su quei soggetti che sentiamo a noi più simili o più vicini, ed essere limitata al momento nel quale ci troviamo di fronte ad una particolare situazione, per poi dimenticarcene appena l’evento scatenante si allontana dalla nostra esperienza e percezione.

Etica ed empatia non sono la stessa cosa, anche se per alcune persone la prima è direttamente correlata alla seconda. Ma l’etica ricerca i criteri che consentano all’individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto di chi ha intorno – non solo però di chi è a noi più simile, o più vicino… Chiunque abbia intorno, mi permetto di aggiungere io.

In assenza di un’etica di questa portata, che richiede una presa di posizione politica su cosa sia il bene che si intende realizzare e che permetta di tradurre in azioni sociali quello che il nostro sentire morale ci suggerisce, che cosa ci scandalizza del mangiar cani?