Poveri per legge

King

Un breve racconto del nostro amico Sdrammaturgo, basato su fatti a lui accaduti recentemente. Buona lettura!

Per capire che lo Stato è un’istituzione fondata sull’abuso inventata dalla classe dominante per schiacciare la popolazione e che la legge è la voce del padrone atta a incatenare lo schiavo, non servono le stragi, le guerre, l’ingiustizia sociale, il capitalismo, le multinazionali, le galere, la scuola, la Diaz e Bolzaneto: basta salire sul treno.
Nella mia vita mi sarei aspettato di incappare anche in una pioggia di rane, in uno sbarco alieno, perfino nell’agognata fine delle battute sulla droga. Non si sa mai cosa può succedere, le meraviglie del possibile offrono infinite eventualità. Ma a questo, francamente, non ero preparato. La mia fantasia, pur avvezza alla science fiction distopica, si è rivelata non all’altezza della realtà più fantasmagorica concepibile nell’universo conosciuto: le regole del regime democratico.
George Orwell aspetta Machiavelli, si incontra con de Sade, passano a prendere il conte Vlad, tutti e quattro vanno a cena da Predator e insieme creano Trenitalia.
Questo è ciò che mi è successo stamattina sulla tratta Roma Tiburtina-Orte, treno delle 9.07.
Nel vagone passa una ragazza a chiedere l’elemosina. Le do trenta centesimi. Si alza un ferroviere davanti a me.

– Lo sa che lei è passibile di multa?
– Eh?!
– È vietato dare soldi a chi fa la questua. Il personale ferroviario potrebbe farle la multa.
– Ma se io le voglio dare trenta centesimi perché mi sta simpatica?
– Io gliel’ho detto, poi lei faccia come vuole.
– Infatti, con i miei soldi faccio quello che mi pare.

È ILLEGALE DARE SOLDI AI POVERI.
I trenta centesimi che scossero l’establishment.
Praticamente è obbligatorio l’abuso sul più debole.
Ho delle interessanti proposte di legge da fare al nuovo Governo:

1) divieto di nutrirsi se si ha un reddito inferiore alle aspettative del più vicino concessionario di BMW;
2) vietato soccorrere un individuo colto da malore qualora sprovvisto di carta di credito;
3) severamente proibito salutare passanti che non presentino indosso indumenti firmati.

Confesso che mi ha sorpreso. Non lo sapevo. E nemmeno lo immaginavo. Ma la legge non ammette ignoranza.
Una volta ho prestato cinque euro a un mio amico. Rischio l’ergastolo.
 

Siete il marcio della vita! Avete sbajato giorno e epoca

I difensori dell’infanzia e della famiglia si richiamano alla figura
politica di un bambino che loro stessi costruiscono, un bambino presupposto eterosessuale >e dal genere conforme alla norma. Un bambino privato di qualunque forza di resistenza, di qualunque possibilità di fare un uso libero e collettivo del proprio >corpo, dei suoi organi, dei suoi fluidi sessuali. Questa infanzia che pretendono proteggere richiama, piuttosto, terrore, oppressione e morte. […]
Chi difende i diritti del bambino che è differente? I diritti del bambino che ama indossare il colore rosa? Della bambina che sogna di sposarsi con la sua >migliore amica? I diritti del bambin* queer, frocio, lesbica, transessuale, transgenere? Chi difende i diritti del bambino di cambiare genere se lo desidera? I >diritti del bambino alla libera autodeterminazione del genere e della sessualità? Chi difende i diritti del bambino a crescere in un mondo senza violenza pedagogico che fa paura, il sito dove proteggere le proprie proiezioni fantasmagoriche, l’alibi >che permette all’adulto di naturalizzare la norma. Quella che Foucault chiamava «biopolitica» è vivipara e pedofila. La riproduzione della nazione ne dipende. >Il bambino è un artefatto biopolitico che garantisce la normalizzazione dell’adulto.
sessuale, senza violenza di genere? [..]
Il-bambino-da-proteggere […] è il prodotto di un dispositivo
(preciado quanto ti adoro) —>
Tratto da Bambin@ queer

Condividiamo con piacere l’appello di quelle meraviglie delle Ribellule, in seguito al quale, però, riportiamo anche l’ultima notizia rispetto al corteo in ricordo di Giorgiana Masi e contro il femminicidio. La questura, come negli anni ’77, gli ha negato l’autorizzazione. Siamo del parere che il dissenso non abbia bisogno di alcuna autorizzazione, dato che è il sistema che la prevede a generare la violenza contro cui si manifesta. Nell’ultima settimana, questo governo, ha già palesato la sua natura repressiva, caricando ferocemente studenti e ricercatori napoletani, sgomberando la libreria ex-Cuem di Milano che è stata rioccupata, con nostro grande piacere, caricando brutalmente i/le manifestanti No Mous e ora osteggiando una manifestazione che, questa sì, ha motivo di esserci. Come nel ’77 anche il 12 maggio si scenderà ugualmente in piazza a ricordare quello che è successo e a rivendicare la necessità di lottare ancora per il diritto ad un aborto libero e gratuito, ad una autodeterminazione reale ed effettiva per tutte le donne. Per aderire all’appello inviate una mail a nomarciaperlavita@gmail.com. Buona lettura!

