Matt Taylor, e llevate ‘a cammesella

acammesella1Serbilla e frantic hanno tradotto questo articolo di Phil Plait.

La scorsa settimana, l’Agenzia Spaziale Europea ha fatto atterrare una sonda spaziale su una cometa.  E’ stato un un evento storico di grande importanza. Ma un altro fatto, collegato a questo evento,  ha causato un grande trambusto. Matt Taylor, scienziato impegnato nel progetto della missione Rosetta, si è presentato in pubblico per parlare del successo dell‘atterraggio; tuttavia, ha compiuto una sfortunata scelta di abbigliamento. Indossava una camicia da bowling coperta di pinup poco vestite.
Questo ha sconvolto un sacco di gente. Un sacco. Il fatto è stato aggravato dalla descrizione, estremamente mal ponderata, della difficoltà della missione Rosetta: “E’ sexy, ma non ho mai detto che fosse facile.”
Accidenti. Per essere chiari, io non credo che Taylor sia un  furioso misogino o simili; penso fosse proprio all’oscuro di come le sue parole sarebbero suonate e come la camicia poteva essere interpretata. Viviamo tutti in un’atmosfera intrisa di sessismo, e quasi non ci facciamo caso; un pesce non nota l’acqua in cui nuota. Ho vissuto in questo ambiente per tutta la vita, e ci sono stato anche in età adulta, prima prendere coscienza della sua esistenza e capire come contrastarlo. E sto ancora imparando.

È importante sottolineare che, il giorno dopo, chiaramente sconvolto di aver causato tante storie, Taylor si è scusato pubblicamente con sincerità e gentilezza per le sue azioni. La maggior parte delle persone che erano rimaste sconvolte ha accettato le sue scuse e si è tranquillizzata.

Ma non finisce qui. Come è facile immaginare, quando le persone si sono lamentate per il sessismo casuale della camicia e della descrizione della missione,  il contraccolpo misognino ha travolto i social media come un torrente schiumoso, un altro di una lunga serie di manifestazioni della legge di Lewis (“I commenti a qualsiasi articolo sul femminismo giustificano il femminismo.”)
Potrei dire molto a questo punto, ma Dr24Hours ha scritto un’eccellente sintesi che si allinea abbastanza bene con il mio pensiero. Vi prego di andare a leggerla in questo momento.
Ma ho anche qualcosa da aggiungere.
Se pensate che solo le donne si lamentino di questo, vi sbagliate. Certamente molte lo hanno fatto, ed è giusto così. Ma il fatto è che anche io [che sono un uomo] ne sto scrivendo. So che molti uomini miei amici, scienziati e divulgatori scientifici,  ne hanno parlato. E’ importante che gli uomini parlino, ed è importante anche che ascoltino.
Se pensate che questo sia solo il lamento degli invidiosi che non possono reggere il confronto con qualcuno che ha appena fatto atterrare una sonda su una cometa, vi sbagliate. Parlate con la mia amica, la cosmologa Katie Mack. O la scienziata planetaria Sarah Horst. Oppure la geologa Mika McKinnon. Oppure l’astrofisico Catherine Q. * O la geologa planetaria Emily Lakdawalla. O la radio astronoma Nicole Gugliucci. O la straordinaria professora e comunicatora scientifica Pamela Gay. Oppure Carolyn Porco, che ha lavorato sulla missione Voyager ed è la leader del team d’imaging di Cassini, la sonda spaziale che orbiterà intorno a Saturno per oltre un decennio.
Se pensate che siano solo un mucchio di bacchettone, vi sbagliate. Non si tratta di pruderie. La questione è l’atmosfera di denigrazione.
Se pensate sia giusto usare una parola connotata dal punto di vista del genere per insultare e umiliare una donna perché lei ha usato un insulto non di genere verso un uomo, allora siete veramente in errore (e questo è un tweet rappresentativo di molti di quelli che ho visto).
Se pensate che questo non sia un grosso problema, beh, di per sé, non è un enorme problema. Ma non si tratta di una cosa “di per sé”, no? Questo evento non è accaduto nel vuoto. Si verifica quando c’è ancora una grossa falla nel percorso che porta le donne a studiare materie scientifiche ad abbracciare la carriera scientifica. Si verifica quando, ancora, un nome femminile su una domanda per fare ricerca presso un’università rende meno probabile che la accettino†, e molto più probabile che la ricerca venga citata meno. Si verifica quando non siamo ancora neanche vicini alla parità nell’assunzione e nella continuità professionale delle donne in ambito scientifico.
Quindi sì, è solo una camicia.
Ed è solo una pubblicità.
E ‘solo un modo di dire.
E ‘solo uno show televisivo.
E’ solo in Internet.
Sì, ma tu sei remunerata quasi quanto un uomo.
E’ solo un fischio.
E’ solo un complimento!
E’ solo che i ragazzi sono ragazzi.
E ‘solo che lei è una puttanella.
E’ solo che il tuo vestito è così corto.
E’ solo che “vogliamo sapere quello che indossava al momento, signora.”
E’ solo che è solo che è solo.
E’ solo una morte dovuta a mille tagli. Nessuno dei tagli uccide. Alla fine, lo fanno tutti.

* Aggiornamento, 18 Novembre 2014 alle 03:00 UTC: Non posso credere di aver dimenticato la mia amica Catherine Q nella lista degli scienziati che hanno parlato di tutto questo. Ora è sulla lista.

† Correzione (19 Novembre 2014): Originariamente ho scritto che avere un nome femminile su una ricerca significa avere meno probabilità di essere pubblicati.

Aspirare (al)la parità

Come certamente saprete, sul web si trovano da anni blog genitoriali: la maggior parte di loro è fatta da mamme e per le mamme, e parla degli argomenti più in voga tra le mamme, ma non mancano – oltre i rari veramente genitoriali – i “papàblogger”, uomini che raccontano la loro esperienza paterna e che cercano di far diventare questa loro attività un mestiere. Fin qui niente di male. Il problema nasce quando qualcuno di questi geni della comunicazione pensa bene di adoperare argomenti o temi dei quali evidentemente capisce pochissimo per i propri scopi.

Se questi ultimi sono senz’altro leciti, l’uso di alcuni argomenti è a volte – perlomeno – discutibile. Del brillante comunicatore di cui ci accingiamo a leggere le meraviglie eviterò di mettere il link, tanto vi basterà l’immagine, se proprio ci tenete. Qui, come sempre, non interessa tanto la sua persona quanto l’uso incredibile di parole e argomenti che andrebbero usati con ben altra sensibilità. Il grave danno provocato dal parlare di parità in questo modo, e pure in un blog di padre che parla ad altri padri, lo si misura poi quando in ben altri contesti emerge tutta l’insipienza politica e civile comune su questi argomenti. La condivisione di stereotipi, luoghi comuni e altri sessismi non è scusabile perché uno si sente padre spiritoso che parla di lavori domestici.

Uccello2
Un aspirapolvere per la parità [cominciamo bene, eh? Bel titolo davvero]

Io ci provo ad ottenere la parità in casa, ma non è facile. [Lui, uomo, aspira a ottenere la parità in casa. Oh, magari è un’eccezione, vediamo]

Vengo sempre messo in secondo piano e c’è un lento mobbing casalingo che mi spinge a rinunciare. [E la miseria, e chi ti sei sposato? E soprattutto, perché? Però una cosa: mobbing è una parola pesante, configura un reato, e si riferisce soprattutto a un luogo di lavoro. Forse che, invece che da padre, sta parlando da domestico contrattualizzato? E poi, rinunciare a che cosa? Non lo sappiamo. Il comunicatore, qui, si tiene sul vago]

Io però non mi abbatto e vado avanti sulla mia strada per ottenere la parità [un po’ di empowerment che non guasta mai].

La mia ultima battaglia è stata: L’aspirapolvere non ha bisogno di una mano femminile per fare il suo lavoro al meglio. [Avete capito bene: il nostro coraggioso difensore dei diritti degli oppressi, che lotta per la parità, combatte per diffondere qualcosa che le donne stanno dicendo da più di un secolo: non è necessario essere donna per pulirsi casa. Anche se l’aspirapolvere ha più di un secolo, le donne lo dicono da prima.]

Pochi giorni fa è arrivato a casa nostra il Dyson DC52: un aspirapolvere dal design futuristico, con un sistema di aspirazione che riprende la teoria del ciclone. [Sì, capita che i blogger facciano pubblicità nei post: devono pur campare, non c’è niente di male. Certo che se la butti sulla parità dei diritti, forse – ma forse eh – dovresti essere più cauto nell’usare argomenti che per qualcuno costano la vita.]

Insomma il fatto che non avesse bisogno di sacchetti da cambiare, che fosse ecologico perché la polvere la svuoti facilmente e il contenitore lo lavi semplicemente mi ha fatto pensare che fosse arrivato il momento giusto per essere d’aiuto in casa senza la supervisione al femminile. [Quindi ringraziamo il prodotto futuristico, sennò col quasi che alzavi il culo per pulire casa. Davvero simpatico come argomento per ottenere la parità in casa.]

