Un po’ di giorni fa, ho deciso di partecipare, assieme ad un amico, al mio primo Transgender Day Of Remembrance.
Nella mia vita mi è capitato diverse volte di partecipare a manifestazioni e commemorazioni per-ricordare, in-onore-di e via discorrendo, e la sensazione è sempre stata, più o meno, di tenere in mano un bel pacchetto regalo di rabbia, infiocchettata con senso di impotenza, con tanto di bigliettino allegato contenente aperto disprezzo per chi, nelle circostanze in questione, avesse osato sfoggiare un sorriso. Con un sottile margine di tolleranza per i sorrisi nervosi, così, per non disprezzare proprio tutti tutti.
Questa volta no, e non ci trovo nulla di particolarmente strano. Per quelle e quelli come noi l’incazzatura è quotidianità, e personalmente mi incazzo così spesso che una volta l’anno credo di essermi preso la licenza di non sentirmi in dovere di farlo: ogni tanto è bene che se ne occupi qualcun altro.
Non intendo certamente dire che di queste persone, morte suicide o morte ammazzate, non mi importa niente. Nient’affatto. La rabbia di cui mi parlo è qualcosa che mi tappa la vena. E questo succede ogni volta che apro un articolo del solito giornalista da due spicci bucati che declina una donna trans al maschile, quando sono sulla metro e sento imbecilli prendere in giro qualcuno dalla presentazione di genere androgina, tutte le volte che c’è chi fa misgendering (ovvero sbaglia i pronomi di una persona trans), e tutte quelle violenze e microaggressioni presenti in una gamma pressoché illimitata di situazioni assortite; in strada, a scuola, al lavoro, nella ricerca di un impiego. Praticamente quasi sempre e quasi ovunque.
Quello che mi piacerebbe dire è questo: con quale ipocrisia sfilze di attivisti partecipano a questa giornata, con che coraggio tanti prendono le distanze dalla transfobia un giorno all’anno, quasi a fare ammenda per i restanti 364 giorni di passività? Non basta. No, non basta assolutamente. A maggior ragione se quegli stessi attivisti in separata sede lamentano la scarsità di partecipazione trans alle loro attività, non rendendosi conto né del maggior stigma presente sulla popolazione trans, né delle maggiori difficoltà di una persona trans a intraprendere un percorso militante per molti motivi, ad esempio un livello di disoccupazione preoccupante (nonché la necessità di mantenere un lavoro quando lo si ha) e la discriminazione transfobica all’interno della stessa comunità LGBTQIA+. In che misura è possibile pensare a collettivizzare i propri sforzi se non ce la si fa a tenere in piedi neanche sé stessi? Me lo chiedo.
La morte di tutte queste persone mi rende furioso. Con tutte le fiammelle del candle light vorrei mettere a ferro e fuoco le città. Quando ci picchiano, ci fanno del male, ci uccidono, ci stuprano, ci minacciano io voglio la lotta, voglio vendetta, voglio urlare fino a rimanere senza voce. Ci tengo troppo a tutte e tutti noi, per reputare lo stare in un silenzio ad una veglia qualcosa di sufficiente. Non voglio ricordare i miei morti col dolore, voglio che il periodo in cui sono stati in vita non sia vano. E voglio lottare affinché i vivi rimangano tali. Troppe e troppi di noi sanno cos’è la depressione, hanno pensato almeno una volta al suicidio o l’hanno tentato, soffrono di transfobia interiorizzata e non considerano la propria come una condizione esistenziale, bensì una malattia. Io voglio promettere a ogni persona transessuale e transgender che l’esistenza piena di miserie che ci è riservata non è né meritata, né ineluttabile e che insieme possiamo distruggerla; che la sofferenza è privata, ma il privato è sociale, e il sociale è privato. Non voglio sottovalutare l’importanza del ricordo. Ma la memoria è qualcosa di più del ricordo: è rendergli giustizia. E non legalità, ma giustizia sociale.
Io voglio che si arrivi ad un giorno in cui non bisognerà più preoccuparci per la sicurezza e in cui non ci servirà mai più abituarci all’idea di dover essere pronti a difenderci da qualcuno ogni volta che usciamo di casa, ma finché quel giorno non arriverà, terrò il coltello fra i denti. Ma non lo desidero, quel giorno: lo pretendo.