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Il sessismo non si combatte con la censura

censorship-ben-heine

Come penso sappiate tutt@, Laura Boldrini, la presidentessa della Camera, ha dichiarato di essere vittima di cyberstalking. Le minacce, come la stessa Boldrini specifica, sono sempre o a sfondo sessuale o di morte, che in tal caso diventa femminicidio. Perché sì, la Boldrini è stata presa di mira non solo come esponente di sinistra ma come donna. Quindi, ancor prima di esser vittima di cyberstalking, credo sia giusto affermare che è vittima di sessismo.

Premetto che alla Boldrini va tutta la mia solidarietà, perché nessun@ donna dovrebbe mai essere minacciata e perseguitata. Detto ciò, però, mi trovo in completo disaccordo con la sua ipotesi di “controllare la rete”. Credo fermamente nell’idea che la censura non serva a nulla e che anzi, a volte, sia pure controproducente. Ma, attenzione, non dico neanche che non si debba fare nulla per contrastare questo stato di cose.

Analizziamo la situazione: le donne sono spesso oggetto di cyberstalking, ovvero offese e minacce di vario genere compiute per mezzo del web. E’ ovvio che tali minacce, proprio come quelle che avvengono nella vita reale, provochino stati di ansia e di paura nella vittima, che ha il diritto di reagire come crede, anche chiedendo l’intervento della polizia postale. Ma questo è ciò che la persona, nella una specifica e singola situazione, può fare. Ad un livello generale, pensare di combattere il sessismo con il controllo e la censura della rete è pura follia.

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1° Maggio Napoli: se i sindacati non rappresentano più i lavoratori/trici, a che servono?

Riporto con piacere questo comunicato del Laboratorio Politico Iskra, dell’area Flegrea (Na), che ho letto sul blog di quella meraviglia di Baruda. Quello che mi sconcerta è il fatto che questo concerto, come avevamo già detto in precedenza, si è svuotato della sua valenza politica riducendosi a nient’altro che mero business.

Ma, mi/vi chiedo, se i sindacati non rappresentano più i/le lavoratori/trici, a che servono? A chi servono? Quello che è accaduto a Napoli è l’esempio palese di una rottura tra sindacati e mondo del lavoro. Se nella giornata in cui si dovrebbe dare maggior spazio/voce ai/alle lavoratori/trici, si nega loro la parola, allora a che serve? E, soprattutto, perché spaventa la voce di chi vive sulla sua pelle lo sfruttamento che si dovrebbe denunciare? Siamo arrivati alla paradossale situazione in cui i sindacati chiedono protezione alle forze dell’ordine da chi dovrebbero rappresentare, ovvero i/le lavoratori/trici?

Da anarchica non posso che esser contenta per l’autorganizzazione che gli/le studenti/tesse, lavoratori/trici e precari/ie hanno messo in atto per far fronte a questa azione che non può che essere definita come censura. Se chi dovrebbe darci voce ce la toglie vuol dire che non ci rappresenta più e che quindi è arrivato il momento di rappresentarci da sol@. Buona lettura e soprattutto buona lotta a tutt@!

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Cose che sono tipo cazzate. Ma più grandi.

Esistono cose, nel mondo, che sono cazzate. Enormi, potentissime e deflagranti cazzate.
La cosa triste è che spesso non te le aspetti, eppure ti arrivano addosso e, assieme ad esse, cadono anche le braccia, una collezione completa di gonadi che non t’immaginavi possedere e pure qualche bestemmia.

Ad esempio, c’è questa cosa:

Ecce cazzata
Ecce cazzata

Mi spiego meglio: il messaggio “superficiale”, ossia ciò che questa scritta appare dire, è di tutto rispetto. Insomma, chi non vorrebbe un mondo privo di violenza (ad eccezione di chi si occupa di giochi di potere ed economici, chiaramente)? Perciò, sì:

– Finiamola con la violenza!
– Smettiamo di esercitare violenza!
-Che nessun* sia più vittima di violenza!