Sono tanti gli uomini e i papà che mi scrivono, solidali, su questo argomento che ci confina in uno stato depressivo sul divano. [Poverini, milioni di papà che non vorrebbero soffrire, addirittura depressi perché nessuno aveva prodotto un aggeggio che li liberasse dalla schiavitù del divano. Ma adesso ci ha pensato Dyson a liberarvi, potete alzarvi e ottenere la parità in casa!!!]

La questione è sempre la stessa: Qualsiasi sia il lavoro domestico fatto da un uomo dopo ci sarà sempre una donna che passerà a controllare o a dare il suo piccolo contributo, proprio come un colpo da maestro. (E’ una cosa che sta nel DNA, quindi difficile da modificare) [COSA? Le donne avrebbero nel DNA il controllare le pulizie? O forse si tramandano da generazioni questa schiavitù, dato che da sempre si accompagnano a uomini che vedono nel fare le pulizie qualcosa di degradante per la loro virilità? E quindi t’incazzi se – data l’inesperienza – pulisci male e lei lo vede? Bel concetto di parità, complimenti.]

Sicuro di avere nel Dyson un alleato ho lanciato una sfida: “Cara, questa volta non potrai fare di meglio”. [L’olio di gomito costa meno, ma evidentemente è poco virile. Invece un bel tubo aspirante ti rinfranca la mascolinità? E, serve un alleato contro la crudele donna che passerà a controllare, armata del suo DNA? Da solo non ce la facevi proprio, ad avere la parità in casa?]

La mattinata è trascorsa a pulire pavimenti, materassi e divano grazie ai diversi attrezzi in dotazione che hanno delle spazzole speciali per ciascuna funzione.

Mi sono impegnato fino allo stremo e il “traino” mi ha seguito in maniera fedele senza nessun intralcio. Ho fatto un po’ fatica in alcune manovre perché non sempre ha raggiunto tutti gli angoli, ma per quelli ho usato una spazzolina piccola che si infila bene anche dietro le mille cose che ci sono sulla scrivania (veramente ho aspirato anche tra i tasti della tastiera del pc e il risultato è stato sorprendente. Adesso anche i caratteri sono più puliti). [Ah ah ah, davvero un simpaticone. Quanta elaborata prosa per quello che la compagna si smazza tutti i giorni, e senza produrci post nel suo blog.]

Ad un certo punto è entrata in scena mia moglie (MPS) [avete letto bene, lui la chiama come una banca] col suo aspirapolvere. Non si è fidata del nuovo arrivato [eh, che volete, ce l’ha nel DNA] e così per la sfida che le avevo lanciato ha voluto giocare tutte le carte [il 99% per cento delle donne gli avrebbe detto e fatto ben altro, ma la sua è difficile da modificare]. Ha cambiato il sacchetto ed è partita all’attacco. Alla fine della sua sessione, fatti i dovuti controlli, ha esclamato:

“Se utilizzi sempre il Dyson mi sento sicura perché aspira davvero tutto in profondità”. [Il mostro del mobbing cercava solo rassicurazioni, poverina. Adesso si sente sicura grazie al suo eroe che le ha cambiato il DNA.]

“Hai visto che non sempre c’è bisogno della tua mano?” [«Boccaccia mia statte zitta», si sarà detta lei, e la capiamo bene.]

“Beh il Dyson è comunque opera di una donna”. [Attenzione, parte una gag molto spontanea…]

“Ma quando mai. I Dyson sono aspirapolvere creati da un uomo”.

“Sì, ma dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, per cui…”

“Per cui hai ragione amore mio”. […che si conclude col più classico dei luoghi comuni sessisti.]

P.S: Per tutti quelli che hanno voglia di parità offro uno sconto del 50% [La parità con lo sconto, accorrete gente!!!]

su questi modelli

– DC52 Animal Turbine

– DC52 Allergy Care

– DC52 Multifloor

– DC63 Allergy

– DC42 Allergy

– portatile DC43H Mattress

(Attenzione il post non è sponsorizzato [no, certo, lui gli aspirapolvere da dare con lo sconto li ha trovati per caso in un TIR parcheggiato aperto nel suo cortile, una mattina]. Per quelli viene inserita una dicitura finale. Cioè io ci credo proprio al fatto che il Dyson aspira meglio degli altri aspirapolvere [e credi che la parità sia una questione di chi pulisce meglio, ci credi proprio, si vede])

P.S. [sarebbe il secondo, quindi casomai P.P.S., ma si vede che non sono blogger di professione, io] La dicitura di post non sponsorizzato è stata inserita in quanto per questo articolo non ho ricevuto nessun compenso economico [a parte la parità, ma quella è una gioia morale e un traguardo sociale, non è monetizzabile]. Questo regalo non è una sponsorizzazione, ma semmai una recensione [EH? No, davvero, non si capisce. Che sia un problema di DNA anche questo?]. Non ci sarà una vendita dell’oggetto in questione e quindi nessun ricavo economico [scusa, avevo letto “offro uno sconto del 50%”, pensavo ti riferissi a una vendita, come di solito si fa parlando di sconti]. Per tanto il post non ha dovuto rispettare nessun parametro indicato dall’azienda sia in termini di traffico che di contenuto. Inoltre sono stato contento di poter offrire a chi volesse dei coupon di sconto [anche quelli erano nel TIR, evidentemente], ma specifico che neanche per questo è previsto un compenso economico. Mi scuso se non è stato specificato che si trattasse di una recensione [allora potevi raccontarci come c’è capitato un Dyson a casa tua: andava in giro da solo? Che cercasse anche lui di ottenere la parità, depresso dal mobbing dei robot aspiratori?].

Sentinelle for dummies

Domenica mattina, come molte altre persone, ho contestato la manifestazione delle Sentinelle in piedi, presenti in varie piazze delle città italiane. Ero con le compagne e i compagni mentre una dozzina di persone, dall’altra parte di uno schieramento a quadrilatero di poliziotti in tenuta antisommossa, se ne stava in piedi, in silenzio con un libro aperto, alcuni lo tenevano al contrario, a vegliare nel nome della “morale”.

Le Sentinelle in piedi protette dalla polizia in tenuta antisommossa.
Le Sentinelle in piedi protette dalla polizia in tenuta antisommossa.

Questa che segue è una guida alle Sentinelle, per chi avesse qualche dubbio su di loro.

Le Sentinelle in piedi si ispirano apertamente ai Veilleurs Debout francesi, in italiano Vigilanti in piedi, un movimento contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, e di quel movimento copiano modalità e finalità, oltre che definizioni. Si definiscono infatti “una resistenza di cittadini che vigila su quanto accade nella società e sulle azioni di chi legifera denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l’uomo e la civiltà”, dicono “vegliamo per la libertà d’espressione e per la tutela della famiglia naturale fondata sull’unione tra uomo e donna”, cito dal loro sito, si dichiarano apartitici e aconfessionali.
Riporto le loro parole perché le parole sono importanti. Ma partiamo da uno degli elementi finali. Secondo questo articolo

Il 25 ottobre 2013 il marchio “Sentinelle in Piedi®” è stato depositato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi dal sig. Rivadossi Emanuele, che ha eletto domicilio presso la società Jacobacci & Partners S.p.A. di Torino. Presso quello studio di consulenza presta opera in qualità di “partner” Massimo Introvigne, reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica.

La notizia viene confermata anche dal sito riscossacristiana.it e dunque, nonostante a parole si definiscano aconfessionali, nei fatti quello delle sentinelle è un movimento esclusivamente cattolico (Alleanza cattolica è questo) e, dalla fine di ottobre, è anche un marchio registrato, un brand.
Che le Sentinelle abbiano saputo utilizzare i media a loro vantaggio, come fanno normalmente i marchi commerciali, ce ne siamo accort@ tutt@. Il mercato al quale si rivolgono sono i conservatori più retrivi e i sessuofobi più spaventati.

Lo stesso articolo riporta anche i tentativi di appropiazione da parte di Forza Nuova, che ha formato un proprio gruppo di sentinelle, ed è presente con i suoi esponenti a tutte le manifestazioni di “veglia”. Benché vi sia all’interno del movimento cattolico una parte che cerca di respingere i neofascisti.

Come riporta questo articolo

[Vi sono state delle] critiche per impedito ai loro militanti di partecipare con libri come “Omofollia” (che definiscono «appositamente redatto con carattere divulgativo al fine di contribuire alla buona battaglia contro l’ideologia omosessualista») o la rivista “Ordine Futuro”, parlando di «una vera e propria censura, volta ad impedire la visibilità di Forza Nuova all’interno dell’iniziativa».

Possiamo così affermare che quello delle sentinelle è un brand, una marca commerciale, che sa sfruttare al meglio i mezzi di comunicazione; che fa riferimento alla religione cattolica e si trova nell’area di interesse della destra neofascista.
La presenza di alcuni musulmani durante le “veglie”, così come di sedicenti di sinistra, è spiegabile con la comunanza di intenti, intenti che andremo ora a considerare.

