E cosa ne sarà di Charley…

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E cosa ne sarà di Charley
che cadde mentre lavorava
dal ponte volò e volò sulla strada.

Ho avuto la malsana idea di iscrivermi ad un corso da coordinatore per la sicurezza in cantiere. Malsana perché è un ruolo in cui ci si trova tra l’incudine del committente dei lavori, ed il martello dei controlli degli Enti preposti. Se da una parte il corso mi ha convinto che non c’è niente di meglio che fare il coordinatore per prendersi una denuncia per concorso in lesioni colpose o omicidio colposo, dall’altra mi ha aperto gli occhi, e dato un minimo di strumenti, per comprendere cosa significa la sicurezza nei cantieri e nei posti di lavoro.

Ma partiamo da un dato di fatto, uno dei tanti: 1180 morti sul lavoro nel 2012 in Italia, più di tre al giorno (per non parlare delle invalidità permanenti e delle malattie professionali).

Se si pensa che la Repubblica Italiana, attraverso l’art. 32 della Costituzione, dovrebbe tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, c’è da mettersi le mani nei capelli.

Eppure la norma si è evoluta – inseguendo mano a mano tragici incidenti di portata nazionale quali il Molino Cordero, la Thyssenkrupp, i morti ai concerti di Jovanotti e Pausini – ha recepito le direttive comunitarie – anche se con una  lunga serie di infrazioni costosissime –  è articolata, e bene o male va ad affrontare tutti gli aspetti della sicurezza sul lavoro. Anzi, l’Italia è stata fondamentale nella stesura di una impalcatura normativa che effettivamente garantisse il diritto alla salute. Ma i dati parlano chiaro.

Come in tanti altri campi, ci troviamo da un lato di fronte ad un fenomeno culturale che porta i singoli individui a deresponsabilizzarsi nei confronti della comunità, dall’altro di fronte ad uno Stato che non impiega sufficienti risorse per le necessarie verifiche del rispetto della normativa (gli Enti di controllo normalmente ispezionano solo il 5 % dei cantieri, per esempio).

Sostanzialmente è il committente dei lavori, o il datore di lavoro, che, con il potere di spesa, viene caricato delle responsabilità sulla sicurezza dei lavoratori, ma proprio utilizzando questo suo potere, spesso per risparmiare o massimizzare gli utili, viene meno a quelle che sono le misure e gli interventi minimi per evitare incidenti.

Una vita non può valere qualche spicciolo risparmiato, ma neanche se fossero ingenti somme! Questo è scritto ben chiaro nella norma, la sicurezza non ha prezzo, ma non è percepito da chi ha come unico interesse avere il lavoro finito in fretta e al massimo del risparmio.

E ne muoiono tre al giorno.

Certo, se arriva il controllo sono multe salate, ma tanto viene controllato un cantiere su venti e finché non ci scappa il morto normalmente si riesce a commutare il tutto in una ammenda.

Adesso passeggiando per le vie, non dico di vedere ‘la gente morta’ come il ragazzino del film “Il sesto senso”, ma mi rendo conto che alcuni cantieri sono pericolosi per evitare di montare quattro, e dico quattro, tubi innocenti in più (mantovana parasassi montata sul mancorrente e non all’altezza del piano di calpestio), o una rete metallica a protezione delle cadute dal tetto.

E non venite a dirmi che i lavoratori anche se hanno i caschetti, i guanti, le imbragature non le usano, che mi sale il sangue al cervello. Io il caschetto lo devo portare, e lo faccio, ma è la cosa più scomoda del mondo, così come i guanti non ti permettono di essere preciso e le scarpe antinfortunistiche ti cuociono i piedi. Con questo non voglio giustificare chi non usa le protezioni, ma prima di prendersela con chi la vita se la gioca ogni giorno, è bene che si sappia che i dispositivi di protezione individuale (DPI) sono previsti dalla legge come ultima ratio per garantire la sicurezza, da adottare con l’opportuna formazione solo dopo la modifica dei processi produttivi esistenti, delle materie prime utilizzate e dopo l’adozione di misure di protezione collettiva.

Cambiare il processo produttivo, le materie prime, eseguire lavori strutturali e onerosi per evitare il rischio che il manovale, che prossima settimana non lavorerà neanche più qui, perda una mano, un braccio o una vita? Ma figuriamoci, ha solo da fare attenzione a dove le mette le mani!