La pace nel mondo è uno dei sogni che cullo con più piacere. Non sono sarcastica: sono una hippie sessantottina la cui anima è trasmigrata in una donna d’oggi allo scopo di fare esperienza di vita negli anni Duemila. (Chiaramente mi prendo volentieri in giro: so di essere parecchio ingenua e la produzione delle mie personali visioni del futuro che contribuirò a creare lo dimostra…)

Però c’è un però. Perché la scritta non si limita solo a proclamare la fine delle sofferenze, ma si impegna affinché una parola specifica appaia cancellata pur rimanendo comunque ben visibile: WOMEN.

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Deconstructing Don Riccardo

doncamillo

Pochi giorni fa Loredana Lipperini, sulla sua bacheca Facebook, mette questo link nel quale Costanza Miriano, correttamente, non risponde a quanto Lipperini e Murgia hanno scritto su di lei. Correttamente perché non ha letto il libro L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!; e lascia la parola a “Don Riccardo Mensuali, del Pontificio Consiglio per la Famiglia – in pratica gli esperti del Vaticano sul tema”. Don Riccardo, come vedremo, non è esperto solo di famiglia, ma pure di un certo modo di comunicare, che – tipico, a mio parere, degli esponenti in divisa di un qualunque culto – va accuratamente discusso affinché nulla sia dato per scontato. Perché se sei corretto ma dai la parola a uno che lo è un po’ meno, forse non sei stato tanto corretto manco tu. No?

Se il potere è il servizio [titolo, permettetemi, parecchio complicato: che vuol dire, per i non esegeti di Miriano? Niente – e non ci verrà spiegato neanche dopo]

Nel loro interessante pamphlet “L’Ho uccisa perché l’amavo: falso!”, Loredana Lipperini e Michela Murgia se la prendono un po’ con Costanza Miriano [da questa frase pare che nel pamphlet – definizione che vi chiedo di ammirare nel suo uso di giudizio preventivo – le due autrici non facciano altro]. Lo fanno a pag 47 [ah. Una pagina sola]. Siccome il saggio ha come scopo, opportuno e prezioso, quello di “imparare a parlare di femminicidio” [grazie, ma non era meglio dirlo subito? E allora, forse, non è un pamphlet], cioè far luce sulla violenza contro le donne della nostra società [eh, no, non è proprio lo stesso. Per questo scopo certo non basta un pamphlet – sempre ammesso che questo lo sia; qui si tratta solo di riflettere su certe pessime abitudini linguistiche e quindi culturali, sullo sfondo della complessiva violenza di genere], “Sposati e sii sottomessa” è, dalle due autrici, messo all’indice [addirittura! Lipperini e Murgia hanno, nel loro pamphlet, costruito un indice di libri! Accidenti che dono di sintesi – riescono a far luce sulla violenza contro le donne della nostra società e a costruire un indice di libri tutto in un pamphlet]. Mi accorgo adesso che il correttore ortografico non conosce la parola femminicidio [quindi non t’è mai capitato di scriverla prima. Interessante per uno degli esperti del Vaticano sul tema della famiglia. La dice lunga sul livello di consapevolezza di quegli esperti]. Ragione in più per apprezzare il lavoro delle signore Lipperini e Murgia. Che però, io credo, non hanno letto i libri di Costanza Miriano [cioè le due autrici hanno messo all’indice un libro che non hanno letto. Bel complimento. E siamo all’inizio, signori!].

Anche io trovo che viviamo in un mondo duro, violento e crudele, soprattutto verso i più deboli: donne, anziani, stranieri, bambini [La mossa del giaguaro, fase #1: sono d’accordo con te sulla supposta “base” dell’argomento]. Il libro delle due autrici non avrebbe 80 pagine ma 800 se solo avesse avuto capitoli sulla violenza contro le donne nel resto del mondo [La mossa del giaguaro, fase #2: quell’argomento è vasto, e infatti tu non hai detto nulla riguardo una certa cosa]. Molti preti, e non solo, sono ancora scandalizzati da quel sacerdote ligure che osò affiggere in parrocchia una locandina nella quale esponeva la tesi secondo cui, in fin dei conti, una parte della violenza sarebbe da imputare alla colpa delle donne [La mossa del giaguaro, fase #3: ti tranquillizzo, guarda che sono dalla tua parte eh? Guarda che sono d’accordo, eh?]. Con questi discorsi, subito del resto censurati dal Vescovo incaricato della censura, il vescovo diocesano [abbiamo capito], si getta solo discredito sulla Chiesa [eh, non ce n’è certo bisogno]. Così, per chiarire [per chiarire cosa? E a chi? E che bisogno ci sarebbe, di chiarire? Glielo devo ricordare io, il latinorum di “excusatio non petita…”].