La parola sentinella è importante, perché “sentinella” appartiene al lessico militare e posiziona queste persone e le loro intenzioni all’interno di un campo semantico preciso, quello della guerra. Sentinella infatti significa “Soldato armato posto di guardia a luoghi, mezzi, persone”. Autonominatesi o nominate da chi le ha create, soldati e soldatesse, armati di silenzio, vegliano per una guerra, una guerra contro chi? a loro dire contro chi “cerca di distruggere l’uomo e la civiltà”, intendendo con queste parole un’idea precisa di uomo e di civiltà, concidenti con una morale cattolica e neofascista.

Dicono che sono lì “per tutelare la libertà di espressione”. Ma la libertà di espressione è già tutelata nel nostro ordinamento, si ferma solo davanti a fatti ritenuti comunemente pericolosi o ingiuriosi.
Sostengono di essere “a difesa della libertà di espressione messa in discussione dal ddl Scalfarotto”.

Scopriamo cosa dice la proposta di legge Scalfarotto

La proposta di legge Scalfarotto riguarda l’omofobia e la transfobia. Vado a leggere il testo base della proposta e ci trovo, in prima battuta, i concetti di orientamento sessuale e identità di genere, così come sono definiti anche dai manuali di psichiatria, nulla di nuovo.
All’articolo tre si parla di estendere le norme che tutelano le persone da qualsiasi atto discriminatorio, basato sulla nazionalità, l’etnia e la razza, ossia la Legge Reale Mancino del 13 ottobre 1975, n. 654, a qualsiasi atto basato sull’identità di genere e l’orientamento sessuale. Collegandosi, di fatto, a un concetto già presente nella nostra Costituzione all’articolo 3 che tratta dell’uguaglianza di tutti i cittadini.
A questo punto bisogna leggere la legge Reale Mancino, in vigore dal ’75, e le sue estensioni, per cercare di capire dove si minacci impunemente la libertà di espressione delle persone, perché se B estende A, allora bisogna guardare dove è guasta A. In realtà questa legge, come si legge all’articolo 3 della stessa, punisce

chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorita'
o sull'odio razziale

  e

chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a
commettere  o  commette  atti  di  violenza  o  di  provocazione alla
violenza,  nei confronti di persone perche' appartenenti ad un gruppo
nazionale, etnico o razziale.
  E'  vietata  ogni  organizzazione  o associazione avente tra i suoi
scopi  di  incitare  all'odio  o  alla  discriminazione razziale.

Quindi, a meno che non si consideri “libertà di espressione” discriminare le persone per il colore della loro pelle o la nazionalità o l’etnia, oppure costituire un’organizzazione che abbia tra i suoi scopi quello di incitare alla violenza contro persone di etnia o nazionalità o razza diversa dalla propria – ad esempio il Ku Klux Klan – e quindi, per estensione con la proposta di legge Scalfarotto, che inciti alla violenza contro una persona che abbia un’identità di genere o un orientamento sessuale diverso dal proprio; a meno che non si ritenga “libertà di espressione” diffondere idee fondate sulla superiorità e sull’odio di genere, non si capisce in quale modo si limiti la libertà di espressione delle persone (che nel nostro ordinamento non coincide affatto con la libertà di ingiuria) o si cerchi di “distruggere l’uomo e la civiltà” in senso universale.

Ovviamente di ogni cosa si può fare un uso strumentale, come l’uso strumentale che l’etnia maggioritaria può eventualmente fare di una legge contro la discriminazione etnica e razziale nei confronti di una minoranza. Per fare un esempio, l’uso che gli xenofobi fanno del concetto di discriminazione di fronte alle lecite richieste di uguaglianza sociale da parte delle minoranze etniche, e la conseguente accusa di “razzismo al contrario”, pratica e concetto completamente scollegato dalla realtà, come abbiamo imparato anche da questo scritto,  accusa mossa a chiunque faccia richiesta di giustizia sociale. Ogni cosa può essere strumentalizzata, sta alla giurisprudenza correggere le strumentalizzazioni di una legge e alla società civile contenere le spinte manipolatorie.

D’altra parte, quella stessa legge, ha avuto diverse estensioni e nella versione del 25 giugno del 1993 essa tutela anche dalle discriminazioni su base religiosa. Ossia all’articolo 3 la stessa dice

E'  vietata  ogni  organizzazione,  associazione,  movimento  o
gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o
alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Non posso, dunque, incitare all’odio contro i cattolici o i musulmani o gli ebrei o qualsiasi credente di qualsiasi religione, perché questo significherebbe mettere in perico la vita delle persone per quelle che sono le loro legittime credenze. Si configurerebbe un reato grave.

Attenzione però, incitare all’odio non significa dire che una determinata organizzazione religiosa evade le tasse, se questo è dimostrabile. Se una tale dichiarazione non è dimostrabile si potrebbe configurare un reato di diffamazione. Appunto la legge tutelerebbe quella istituzione religiosa e le persone che ne fanno parte.

Un uso strumentale del concetto espresso da questa legge è il richiamo alla cattofobia ogni volta che si considera un insegnamento della catechesi niente affatto universale. Un esempio banale, possiamo dire che l’astinenza sessuale rappresenta un valore per la religione cattolica, ma non lo è affatto per tutte le persone. Quindi non si può riscontrare un attacco al cattolicesimo nell’educazione a una sessualità consapevole, la quale non esclude l’astinenza come libera scelta.

Non bisogna dimenticare che l’odio razziale e l’odio religioso, come quello di genere e di classe, sono dei veri e propri ostacoli all’accesso delle persone alle risorse economiche e sociali, come la scuola e il lavoro. Discriminare qualcuno non significa solo non accettare che un nero, un ebreo, un rom, una persona di ceto sociale basso o una donna svolgano un determinato mestiere, ma anche continuare a sostenere, attraverso le strutture socio culturali, la loro inferiorità intrinseca, cioè la loro inferiorità dovuta alla loro natura (i neri sono ritardati perché a loro manca un gene, le donne non ragionano correttamente a causa del ciclo). E questo vale anche per le persone che hanno un orientamento sessuale non corrispondente a quello eterosessuale, ossia le persone omosessuali e bisessuali (esistono anche le persone asessuali), così come chi ha un’identità di genere che non corrisponde a quella comunemente definita come cisgender (qui, qui), ossia una persona che non riconosce come proprio il ruolo di genere che gli o le è stato attribuito alla nascita, cioé le persone transessuali.

Consideriamo a questo punto gli altri due elementi che le Sentinelle in piedi dicono di difendere, quelli mutuati direttamente dai Vigilanti francesi, il matrimonio e  la famiglia naturale.
Mi è capitato di sentir dire in uno dei video che riprendono le dichiarazioni delle Sentinelle, che la famiglia naturale è quella che si rispecchia in Adamo ed Eva. Bisognerà ricordare, anche ai credenti cristiani, che l’Antico Testamento, e quindi il libro della Genesi, ha un contenuto mitico e allegorico, che Adamo ed Eva non sono mai esistiti, non hanno vissuto centinaia di anni e non hanno generato figli che, presumibilmente, si sono uniti tra di loro per generare l’umanità tutta.
Il mito di Adamo ed Eva racconta di una società patriarcale in cui le donne sono destinare all’accudimento dei figli e gli uomini al lavoro, una società in cui, forse, i concetti di violenza famigliare e incesto non esistevano e vigeva una diversa sensibilità, scritti che determinano e rispecchiano in questo modo una separazione netta dei ruoli di genere a partire dalla differenza sessuale (intesa come differenza morfologica degli organi sessuali che genererebbe anche differenze ontologiche).

Cioè, l’osservazione della riproduzione sessuata è all’origine di una struttura sociale arcaica che, a partire da un certo momento, si è diffusa in alcune zone del pianeta. Grazie all’etnografia sappiamo che non tutte le società considerano la differenza sessuale un elemento fondante per la divisione dei ruoli, sappiamo che l’accudimento dei figli può avvenire all’interno di un nucleo ristretto ed esclusivo, come all’interno di una comunità più vasta, che le persone di sesso femminile e quelle di sesso maschile o intersessuali possono svolgere le più varie attività per il sostentamento della propria comunità, da quelle manuali a quelle intellettuali e spirituali.

Senza dilungarci troppo, la famiglia naturale, così come è intesa dalle Sentinelle, non è altro che una tipologia di famiglia, tra le altre e che si affianca a esse.

Bisogna specificare, ed è molto importante, che il richiamo costituzionale alla “famiglia naturale”, art.29 della Costituzione italiana, non ha il suo fondamento in questa visione confessionale, anzi, tutt’altro. La famiglia naturale come la intende la Costituzione, è quella razionale, ossia quella che si da nella realtà, al di là di qualsiasi ideologia che cerchi di condizionare il vivere in comune delle persone. Infatti, il concetto di famiglia condiviso dalla collettività non corrisponde già a quello di presunta “famiglia naturale” come è intesa dalle Sentinelle, per di più fondata sul matrimonio che è una istituzione storicamente determinata, un artificialia. Esiste una tipologia, tra le altre, di famiglia che si riscontra frequentemente nella nostra società, ma che si rimodella costantemente a seconda degli eventi.
Se davvero una famiglia fosse esclusivamente fondata sull’unione di una donna e un uomo, ogni vedovo e ogni vedova si troverebbero nella condizione di doversi immediatamente risposare, pena il non essere più una famiglia, nemmeno alla presenza di numerosi figli, fratelli, cugini, nonni.