Scrivo però queste righe perché Costanza Miriano verrà a parlare al “Pontificio Consiglio per la Famiglia” il prossimo 29 Maggio, partecipando ad un seminario sul tema “L’Amore Imperfetto: un padre e una madre, l’educazione dei figli”. A lei abbiamo affidato il titolo: “La ricchezza della differenza”. Non so ancora cosa Costanza dirà. O forse sì, un po’ lo so. Ho letto i suoi libri [Capito? IO HO LETTO I SUOI LIBRI, mica come certe due autrici di nostra conoscenza – La mossa del giaguaro, fase #4 – la botta all’improvviso]. Il contrario della differenza non è uguaglianza. È uniformità. La povertà dell’uniformità, potevamo darle anche questo, di titolo, specchio dell’altro [non è affatto lo specchio, casomai l’opposto, e non vuol dire affatto la stessa cosa, ma vabbè].

Secondo Lipperini e Murgia, Costanza Miriano sarebbe convinta [che vuole farci, padre, hanno supposto che avendo scritto delle cose, ne sia anche convinta, di quelle cose. A lei non risulta, dato che usa il condizionale?] che “il problema della violenza e della morte delle donne nasca dalle scelte delle donne stesse, che rifiutandosi di “stare sotto”, quindi di porsi come pilastro portante dell’intera impalcatura del sistema di dominio patriarcale, fanno crollare l’armonia iniziale stabilita alle origini del cosmo, da Dio o dalla natura stessa. Chi ha fatto propria questa visione pretende di partire da un atto incontrovertibile – che la donna e l’uomo siano fisicamente differenti – per fondare su questa differenza una gerarchia di poteri e una pre-assegnazione di ruoli e di attitudini” [le confesso, padre, che questa cosa non l’ha detta solo Miriano, ma anche un certo numero di testi che, data la divisa che porta, le dovrebbero essere noti].

In sintesi, secondo Lipperini-Murgia [lui ha letto il libro, quindi questa è LA sintesi, non la sua sintesi], Costanza [certa gente si nomina per cognome e col trattino, certa altra per nome] dilapiderebbe secoli di fatiche [avete letto delle fatiche, voi, nel passo sopra?] per tornare indietro nel tempo riassegnando [ri-assegnando? E chi l’ha fatto prima?] alla donna un posto molto più in basso nella “gerarchia di poteri”. Un anti-femminismo di femmina [mi scusi Don Riccardo: la parola femminismo non è nella citazione che ha riportato. Le sembra che abbia un significato univoco per tutti, tanto da poterla usare così, al volo? E con tanto di prefisso e provocatoria specificazione? Mi scusi ma non credo che lei sia il più autorevole a dire cos’è il femminismo; figuriamoci un anti-femminismo (semmai esista) praticato dalle donne. Siamo alle astrazioni di terzo grado, ma per favore…], quindi più pericoloso [più: quindi di suo il femminismo lo è? Di nuovo complimenti, padre, per il suo equilibrio e il modo corretto di scrivere. E meno male che lei sarebbe uno degli esperti], se è possibile estremizzare [lo hai già fatto, furbacchione – La mossa del giaguaro, fase #5: traggo conclusioni ma le premesse non ci sono!]. Mi permetto di consigliare alle autrici del breve e intenso saggio [ecco, già è meglio di pamphlet, ma ormai non importa più a nessuno], di rileggere, quanto meno, le pagine di Costanza Miriano [quindi o non le hanno lette, o le hanno lette male – se dico che è almeno un po’ troppo paternalista, padre, s’offende?]. Vi troveranno invece dei grandi personaggi femminili [e che c’entra, scusi? Quando abbiamo cominciato a parlare della presenza/assenza di grandi personaggi femminili?]. Scopriranno che c’è un’eroicità della libertà di essere donne cristiane [MA COSA C’ENTRA? Nessuno nega la libertà di culto, né l’eroismo di alcun* cristian*; però, caro Don Riccardo, dovrebbe spiegare allora perché dice cristiane e non ‘cattoliche’. Intende anche  anglican*, ortodoss*, protestantI? Perché di eroi ce ne sono anche lì, ma ho idea che sul femminismo, le donne e il matrimonio le posizioni non siano proprio univoche. Ne vogliamo parlare o lo diamo per scontato?]. C’è – eccome – una gerarchia di poteri nelle pagine di Miriano. Ma non è la gerarchia a cui allude “L’ho uccisa perché l’amavo:falso!”. È il suo opposto [quindi le due autrici non hanno proprio capito niente, chiaro?]. C’è un potere nel “servizio” che rende libero il matrimonio [il matrimonio? E chi ne stava parlando? Si parlava di donne, di corpi e persone, non di istituzioni. O per lei sono lo stessa cosa, padre?] di respirare, di crescere, di esistere e di resistere [sì, il matrimonio, non le donne – quelle invece pare che soffochino, regrediscano, muoiano e cedano, le risulta?]. Il cristianesimo o è eroico o non è [sì, le storie dei santi le sappiamo anche noi – ma lei dovrebbe dire cosa c’entrano qui]. E tutte le mogli dei libri della Miriano sono eroiche, libere, spregiudicate, divertenti e ironiche perché superiori avendo scelto di essere “inferiori” [parere vostro, e sono le mogli, non le donne], capaci di lottare e di riposarsi, di imporsi e di rispettare, di correre e di fermarsi [ammesso che sia vero, osa davvero credere che quelle siano TUTTE LE MOGLI? E alle donne che mogli non sono, non ha nulla da dire? Miriano anche, non le considera?]. Le trovo piene di libertà. E se rispettano i loro mariti, lo fanno come suggerisce loro l’etimologia del verbo rispettare: vuol dire guardare due volte [e chissenefrega. Non si stava parlando di matrimonio, né di mogli – ma di donne. Per lei fa differenza? No? Beh, per qualcun* sì]. Costruiscono, queste donne [e no, padre, La mossa del giaguaro, fase #6 non passerà. Lei non può usare mogli e donne come fossero sinonimi], famiglie solide perché aperte, a Dio e al mondo. Chiedono, propongono, esigono. Se c’è qualcosa che non sono è tiepide, “né calde né fredde” (Ap 3,15), che mi sembra la malattia del nostro mondo [quale delle due autrici ha accusato qualcuno di indifferenza, o di ipocrisia? Cosa c’entra questa citazione? Niente, ma ormai siamo a ruota libera]. Fanno tornare alla mente le parole di Benedetto XVI pronunciate al Parlamento tedesco il 22 Settembre 2011: “La ragione positivista… non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. E tuttavia non possiamo illuderci che in tale mondo autocostruito attingiamo in segreto ugualmente alle “risorse” di Dio, che trasformiamo in prodotti nostri. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto” [passo che, le dirò, si avvicina molto di più a Lipperini-Murgia che alla sua cara Costanza. Sono le due autrici a voler parlare di una differenza naturale da considerare come tale, e non da interpretare come la manifesta costruzione di un potere politico o istituzionale, sacralizzato nel matrimonio come lei lo intende. Qual è allora la ragione positivista, quella che incastra la natura nell’istituzione matrimoniale a scopo funzionale o quella che vuole liberarne le potenzialità e sancire pari diritti della differenza? Oppure vogliamo dire che il matrimonio è naturale come i nostri corpi? E su, padre, “manco le basi der mestiere” (cit.)].