Non è unicamente una famiglia quella composta da persone unite dal contratto di matrimonio. Ad esempio io, Serbilla, vivo con persone mie consanguinee, ma non sono sposata con loro, e pure siamo una famiglia, nel nostro sentimento e per la legge.

Non esiste nemmeno la necessità di essere consanguinei per poter definire il proprio nucleo associativo con la parola famiglia, basta che delle persone abbiano un legame affettivo e si trovino a condividere un progetto di vita in comune.

Il Padrino: l'album di famiglia.
Il Padrino: l’album di famiglia.

La rigidità dell’idea di famiglia naturale fondata sul matrimonio eterosessuale, proposta dalle Sentinelle, si scontra costantemente con la realtà degli stessi suoi sostenitori, dato che ad accedere al divorzio non sono certamente solo gli atei o gli acattolici.
Nessuno vieta a queste persone di vivere secondo la loro idea di famiglia naturale, sarebbe una discriminazione.

L’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso non comporta alcun pregiudizio per la pratica del matrimonio in sé, anzi, la rafforza e avvalora come legame significativo.
Nessuno, poi, vieterà alle persone eterosessuali di sposarsi, dato che si tratta di una estensione del diritto a persone precedentemente escluse per via di una discriminazione su base sessuale;  semplicemente potranno farlo anche le persone dello stesso sesso, quelle che decideranno di contrarre il contratto di matrimonio e di ufficializzare la loro unione di fronte alla collettività.

Una nota per quelli che temono di vedere matrimoni interspecie. Il matrimonio è un contratto che può essere stipulato esclusivamente sulla base della consensualità, infatti durante le dichiarazioni si chiede un “sì” nel pieno della propria volontà.
Per quanto una persona e un cane possano sentire di essere una famiglia, per il legame affettivo che li lega, non potranno mai contrarre matrimonio, perché il cane non può acconsentire con esplicitezza, di fronte alla legge, a contrarre matrimonio.

Il passo successivo è ovviamente l’omogenitorialità. Le Sentinelle affermano che un bambino debba essere cresciuto da una madre e un padre, continuando a fare affidamento a quell’idea di famiglia naturale che parte da Adamo ed Eva.
Nella realtà quotidiana ci troviamo continuamente davanti a famiglie composte nel più vario modo, in cui i bambini crescono sani e felici, grazie alla soddisfazione delle loro necessità affettive, educative e di sostentamento. Voi potreste garantire, mano sul fuoco, che esclusivamente i bambini che hanno un padre e una madre sono felici?
Volete vedere come sono le famiglie omoparentali? Nel sito delle famiglie arcobaleno  di storie ce ne sono diverse, un punto di riferimento è anche AGEDO.
Vi riporto il comunicato stampa diramato dall’ordine degli psicologi a seguito delle dichiarazioni della ministra Lorenzin sulla famiglia omogenitoriale:

“Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato e sereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive.” Da tempo infatti ‐ spiega Giardina ‐ la letteratura scientifica e le ricerche in quest’ambito sono concordi nell’affermare che
il sano ed armonioso sviluppo dei bambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso.
La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale ed affettivo.
Ritengo pertanto ‐ conclude il presidente ‐ che bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero ‐ composte senza discriminazioni
e condizionamenti ideologici”.

Bastano cinque pubblicità in cui due donne o due uomini fanno colazione coni propri figli in una bella casa con giardino e la società comincia a cambiare idea. Perché le narrazioni sono importanti, infatti anche la campagna mediatica delle Sentinelle si regge su alcune narrazioni, che poi non corrispondono alla realtà dei loro intenti.

Vedete, la realtà è che “Negli ultimi quindici anni sono stati documentati comportamenti omosessuali che vanno dai giochi sessuali a comportamenti genitoriali in coppie omosessuali in circa 1.500 specie“, è quindi molto molto difficile continuare a considerare “innaturale” la famiglia omogenitoriale e la stessa omosessualità. A dire la verità, anche il cambio di sesso è diffuso nella natura naturale.

Veniamo quindi allo svelamento dei presupposti, cioé all’acqua calda – ma questa è una guida alle Sentinelle for dummies.

La cancellazione della legge Reale Mancino di cui ho scritto poco più sopra, quella che identifica e punisce i crimini di odio, e la cancellazione della legge Scelba, che vieta la ricostituzione di un partito fascista, fanno parte del programma politico di Forza Nuova.
E’ ovvio quindi che essi cerchino di sfruttare a loro vantaggio il brand Sentinelle in piedi.

Questa non è una guida al fascismo for dummies e do per scontato che sappiate perché è così importante essere antifascisti.

 A dispetto delle dichiarazioni di intenti di alcuni rappresentanti del brand (amore, libertà, rispetto e giustizia), le reali finalità di queste persone sono la discriminazione e l’oppressione di una parte dell’umanità. La loro si configura come una resistenza alla tutela della libertà affettiva degli esseri umani. La libertà di parola che essi vogliono difendere coincide con la libertà di igiuria e di istigazione all’odio, entrambe sanzionate dalle leggi e contrarie alla Costituzione. Le loro manifestazioni, benché si svolgano in modo silenzioso e composto, sono atti intimidatori verso la società civile e i legislatori che intendono adeguare alla realtà della collettività l’ordinamento giuridico.

Tolta la maschera della Sentinella, un partecipante dà gratuita dimostrazione del proprio concetto di libertà di parola. Immagine tratta da Google.
Tolta la maschera della Sentinella, un partecipante dà gratuita dimostrazione del proprio concetto di libertà di parola.
Immagine tratta da Google.

A questo punto bisogna domandarsi perché noi, domenica mattina, siamo stat@ respint@ dalla polizia, e loro che affermano concetti contrari alla Costituzione e alle leggi italiane, e rappresentano un pericolo per la società, erano protett@.
Perché noi dobbiamo subire minacce fisiche, come è evidente da alcuni video in cui uno dei rappresentanti delle Sentinelle a Napoli, ci minaccia con una spranga, e loro vengono scortati.

La libertà che vogliono queste persone è quella di poter continuare a dire “ricchione” o “invertito”, come fa una delle Sentinelle a Napoli, nello stesso video, impunemente, più o meno come si può definire troia una ministra.

Leoni Gay. Quando il re della foresta se la fa con un altro re della stessa foresta.
Leoni Gay. Quando il re della foresta se la fa con un altro re della stessa foresta o della foresta vicina. Scopri di più qui.

Mentre ero in strada mi è tornato in mente un epitaffio di Kipling che lessi al liceo, riguardava la Grande Guerra, diceva così:

Faithless the watch that I kept: now I have none to keep.
I was slain because I slept: now I am slain I sleep.
Let no man reproach me again; whatever watch is unkept—
I sleep because I am slain. They slew me because I slept.*

In questo scritto, intitolato Sleepy Sentinel, la sentinella parla di sé stessa e racconta di essere stata uccisa perché dormiva durante la guardia, adesso che è morta dorme e nessuno può più rimproverarla per una guardia non fatta. Alcuni suppongono che sia morta ammazzata dal fuoco nemico, i tedeschi, perché sonnecchiava in trincea, in realtà la sentinella è stata ammazzata dal proprio esercito, per aver disobbedito agli ordini ed essersi addormentata in servizio, punizione prevista dallo Stato maggiore inglese.

La poesia di Kipling è molto ironica e l’associazione con la sua figura non è casuale, anche se le Sentinelle non hanno certamente il carisma della poesia. La fede di Kipling nel colonialismo, l’idea che l’Inghilterra avesse il diritto di impossessarsi del mondo in ragione della propria superiorità razziale, la presunzione del ruolo educativo e morale del colonizzatore, si ritrovano perfettamente nella violenza delle Sentinelle e di chi le supporta.

Se qualcuno ha ancora dei dubbi può esprimerli nei commenti.

P.S.
Solidarietà a MadonnaLiberaProfessionista, io sto con te.

Deconstructing l’istinto naturale

19bisCapita raramente che un commento a un post sia particolarmente interessante, perché in genere chi vuole argomentare bene in risposta a qualcuno sceglie di farlo o sul proprio blog o su un social network; i commenti intelligenti sono sempre più rari, ma quelli lunghi, argomentati e completamente idioti sono ancora più rari. Quindi quando ne capita uno, va immortalato.

Premessa: non importa se l’anonimo commentatore è un troll in vena di fini ragionamenti. Importa – ecco perché ce lo rileggiamo – che questi siano i ragionamenti di una maggioranza di bei maschioni. Quindi non sarà inutile dargli una spolveratina, e fregarsene se poi l’autore legge, risponde, ricommenta, e così via.
Spero che tutti voi conosciate già il blog
Ci riprovo, che vi consiglio di frequentare spesso e volentieri. Sotto questo post – che necessariamente dovete leggere prima di continuare – è apparso un commento notevole, che sarà un piacere rileggere insieme a voi.