Se si ha la pazienza di guardare dentro le case dove vivono i personaggi di Costanza Miriano scopriamo case e famiglie aperte al vasto mondo di Dio. È questo, credo, che le rende libere [non lo metto in dubbio. Ma quelle famiglie non sono tutte le famiglie, Don Riccardo, e la maggior parte delle donne esistono fuori di quelle famiglie. Anche se non le piace, è così. E se la sua soluzione alla violenza – e quella di Miriano – è diventare come quelle famiglie, abbia almeno la decenza di smettere di parlare di libertà].

Sono certo – insomma – che, leggendo bene Costanza, anche le amiche Lipperini e Murgia dovrebbero prenderla con sé, sul carro nobile della battaglia contro la violenza (in genere) e la violenza che subiscono le donne [perché, Lipperini e Murgia si sono messe alla guida di quel carro? E quando lo avrebbero fatto,sempre nello stesso pamphlet? E perché dovrebbero dispensare la licenza per salirci? Ma dove l’ha vista tutta questa roba, padre? Lascio la parola all’amica Serbilla: “immagino Lipperini e Murgia sopra a ‘sto carro di madreperla econ colonnine ioniche, vestite come delle dee greche, con la fascetta sulla fronte, la tunica. Circondate da una luce dorata, e un coro che ripete: “OOOOOOOOOO”, acutissimo. E’ proprio un’immagine esilarante, come l’intento di far accettare nel club Miriano e far fare la pace alle bimbe”. A proposito di paternalismo, padre Riccardo]. Ce n’è molta – di violenza – anche nell’imporre alle donne di non fare le donne, le mogli, le mamme, le nonne – mi pare [e che c’entra? E che vuol dire? E chi l’ha detto, dove? Cosa sta insinuando? Vi ricordo che, all’inizio dell’articolo, padre Riccardo ha ammesso di non aver mai scritto “femminicidio” prima d’ora]. È uscito in questi giorni, per PIEMME, “Un domani per i miei bambini”: è la storia di riscatto e di vittoria sulla malattia di una giovane donna del Malawi, Pacem Kawonga. Una donna che da sottomessa alla violenza disumana ha imparato a “mettersi sotto” la vita di tanti, diventandone quella roccia salda su cui siamo chiamati a costruire una vita degna (Mt 7,24) [MA COSA C’ENTRA? Prima parla di matrimonio come se fosse equivalente alla donna in sé, poi adesso questa sventurata del Malawi e la sua vittoria sulla malattia. Vuole avere la cortesia di spiegare almeno una delle sue scelte argomentative?]. Allora benvenuta la gerarchia di poteri, se, come insegna Papa Francesco, il potere è servizio [e la vita è morte, l’alto è il basso, la pace è guerra, il nero è bianco – cos’è, un manifesto surrealista? Ma vuole spiegare almeno una delle cose che dice?]. La gerarchia di servizi potrebbe essere l’impalcatura per costruire un mondo migliore [speriamo che al Ministero dello Sviluppo Economico non la leggano, Don Riccardo mio!]. Anche per gli uomini. Grazie per l’accoglienza. Ci vediamo il 29 Maggio [ciao].