Lola, non te la prendere per il mio modo provocatorio di affrontare la questione. [E’ sempre carino cominciare così, è la versione retorica di “io non sono razzista ma” – predispone alla gioia, proprio]. Premesso che non so nemmeno come ci sono capitato qui [figurati noi, ma grazie lo stesso]: in genere mi occupo di discussioni di tutt’altro tipo [attenzione: ha premesso lui che non se ne occupa di certe cose, eh, ricordiamocene], sono stato catturato [il linguaggio già denuncia l’atteggiamento giusto: lui se ne andava per fatti suoi nel web ed è stato catturato. Sempre per continuare a predisporre Lola alla gioia] dalla tua tesi sulla necessità di educare i maschi [lo avete letto il post, vero? Ce l’avete trovata questa tesi sulla necessità di educare i maschi? Io no, e manco Lola, ma lui, che in genere si occupa di discussioni di tutt’altro tipo, sì]. Dove per “educare” sembra che tu voglia intendere “addestrare”, o “ammaestrare” [sembra solo a chi non sa leggere o a chi ha dei pregiudizi grossi come la galassia, ma vabbè], secondo una concezione pseudofemminista di concepire i rapporti tra i sessi [ma non era uno che si occupava di discussioni di tutt’altro tipo? Se già è in grado di riconoscere ciò che sarebbe pseudofemminista, allora ne sa. Che giocherellone].

Una concezione che fondamentalmente si regge sulla negazione, o sulla diminuzione, di una verità fondamentale [attenti, arriva la verità fondamentale! Pronti?]: noi umani siamo animali [e fin qui c’ero arrivato pure io], siamo organismi soggetti all’imperativo naturale della riproduzione [e che sarebbe un imperativo naturale? Non c’è su Wikipedia, mannaggia, e adesso come facciamo? Pure quel filosofo, come se chiamava, Kant, non poteva metterci questo, tra gli altri imperativi?], come tutti i viventi. L’istinto riproduttivo è talmente primitivo e fondamentale che ci accomuna ai lombrichi e con altri viventi ancora meno evoluti di loro [condividiamo anche lo stesso pianeta e siamo entrambi soggetti alla forza di gravità – e potrei continuare all’infinito a trovare comunanze a cacchio con i lombrichi: rimane il fatto che non hai detto cosa sarebbe un imperativo naturale. Perché se fosse l’istinto riproduttivo, diciamo che tra l’avercelo – sempre tutto da dimostrare – e il come usarlo, qualche differenza tra i vari animali io la vedo. Per esempio, se fosse tanto imperativo, a che scopo i diversi, complicati e spesso fallibilissimi “rituali di corteggiamento”? (Grazie Volpe.) Oppure perché scegliere il partner invece di riprodursi con qualunque esemplare femminile fertile? Tipo, che ne so: tua madre, tua sorella… no, quelle l’imperativo naturale le dichiara off limits, almeno per te. Lo hai detto alle sorelle dei tuoi amici? Provaci, magari in presenza dei fratelli, vedi se sono d’accordo anche loro co’ st’imperativo naturale].

Guarda che carini…

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f6/Mating_earthworms.jpg/1024px-Mating_earthworms.jpg [illustrazione a uso e consumo, evidentemente, di chi vi trova somiglianze nell’imperativo naturale.]

Questo per dire che il richiamo sessuale in sé non è per nulla educato, anzi: è maleducatissimo e, a volte, anche violento [attenzione, adesso parla del richiamo sessuale, non più dell’imperativo naturale. E questo che sarà? Ce lo spiegherà? Proseguiamo fiduciosi, dopo aver assistito a “come ti spiego lo stupro con cause naturali”. E’ proprio una gioia leggerlo]. Gli individui di alcune specie (qualche volta anche gli umani lo fanno) mettono a repentaglio la loro stessa vita per seguire questo istinto [ah, qualche volta, quindi non sempre e non tutti, e non di tutte le specie. Ma non era imperativo, non era violento? E come mai qualcuno se ne sottrae? E scusa, ma individui di tutti i sessi o solo di uno? Così, per sapere].

Certo, noi umani siamo evoluti [ah, ecco]: abbiamo imbozzolato questo istinto selvaggio in una serie di condizionamenti che ci consentono di vivere in società anche molto complesse [come? Quando? Il nostro etologo non ce lo dice, continua a fidarsi dell’evidenza di ciò che dice. Che non è evidente per niente: per esempio, perché ci sarebbero questi condizionamenti? Paragonandolo all’istinto di nutrirsi – oh, mi pare fondamentale e imperativo pure questo – com’è che invece non è poi tanto selvaggio e non fa incazzare la sorella del tuo amico? E poi, quale sarebbe il motivo di avere società anche molto complesse? L’imperativo naturale è scopare, mica costruire automobili]. Ma bisogna fare attenzione, perché a volte la necessità di dominare l’istinto con norme e condizionamenti di vario genere può spingersi fino alla sua negazione, e allora saltano fuori le nevrosi e talvolta le psicosi [ma perché c’è questa necessità, se c’è l’istinto? Intanto avete assistito anche a “lo psicologo dilettante”, gioco in voga da quando il pòro Freud pensò di pubblicare le sue cose e farle leggere a tutti. Da quel giorno, tutti pensano di poterle capire al volo]. E la negazione può diventare violenza brutale [di chi? Io mi nego le cose e poi divento brutale? Verso chi? Com’è che divento brutale verso l’altro sesso e non contro il mio, visto che i condizionamenti me li sono negati da solo? Oh, l’ha detto lui eh].

L’istinto lo si può e lo si deve controllare [e allora che istinto è? Perché chiamarlo così? Chiamarlo bisogno no?], ma negarlo è ipocrita e controproducente [io trovo ipocrita parlare a vanvera di cose che non si sanno e non si capiscono, e pure usare apposta un termine per avallare senza ragionamenti né prove i propri deliri. Se quello sessuale fosse stato chiamato un bisogno e non un istinto sarebbe un errore lo stesso, ma intanto tutta la costruzione pippologica sulla violenza e sull’imperativo crollerebbe].

Per dire: puoi essere certa che il tuo ragazzo, o marito, guarderà il culo o le tette di qualunque bonazza gli passi a tiro [comportamento dovuto all’istinto imperativo? E perché – tanto per fare la prima obiezione facile – se è tipico della nostra specie tante altre culture non danno alcuna importanza allo sguardo, a ciò che si vede? E ancora: perché, se c’è un istinto, in anni diversi, in luoghi diversi, tra gruppi diversi le caratteristiche tipiche della bonazza cambiano?]. Senza darlo a vedere, ovviamente: per non offenderti, perché il sesso è una cosa e l’amore è un’altra cosa [e adesso chi lo dice a Venditti?], ma lo farà [lui ne è certo, perché tutti i maschi di tutte le specie sono uguali: hanno l’imperativo naturale, no?].

E lo stesso farai anche tu, in modo diverso, meno esplicito, più complesso: perché sei femmina, e la missione biologica delle femmine è più complessa [CALMA, fermi tutti, facciamo ordine. Allora: c’è l’istinto naturale, il richiamo sessuale e adesso la missione biologica. CHE CACCHIO SONO? DOVE LE HAI PESCATE QUESTE SCEMENZE? Un link, un cognome… niente, tutta scienza infusa]. Ad iniziare [qui due parole sulla d eufonica] dalla scelta del maschio più adatto per finire al parto e alla cura della prole [traiamone le conseguenze: se una donna vuole vivere per cavoli suoi e senza avere figli, tradisce la sua missione biologica. E le suore? No, dico: E LE SUORE?].

I maschi hanno una missione biologica molto più semplice [ma guarda un po’, che culo]: possedere e inseminare quante più femmine possibile [deve averlo digitato usando il glande, a giudicare dal pacato climax retorico]. E anche nelle specie monogamiche come la nostra [ecco, qui basta Wikipedia per svelare la scemenza: la nostra non è affatto una specie monogamica, è solo un’opzione culturale di alcuni gruppi sociali] permane questo istinto primitivo alla promiscuità [ah, ecco, c’è un altro istinto: quello alla promiscuità. Ma sono due o è sempre quello di prima, meglio definito? Boh]. Anche nelle donne, eh? [oh, meno male, me stavo a preoccupa’.]

Dunque non ha senso proporre una educazione dei maschi [Lola non l’ha fatto, dovrebbe bastare saper leggere], e anche delle femmine [questo ancora meno], a partire dalla negazione di una realtà istintiva primaria [definizione del tutto personale: non c’è uno straccio di prova scientifica che lo sia, anzi che ne esista una] come l’attrazione sessuale [NO! Ma come l’attrazione? Ma hai parlato finora di riproduzione, promiscuità, sesso, violenza, e adesso te ne esci con una cosa moscia come l’attrazione?]: è ipocrita, nevrotizzante, controproducente [se gli effetti sono scrivere ‘ste cose, comincio a crederti].

Ha invece senso farlo a partire dal riconoscimento pieno della natura profonda di maschi e femmine [con buona pace degli altri generi – a proposito, ma come fanno a esistere tutti quei generi se c’è un istinto primitivo?], perché solo in questo modo uomini e donne possono rispettarsi per ciò che sono [belve inevitabilmente assetate di sesso i primi, e creature vòlte al parto e alla cura della prole le seconde. Però, complimenti per la scienza infusa].