Don Riccardo Mensuali [Lorenzo Gasparrini (grazie a Feminoska e a Serbilla)]

Senza il lavoro il paese muore. Stacchiamo la spina!

class society

Senza lavoro il Paese muore e questo Paese non può morire…Tutte le risorse disponibili, a partire da quelle derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, siano dedicate alla redistribuzione del reddito da un lato ed alla creazione di lavoro dall’altro. (cit. Susanna Camusso) 

 

E il lavoro di quelli che vi montano i palchi del “concertone”, del tutto impolitico ed organizzato da chi non fa altro che concertare, palchi sotto i quali ogni tanto qualche povero stronzo schiatta nell’indifferenza generale?

E il lavoro precario, fatto di contratti inesistenti, progetti a scadenza, co.co.qualcosa, stage e promesse che impediscono di pianificare la propria vita senza dover sottostare al volere del datore di sfruttamento?

E il lavoro culturale, concepito come una specie di volontariato in incognito dove vengono richieste prestazioni lavorative gratis – aspetto che si allarga ormai al lavoro tutto?

E il lavoro migrante, fatto di paghe ridicole, lavoro nero che non garantiscono un permesso di soggiorno ed una quantità esagerata di ricatti da accettare per non finire dentro un C.I.E., e poi dentro un carcere, e poi di nuovo in un C.I.E. e così all’infinito, finché non si viene rimpatriati?

E il lavoro di cura, mai pagato dentro le mura di casa, e poco pagato fuori le mura; e mentre il lavoro si femminilizza per ironia della sorte (ma non per contraddizione) sono proprio le donne ad essere licenziate per prime? l’assurda pretesa di conciliare casa/lavoro e la violenza domestica del fidanzato con le palpatine al culo ricevute dal capo?

E il lavoro sessuale, svolto in condizioni pessime, senza alcun tipo di tutela per chi lo svolge, né vie d’uscita per le vittime di tratta?

E quelle categorie per le quali il lavoro non esiste a prescindere, come le persone transessuali, manifestazione dell’ipocrisia di chi di notte ti cerca ed il mattino successivo al colloquio ti nega il posto, oppure quelle disabili?

E le pensioni che non ci saranno e che ci costringeranno a spaccarci la schiena finché non finiremo al camposanto, e tutta quella gente che non ha nemmeno più idea di cosa sia un reddito? e la lotta all’evasione fiscale, di cui si parla tanto, che lascerà  stare i grandi evasori, cioé imprenditori e politici?

E la sicurezza sul lavoro, che è alla stregua di un miraggio irraggiungibile nel bel mezzo del deserto, priorità accantonabile in nome del non c’è tempo, non ci sono soldi, e chissà quante altre stronzate?

E la media di tre morti e duemila incidenti sul lavoro al giorno, cadaveri invisibili dei quali in vita si parla solo in termini di capitale umano e simili amenità? e tutto il lavoro che non ho elencato?

Chi se ne frega di risollevare i bilanci, le austerity colpiscono sempre i soliti, quindi noi, e coi prodotti interni lordi si misura la quantità di denaro che fluttua dalla tasca di un riccone ad un altro, non certo la qualità della vita di chi vive in questo paese. C’è assoluto bisogno di un primo maggio e non solo, costruito ad autogestito dal basso; di  sciopero non-stop,  lotta irreversibile, rifiuto del lavoro e del non-lavoro: il capitalismo è un morto che si  tiene in vita con la respirazione artificiale del respiro che ci sottrae,  soffocandoci. E se lo lasciassimo morire? 