Il pistolotto mi è uscito un po’ lungo [grazie anche per aver evitato il doppio senso]. E prima che parta la strigliata farò bene ad allontanarmi [tranquillo, Lola pensa solo al al parto e alla cura della prole, è il suo istinto, non hai nulla da temere]. Ciao. [Ciaone proprio.]

Igiene del decostruttore #2

DeconHarry2

«Mai mi sarebbe venuto in mente di scrivere una cosa del genere senza la compagnia continua di tutto il collettivo Femminismo a Sud, del quale, come capita in certe storie d’amore un po’ melense, mi sembra di far parte da sempre. Il fatto che oltre all’amore ci sia anche la politica non fa che rendere il collettivo folle abbastanza da, per esempio, mettere in giro roba come questa. Dàje così».

Così scrivevo qualche anno fa, e la sostanza non è cambiata. È cambiato il collettivo, ma non sono passati né il coinvolgimento personale né voglia di fare politica in questo paese pare che bastino per sembrare già un pericolo sociale. Bene. Dàje così.

Vi ripropongo quindi quello stesso testo, un po’ modificato grazie alle critiche di molti, e un po’ aggiornato. Ho visto che in questi anni la parola deconstructing ha fatto un po’ di strada – bene – e tanti altri si sono divertiti in questa attività – meglio ancora.

Cos’è il deconstructing?

Ho chiamato in questo modo, rifacendomi al titolo di un vecchio film di Woody Allen (Deconstructing Harry, 1997) una mia serie di post pubblicati sul blog di Femminismo a Sud e poi su Intersezioni, nei quali ho praticato un lavoro di critica, destrutturazione, ribaltamento di un testo atto a svelarne contenuti e intenzioni nascoste, provocatorie, o semplicemente politicamente sgradevoli; oltre a errori, omissioni, riferimenti sbagliati, pregiudizi. E’ anche successo che qualcuno, io no eh, ha osato accostare questa pratica – forse, con le dovute riserve – al significato del termine “decostruzione” com’è nato tra le parole di Jacques Derrida, ma tutto sommato la storia della sua origine, o dei suoi possibili accostamenti nobili, non conta poi molto. Tipicamente è stato oggetto di questi miei divertimenti analitici la presenza di pregiudizi sessisti più o meno occulti in alcuni testi, ma è anche capitato di trovare fascismi, patriarchismi, e altre meraviglie di questo genere; è uno sfizio che può funzionare bene per qualunque altro tipo d’indagine testuale.

Perché è tanto divertente?

Il divertimento consiste non tanto nel dileggiare l’autore del testo che si è scelto di decostruire – questo non è lo scopo e non è neanche un’attività politicamente rilevante – quanto il suo linguaggio. Mostrando “l’altro lato” delle parole scelte (le intenzioni di chi scrive, le costruzioni del suo linguaggio), o anche la struttura tipografica nella quale il testo si presenta, è inevitabile svelare quei meccanismi di consenso che, una volta esibiti, fanno risultare ridicolo il loro funzionamento e la loro pretesa di ragione. Spegnendo la forza – a volte la violenza – che anima quei testi, ci si accorge che molto della loro potenza suggestiva o della loro capacità di convincere risiedeva in realtà in giochi retorici privi di qualsiasi consistenza razionale, o per lo meno reale.

Dice Treccani che l’ipocrisia è“simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”. Tantissima informazione giornalistica fa un uso spregiudicato di un un linguaggio ipocrita, simulando qualunque qualità pur di avere più lettori, attirare sponsor o clic, far parlare di sé e/o della propria testata. Smascherarlo distrugge queste possibilità ingannatorie e allena a non farsi più ingannare, in futuro.

E tutto questo fa ridere, ovviamente. Almeno all’inizio.

Di quale testo parliamo?

I testi che meglio si prestano alla decostruzione – almeno per come finora l’ho attuata io – sono quelli che tipicamente occupano una pagina web: articoli di giornale online, post di blog, interviste riportate in rete, brevi saggi o recensioni. Il perché sarà chiaro più avanti, ma è importante premettere che nessun testo può essere immune dall’essere decostruito: anche immagini e video potrebbero tranquillamente essere decostruiti, l’importante è trovare una tecnica che ne smonti l’impianto retorico, che permetta cioè di interrompere – per criticarla – la logica che ne tiene insieme le parti (sui video ha realizzato un ottimo lavoro Lorella Zanardo). Quindi la prima e unica caratteristica che deve avere un testo per essere decostruito è l’essere divisibile in parti: parole o frasi per il linguaggio, zone o elementi per le immagini, scene, sequenze, gesti per i video.

L’importante è che queste parti nelle quali si divide il testo sul quale fare deconstructing abbiano un senso autonomamente dal resto. Nel caso di alcune poesie, o di un breve lancio d’agenzia, o di un paragrafo che espone i dati di una tabelle, conviene lasciare il testo unito e mostrarne i lati oscuri come un tutto, nella sua interezza. Questo perché il deconstructing non deve funzionare come una messa in questione della singola parola, una ricerca di un “lessico” migliore, bensì lo svelamento di un’intenzione di forzare il consenso del lettore.

Unità di senso, premesse e conclusioni

La divisione in parti è necessaria, credo, per individuare le intenzioni alla base del testo. Cioè per comprendere cosa “tiene insieme” tutte le parti del testo, qual è il suo scopo dichiarato – e anche quello occulto, se è possibile accorgersene leggendolo. In questo modo è facile stilare una breve lista – meglio appuntarsela da qualche parte – delle premesse e delle conclusioni inerenti al testo da decostruire. Non è detto che siano tutte immediatamente chiare entrambe: il lavoro di decostruzione serve anche a far emergere questioni non esplicite o non immediatamente avvertibili, ed è quindi da intendere non tanto come una mera analisi per avverare tesi contestatorie già pronte, ma una ricerca di quei mezzi coercitivi e/o logicamente scorretti (siano essi argomentativi o formali) che possono inquinare la comunicazione, principalmente quella politica. Quasi sempre è possibile individuare dei momenti precisi, nella costruzione argomentativa del testo: la ricerca di fonti a sostegno delle proprie idee, la messa in questione delle opinioni opposte, l’esposizione dei loro difetti o contraddizioni, la deduzione delle proprie posizioni come logica, ovvia, naturale, giusta.

Perché decostruire?

Decostruire è una pratica politica di libertà – almeno così la intendo io. E’ un gioco non solo per affinare l’intuito in lettura e comprensione, ma per condividere i propri dubbi e le proprie perplessità, per diffondere un atteggiamento critico verso ogni messaggio strutturato, per smascherare gli strumenti di oppressione mediatica in genere. Decostruire non è interpretare, nel senso di “dare una propria versione di qualcosa”: è una critica, cioè un’azione volta a demolire una catena monolitica di espressioni e significati inserendovi un’altra voce, così che il monologo possa farsi, in un certo senso, dialogo e che in questo dialogo si possa svelare quello che nel monologo rimaneva non detto, nascosto, camuffato. La decostruzione, quindi, non serve tanto a opporsi, a dire “il contrario” del testo decostruito: è utile piuttosto per quello che svela, che mostra mentre esercita una critica sulle parole, sulle frasi, sulla forma tipografica del testo originario. Così che quel testo che era stato pensato e scritto solo per essere letto, viene portato a “parlare” esso stesso di ciò che invece ha taciuto, aggiungendovi una voce critica.

Decostruire si fa con tutto il corpo

Per questi motivi ci tengo a sottolineare che la decostruzione non è tanto guidata da una lucida scansione delle ragioni, delle implicazioni logiche, delle conseguenze di certe assunzioni, quanto dalla sensibilità nei confronti del linguaggio. E’ un lavoro che nasce da un senso, non da una conoscenza, ed è guidato dal “fastidio” di aver sentito in azione nel testo da decostruire una violenza, una prepotenza che va smantellata, scardinata, mostrata nel suo ipocrita tentativo di creare una soggezione inesistente nei fatti. Finché questo fastidio è ancora avvertibile, la decostruzione non è finita. E questo fastidio si manifesta spesso con dolori, pruriti, giramenti di genitali e rodimenti di culo.

Deconstructing contro cosa

L’attività di decostruzione è una lotta contro i poteri della logica e della grammatica in azione in un testo. Il potere delle espressioni, per esempio, è spesso racchiuso in convenzioni, luoghi comuni, stereotipi che assumono come veritiero uno stato di cose frutto di pregiudizi e impressioni del tutto immotivate e non dimostrate. Il potere del lessico sta nella scelta della parola più coercitiva e meno liberatoria per guidare il lettore al concetto che interessa l’autore, le sue intenzioni spasso non dichiarate. Il potere della struttura testuale racchiude in paragrafi separati piccoli nuclei di senso che in realtà non sono affatto autonomi e ben fondati; infatti spesso quei paragrafi “chiedono” surrettiziamente al lettore di essere confermati per il loro essere semplicemente staccati dal resto. Il potere dell’abitudine passiva della lettura, al quale spesso si appella un discorso zoppicante e poco fondato, presume in chi legge fiducia totale nel testo scritto in sé.