La legge svedese in materia di prostituzione: presunti successi ed effetti documentati

nobadwhores

Presentiamo una sintesi dell’articolo The Swedish Sex Purchase Act: Claimed Success and Documented Effects. Le autrici Susanne Dodillet e Petra Östergren (studiose che hanno approfondito diversi aspetti della legge antiprostituzione svedese, condotto ricerche sul campo, ecc.), hanno concepito l’articolo per svelare al pubblico internazionale le conseguenze reali del ‘modello svedese’ e ci offrono la prima compilazione dei suoi effetti che sfronda l’insidiosa narrativa ufficiale con il ricorso ai dati oggettivi effettivamente disponibili. Questo Conference paper è stato presentato all’ International Workshop: Decriminalizing Prostitution and Beyond: Practical Experiences and Challenges (The Hague, 3-4 Marzo 2011).

Il testo completo è molto lungo, per agevolare la lettura pubblichiamo un prima parte, una traduzione sintetica dell’introduzione realizzata da H2O e revisionata dal gruppo traduzioni militanti che collabora anche con il blog Intersezioni. Quando sarà pronta la traduzione del testo completo pubblicheremo un .pdf da distribuire tra gli/le addetti ai lavori (e non solo).

Buona lettura!

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Il fatto che la legge svedese che criminalizza l’acquisto di prestazioni sessuali venga considerata una misura unica nel suo genere perché punisce solo l’acquisto (e non la vendita) di prestazioni sessuali è una semplificazione discutibile: innanzitutto perché il Sex Purchase Act non è dissimile da altre leggi e regolamenti utilizzati in altri paesi per la riduzione o l’estirpazione della prostituzione mediante strumenti legislativi. Inoltre, perché è riduttivo attenersi unicamente alle parole di un atto di legge (‘sono solo coloro che acquistano le prestazioni sessuali ad essere puniti’) e tralasciare gli effetti indiretti da esso conseguenti. È ovvio infatti che una legge che proibisse l’acquisto dei servizi offerti nel massaggio terapeutico, nella psicoterapia o nel counselling per la salute sessuale ad esempio, nel punire chi acquista tali servizi produrrebbe conseguenze negative anche su chi quei servizi li offre.
La cosa che rende certamente unico il Sex Purchase Act è la maniera in cui è stato giustificato dai legislatori femministi fin dal principio: con la motivazione che la prostituzione sia una forma di violenza maschile sulle donne, che prostituirsi sia fisicamente e psicologicamente dannoso e che non vi siano donne che vendono prestazioni sessuali volontariamente. Ai tempi della sua introduzione la prostituzione veniva considerata come un ostacolo al raggiungimento dell’uguaglianza di genere non solo per i motivi appena citati ma anche perché l’idea stessa che un uomo potesse pensare di poter ‘comprare il corpo di una donna’ veniva ritenuta lesiva per tutte le donne. Il fatto che l’interdizione dalla prostituzione fosse lesiva per le donne che vendono prestazioni sessuali, o che violasse il loro diritto all’autodeterminazione non era ritenuto importante. Il valore simbolico veicolato dal Sex Purchase Act per l’uguaglianza di genere risulta(va) più importante: questa visione ispirata al femminismo radicale è esistita in occidente a partire dagli anni Settanta ma non è mai stata tradotta in un provvedimento governativo. Tranne che in Svezia (nel 1998 e ancora nel 2006).

Un altro aspetto unico del Sex Purchase Act è stata la persistenza con cui tale divieto, o ‘modello svedese’, è stato propagandato. L’esportazione ad altri paesi era uno degli obiettivi dichiarati fin dall’inizio — ed è stato perseguito da entità governative e non governative con l’ausilio di pubblicazioni cartacee ed elettroniche, filmati, iniziative, workshop, seminari e dibattiti. Prova ne è che quando i paesi iniziano a interrogarsi sugli emendamenti da apportare in materia di prostituzione si rivolgono alla Svezia in cerca di ispirazione.

Il pezzo forte della campagna di divulgazione del Sex Purchase Act sono stati i successi attribuiti alla sua applicazione, tra cui vengono generalmente annoverati il calo della prostituzione, la diminuzione della tratta a fini sessuali, l’effetto deterrente sui clienti e il mutamento della percezione della società nei confronti della prostituzione. E non risultano conseguenze negative (la versione ufficiale più recente di questa tesi, ripresa dalla CNN, risale al 2010). Ad un’analisi più attenta, il punto debole di questo tipo di asserzioni è la mancanza di dati o ricerche che ne possano supportare la dimostrabilità. Nel processo di consultazione previsto dall’iter di emendamento della legge svedese (successivo alla pubblicazione della valutazione ufficiale del 2010) i dati riferiti sono stati contestati soprattutto dalle entità impegnate nello studio della prostituzione e dagli organismi di riferimento in materia di salute e discriminazione. Tra le obiezioni sollevate: la mancanza di rigore scientifico e di obiettività (l’unico scenario contemplato è infatti quello in cui l’acquisto di prestazioni sessuali è illegale), una definizione incompleta della prostuzione, l’omissione delle interferenze ideologiche (invece significative), dei limiti del metodo, delle fonti e dei potenziali fattori di distorsione; l’inclusione di incongruenze, contraddizioni, la mancanza di rigore bibliografico, l’uso di parametri di confronto irrilevanti o inesatti e la redazione di conclusioni non supportate da dati dimostrabili e spesso di carattere meramente speculativo.