Questi poteri vanno identificati, ne va compreso il raggio d’azione e vanno resi inoffensivi. Allora tutti i sensi possibili del testo – e le sue mancanze – potranno emergere senza difficoltà.

Deconstructing con che cosa

Non è necessaria alcuna preparazione per decostruire un testo, servono solo fantasia, determinazione, e le parole. Decostruire è fare i conti con il lessico e con la sintassi: c’è da sconfiggere l’ambiguità delle parole altrui e da lavorare sulla chiarezza delle proprie.

Le parole tendono ad amalgamarsi, a contaminarsi, e bisogna resistere all’adeguazione delle parole tra loro, nella tentazione di rendere ogni discorso liscio, pulito, senza intoppi. Se vogliamo dire così, decostruire è mettere bastoni tra le ruote, inceppare dei meccanismi, ostacolare il procedere delle frasi così com’erano progettate inizialmente. Provate a volgere le negazioni come fossero ammissioni: anche trasformare banalmente un “non credo che non” in un “io credo che” potrebbe sconvolgere l’ordine precostituito dall’autore. Oppure potreste ottenere effetti insperati dal trasformare le frasi ipotetiche/condizionali, rovesciandole: un “se A allora B” suona molto diverso da un “c’è B dove c’è A”, pure se le due formulazioni sembrano logicamente equivalenti. Ancora più interessante è giocare con i sinonimi: per esempio sostituire i verbi. Usare dei loro sinonimi, per poi rileggere le frasi, può far sorgere delle ipotesi di lettura che forse l’autore voleva occultare, quando ha scelto quella parola e non il sinonimo che avete messo alla prova.

Deconstructing da dove

Decostruire è, inevitabilmente, indagare le condizioni di possibilità di un testo, cioè ricostruire anche la sua storia, ciò che lo ha preceduto e che ha generato, nell’autore, la necessità di scriverlo. Quindi si tratta anche di domandare alle parole da dove vengono, quale necessità ha spinto qualcuno a usarle in quell’ordine, e non in un altro, per esprimere quel senso e non un altro. Le parole hanno una storia, nessuno le inventa lì per lì tanto per essere compreso o per esprimersi, perciò le scelte lessicali denunciano un passato, un’impronta originaria che l’autore sceglie perché la preferisce ad altre per i suoi scopi. E’ il caso, prendendo ad esempio i testi che ho decostruito, dell’uso del linguaggio militare da parte di commentatori politici. Se un autore scrive che tra i generi c’è “battaglia” e non “scontro” o “opposizione”, non è la stessa cosa. Per esempio, in una “battaglia” può esserci facilmente un “eroe”, il “sacrificio” e un “onore”, mentre a una “opposizione” sarebbe più difficile accostare quelle tre parole. Ecco che un testo viene caratterizzato da determinate scelte che colorano il discorso con aloni, presenze, atmosfere che non sono elementi da trascurare ma entrano a far parte della lettura, s’insinuano con i loro sensi multipli negli spazi bianchi tra le parole. Quindi vanno decostruite anch’esse, in qualche modo. Per questo usare l’ironia può essere, oltre che divertente, funzionale: l’ironia permette di evitare il condizionamento dovuto a elementi non puramente testuali, spazzando via le “arie”, gli odori e i sapori che determinate scelte lessicali introducono nel discorso.

Deconstructing chi

Decostruire è mettere se stessi in gioco, inevitabilmente, perché il lettore non è neutrale, mentre legge. Forse lo si vorrebbe così, ma ciò non è possibile, perché leggere è anche comprendere – o tentare di comprendere – e questo comporta distendere tutte le proprie convinzioni e conoscenze personali per entrare in ciò che il testo dice. Decostruire è quindi anche far emergere le sollecitazioni che il testo promuove in noi (nella memoria, nel corpo, nei sensi, nella cultura che abbiamo interiorizzato) e metterle alla prova facendole scontare con le parole scritte. Il risultato dovrebbero essere domande, interrogativi, questioni che il testo ha sollevato ma al quale non risponde o preferisce non rispondere, e c’è da chiedersi il perché.

Non è necessario però spostare il fuoco del lavoro decostruttivo dal testo al suo autore. Si dovrebbe sempre cercare di “rimanere sul pezzo”, perché si decostruiscono i testi ma non le persone. Per quanto chi le ha scritte possa avere un carattere spregevole o malevoli intenzioni, sono le parole lo strumento usato per veicolare violenza, costrizione, falsità o ipocrisie; sono loro a dover essere disinnescate. Dopo questo lavoro di decostruzione, l’autore non conterà assolutamente più niente.

Deconstructing come

Certo un PC è più comodo da usare, ma anche sulla carta si può fare un deconstructing. Il primo lavoro da fare è una accurata frammentazione dei paragrafi originali, spezzando tutte le frasi al punto (o dove la punteggiatura suggerisce di farlo) e scrivendole distanziate di una riga – su carta si possono usare evidenziatori a colori alternati, per esempio.

In questo modo le frasi posso essere lette in maniera “assoluta”, sciolte dal discorso precedente o successivo, e si possono riconoscere più facilmente le loro inconsistenze o incoerenze. Provate, oltre ai giochi lessicali già descritti, a immaginare di pronunciarle a una persona che non sta leggendo tutto il testo: hanno ancora un senso? Di cosa avrebbero bisogno per essere comprensibili? E nel resto del discorso sono presenti questi altri elementi? Tutte le espressioni sono chiare, sono definite? Questo lavoro permette di passare a una fase successiva, cioè individuare i legami nel testo tra le parti significanti. Ci sono sicuramente concetti che vengono premessi per definirne altri, oppure concessioni fatte per poter poi confutare una opinione. E’ bene segnare con evidenza questi legami, perché sono quelli che tengono insieme i vari argomenti e rendono il testo un “tutto” unito – e potrebbero essere, in realtà, del tutto arbitrari. Nel caso di una intervista, per esempio, l’ordine delle domande potrebbe essere stato scelto per meglio agevolare l’intervistato a dire ciò che gli fa piacere, e per evitare di dire cose a lui scomode; in un articolo di cronaca, alcuni fatti apparentemente slegati con la notizia principale potrebbero essere inseriti, all’inizio o alla fine, per mostrare come la notizia faccia parte di un insieme di circostanze che invece sono solamente create da chi ha scritto.

Una piccola accortezza ulteriore, che probabilmente porta a scoprire insospettati intrecci di senso, è il conteggio delle parole, ossia contare quante volte una parola viene ripetuta, anche nei suoi sinonimi. Può essere utile a rintracciare l’intenzione dell’autore di usarla come “veicolo” di un concetto non chiaro, oppure per rafforzare nel lettore l’idea che quella parola o espressione siano chiare e definite – ma nel testo la definizione non c’è.

Non è mai inutile raccomandare di distinguere, in ogni tipo di testo, “i fatti dalle opinioni”. Spesso opinioni personali dell’autore sono spacciate per evidenze, ovvietà, caratteristiche di ciò che viene descritto – ma non è così. E’ sempre necessario avere la mente pronta a cogliere atteggiamenti giudicanti, moralistici o comunque privi del giusto distacco necessario a una esposizione obiettiva, appunto, sia dei fatti che delle opinioni.

Sarà facile che emergano, nel lavoro di decostruzione, altri sensi possibili per il testo e anche altri attori coinvolti. Se ci sono, ad esempio, formule linguistiche che richiamano alla mente le espressioni tipiche di una persona che non è l’autore, si deve chiedere conto di questa “presenza”; oppure potrebbero esserci altri significati possibili, altri sensi per una frase o un’espressione, la cui ambiguitàè fonte di fraintendimento oppure di ricercata vaghezza.

La domanda che dovrebbe sempre alimentare il lavoro di decostruzione è: che cosa manca? Che cosa non mi fa sentire a mio agio quando leggo questo testo? E perché non c’è?