Segue un’analisi dettagliata della discrepanza tra gli effetti positivi attribuiti al divieto e la mancanza di dati dimostrabili a supporto di tali affermazioni. Perché dall’analisi della letteratura e delle relazioni disponibili risulta evidente che gli effetti del Sex Purchase Act sul calo della prostituzione, sulla riduzione della tratta a fini sessuali e sugli effetti deterrenti sui clienti sono di gran lunga inferiori a quanto dichiarato nella valutazione ufficiale. È inoltre impossibile sostenere che la percezione della prostituzione da parte dell’opinione pubblica sia mutata in maniera significativa nella direzione auspicata dal femminismo radicale o che si sia registrato un aumento di consensi rispetto al divieto. E contrariamente a quanto ribadito nella versione ufficiale riguardo al fatto che il divieto non avrebbe avuto effetti negativi per le persone che si prostituiscono sono stati identificati pesanti effetti negativi del Sex Purchase Act, soprattutto in materia di salute e benessere delle/dei sex-worker.

Dopo una panoramica sulle leggi e i regolamenti esistenti in Svezia in materia di prostituzione, l’articolo analizza gli effetti documentati del Sex Purchase Act e presenta alcune conclusioni.

I sottotitoli dell’articolo:

  • Introduzione (sintetizzata sopra)
  • Legislazione svedese in materia di prostituzione (quali leggi e regolamenti costituiscono il ‘modello svedese’, con una breve spiegazione dei dettami e degli effetti di ciascuno)
  • Materiali di riferimento (e fonti) utilizzati dalle autrici dell’articolo
  • Diffusione (i dati disponibili sul fenomeno della prostituzione in Svezia, prima e dopo l’entrata in vigore della legge)
  • Tratta per fini sessuali (la contraddittorietà dei dati disponibili al riguardo)
  • Effetto deterrente sui clienti (il ‘cazzotto a vuoto’)
  • Effetti sulla percezione del fenomeno da parte dell’opinione pubblica (da dove vengono dedotti e quali sono)
  • Effetti indiretti (non contemplati dalla legge e negativi per la salute e la salvaguardia delle/dei sex-worker)
  • Conclusioni (ruolo dell’ideologia sulla discrepanza osservata tra gli effetti dichiarati della legge e quelli riportati con il ricorso al metodo scientifico)

Petra Östergren: sexworker e critica alla politica svedese in materia di prostituzione

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Ripropongo questo post, che avevo pubblicato su FaS, per continuare a tenere vivo il dibattito su sex work e modello svedese, quello stesso modello che anche in Italia viene spacciato per ideale pur ricevendo profonde critiche in patria da associazioni femministe, docenti universitarie e lavoratrici stesse.

A brevissimo pubblicheremo anche la traduzione di un nuovo testo di Petra, che ringraziamo per averci dato l’autorizzazione a tradurre e pubblicare questo articolo e di averci suggerito altro materiale.

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Riflessioni sul matrimonio gay

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Lo sappiamo ormai tutt@: l’assemblea nazionale francese ha dato il via libera alla legge sui matrimoni e sull’adozione di bambin@ da parte di coppie dello stesso sesso. Tutt@ a festeggiare, tutt@ a dichiarare la Francia come il paese da imitare quando, a mio avviso, ci sono delle cose sulle quali sarebbe bene riflettere.

E’ evidente che questa legge sia accolta come di importanza capitale da chi crede nel matrimonio come valore e vuole vederselo riconosciuto dallo Stato, o anche semplicemente da chi vuole accedere ai diritti che sono, in questo momento, esclusivi delle unioni fra etero sposati (perché altrimenti non si ha comunque alcun diritto), non mettendo in discussione l’esistenza stessa di tale dispositivo. Il matrimonio, se ci pensiamo bene, è in fin dei conti un contratto che in quanto tale offre molte agevolazioni, vantaggi che diventano ancora più preziosi in un momento di crisi come il nostro. L’aspetto romantico non è da prendersi in considerazione, dato che l’amore, in qualunque forma lo concepiate, non ha nulla a che vedere con diritti, firme, riti e simili … glieli abbiamo attribuiti noi, e sempre a noi tocca liberarlo.

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