Link 

Qui di seguito la lista dei link ai “deconstructing” pubblicati finora da me, dal meno recente al più attuale – sono link anche quelli non colorati, cliccate con fiducia e buone risate, spero 🙂

Deconstructing SNOQ (SNOQ a pezzi) – 21/11/2011

Deconstructing “Liste. E femministe” – 22/12/2011

Deconstructing “Casapound spiazza tutti” – 13/2/2012

Storie di un padre NON separato #6 (parte prima: Deconstructing Giacomo) – 19/3/2012

Deconstructing “Che cos’è il patto di genere” – 19/2/2012

Deconstructing Clio Napolitano – “Morti rosa” – 2/5/2012

Deconstructing “Il recensore misogino” – Come non si fa una recensione – 25/6/2012

Cosa vogliono le donne? (deconstructing Gramellini) – 30/6/2012

Deconstructing “Pussy Riot, le giovani punk a processo” – 1/8/2012

Deconstructing Elasti – 14/9/2012

Deconstructing allievo e maestro – 21/9/2012

Il genocidio dei padri, ma siamo sicuri che esista? (Deconstructing Mazzola) – 25/10/2012

Io sono Tempesta (Deconstructing Mazzola bis) – 4/11/2012

La politica di Fonzie (Deconstructing la beta-solidarietà) – 7/11/2012

Decontructing SNOQ #2 – lo spot – 24/12/2012

Deconstructing ANSA – 8/1/2013

Deconstructing “i casalinghi” – 7/2/2013

Deconstructing l’ottomarzomaschio – 14/3/2013

Deconstructing le vergini violate – 10/04/2013

Deconstructing la vanvera – 10/04/2013

Deconstructing le poesie? – 19/04/2013

Deconstructing la censura –  19/04/2013
Deconstructing Don Riccardo – 02/05/2013

Deconstructing il moralismo – 13/05/2013

Deconstructing lo scienziato – 05/06/2013

Deconstructing il progetto di Dio – 05/06/2013

Deconstructing il direttore – 10/06/2013

Deconstructing le avances – 24/06/2013

Deconstructing l’amor cortese, i cavalieri, i parolieri, i giocolieri, gli uomini di ieri  – 08/07/2013

Deconstructing l’ignoranza (o Dell’anti-omofobia) – 30/07/2013

Deconstructing la cronaca stretta – 16/09/2013

Deconstructing “la tua opinione” – 02/10/2013

Deconstructing l’impressione – 16/10/2013

Deconstructing lo yin e lo yang – 21/10/2013

Deconstructing il sogno e l’incubo – 24/10/2013

Deconstructing l’ideologia totalitaria – 05/11/2013

Deconstructing la redazione – 25/11/2013

Deconstructing il Queer Bilderberg – 02/12/2013

Deconstructing “il sesso con sentimento” – 16/12/2013

Deconstructing la costanza (di Miriano) – 13/01/2014

Deconstructing il collaborazionismo sessista – 28/01/2014

Basta il pensiero (deconstructing il Metodo Scanzi) – 10/02/2014

Deconstructing quello (il giornalista) che ci prova – 18/02/2014

Deconstructing la zappa sui piedi – 25/02/2014

Deconstructing il genio della lobby rosa – 31/03/2014

Deconstructing l’alibi de li mortacci vostra – 08/04/2014

Deconstructing una certa idea di maschio etero – 28/04/2014

Deconstructing la frittata – 11/06/2014

Letture per l’estate (Deconstructing il ridicolo sessismo linguistico) – 30/07/2014

 

L’archivio della Primavera Queer 2014

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Ci raccontavamo in quei giorni a Chieti, con Laura Corradi, che in Italia una cosa come la Primavera Queer non s’è mai vista.

Un gruppo autonomo di studenti e studentesse (alcun* dei quali già attivisti nei collettivi Laboratorio Le Antigoni e La Mala Educacion) ha promosso a Chieti la Primavera Queer come momento di autoformazione, incontro e discussione intorno alla teoria queer. Il progetto è stato presentato al bando 2013 per le attività socio-culturali degli studenti dell’Università d’Annunzio, selezionato e finanziato. Docenti, autori e autrici, noti anche a livello internazionale, si alterneranno in sei giorni di seminari e laboratori.

Non nel senso che in Italia non s’è mai fatto nulla di queer, ci mancherebbe: ma non ci ricordavamo di nulla che durasse una settimana, che sia stato voluto e costruito dagli studenti e finanziato da un ateneo italiano. Speriamo di essere smentiti, ovviamente.

Adesso in questa pagina stanno raccogliendo tutti i materiali completi di quei giorni, per costruire un archivio più che utile in un paese che ha difficoltà anche solo a sapere che esiste la parola “queer”. E’ importante diffondere il più possibile le parole di tutti quelli che sono intervenuti, in presenza o connessi dalle loro sedi, e conservarli, perché in giro su questi argomenti c’è ancora molto poco; e perché realtà molto efficaci sul territorio ancora conoscono poco di quello che si fa di buono anche a pochi chilometri di distanza.

Il video del mio intervento, Il linguaggio sessista: riconoscerlo, neutralizzarlo, decostruirlo dura quasi un’ora e venti quindi vi consiglio di non sorbirvelo tutto insieme perché potrebbe farvi male 🙂 aggiungo però il file ODP con le slide che ho usato; questo invece è l’abstract del mio discorso. Qualsiasi domanda o commento vogliate fare mi sarà molto utile e ve ne ringrazio fin da adesso.

Spero che ci siano presto altre Primavere Queer in tante altre città.

Deconstructing la frittata

320px-Frittata2La colpa è, probabilmente, dei numerosi programmi televisivi dedicati alla cucina, agli chef, all’assaggio e ai fornelli, ma è evidente che sempre più parti politiche hanno assimilato come tecnica di comunicazione politica il gesto che migliaia di cuoch@ e casalingh@ fanno in cucina: rivoltare la frittata.

Che lo facciano con l’aiuto di un piatto o del coperchio della padella, che lo facciano con un colpo di polso degno di Henri Leconte, rigirare la frittata è uno dei più straordinari casi in cui una innocente e necessaria pratica culinaria si è trasformata nella moda politico-retorica del momento. Il rivoltamento è usato ormai sia da poteri ben consolidati che da poveracci che non se li fila nessuno; o perché inefficaci i tradizionali metodi di oppressione, o per avere un po’ di visibilità tramite discorsi fantasiosi, entrambi tentano di colpire l’avversario politico facendolo passare per oppressore, maligno, insidioso, brutto&cattivo – mentre loro sono tranquilli paciosi a vogliono solo parlare.

Proveremo a fare un deconstructing un po’ diverso dal solito, tanto per capire di che stiamo parlando; anche senza occuparci nel dettaglio di tutti, è importante riportare qualche esempio, raggruppato per comodità in grandi categorie. Il resto starebbe a voi – “e mica posso fa’ tutto io!” (cit.)

1) Ai cattolici viene limitata la libertà d’espressione.

Questa splendida frittatona gira alla grande da quando Ivan Scalfarotto ha fatto la sua proposta di legge, per ora approvata dalla Camera, che introduce un’estensione alla cosiddetta “Legge Mancino“, estensione che a leggerla per intero è una pippa notevole ma che nella sostanza consta di queste due frasette due:

a. istigare a commettere o commettere atti di discriminazione per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro
b. istigare a commettere atti di violenza per motivi fondati sull’omofobia e sulla transfobia: punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni

Ci vedete qualche accenno alla libertà d’espressione, alla libertà d’opinione, e altre cose del genere? No, dovrebbe bastare saper leggere. Ma i nostri ipocricattolici son partiti armati di fede speranza e carità per l’ennesima crociata a difesa del loro(?) pensiero, minacciato dalle forze del male: gli omosessuali. Ed ecco che da quel giorno battono il tamburo della libertà minacciata, una colossale panzana che solo in un paese dove una suora vince un reality show musicale poteva attecchire così bene. Leggete qua (un esempio qualunque, preso a caso tra gli ultimi usciti) di che stronzate colossali sono capaci:

«È utile ricordare – affermano le Sentinelle in Piedi in una nota – che se tale proposta dovesse diventare legge chiunque affermi che un bambino per crescere ha bisogno di una mamma e un papà potrebbe essere accusato di omofobia e rischiare di essere condannato ad un anno e sei mesi di carcere. Lo scorso 15 marzo a Piacenza eravamo 350 Sentinelle in Piedi, un successo straordinario, ma è tempo di far sentire di nuovo il nostro silenzio, perché impedire a qualcuno di esprimere la propria opinione è il primo passo verso la dittatura. Diverse volte negli ultimi mesi, le veglie delle Sentinelle in Piedi sono state fortemente contestate e accusate di omofobia. Non è che la conferma di quanto sia urgente la nostra mobilitazione, infatti, se oggi solo stando in silenzio nelle piazze si viene additati come omofobi, cosa accadrà domani, se e quando la legge sarà approvata?»

Carissime sentinelle, ma che andate dicendo? E’ una vera e propria falsità, una balla, una sciocchezza, una stuipidaggine. Ma chissenefrega – e chi se n’è mai fregato – delle cose che pensate e andate dicendo: so’ problemi vostri. Quella legge, c’è scritto sopra, non serve per i pensieri né per le espressioni, serve proprio per tutt’altro, c’è scritto: atti di discriminazione o atti di violenza, e le vostre idee circa l’omosessualità, finché rimangono idee, non danno alcun problema – al massimo schifo o pena, tutto lì. Però fare le vittime fa comodo, e adesso vorreste passare per paladini della libertà invece che per ipocriti; i quali vorrebbero addirittura sentirsi chiedere scusa per aver anche solo paventato la possibilità di avere una legge che punisce gli atti omofobi. E attenzione, amici cattomofobi: se ne sono accorti anche personaggi molto preparati di questi trucchetti retorici sulle questioni di genere. Sarà sempre più difficile farci cadere la vostra amatissima “opinione pubblica”, in piedi o seduta che sia. Complimenti per la frittata, davvero.

2) Le vere vittime sono gli uomini, altro che “violenza sulle donne”.

Beh, questa invece è una specialità della casa (patriarcale) che va avanti da un pezzo, sempre in nuove versioni e fantasie elaborate dagli chef professionisti come dagli smaneggiatori di fornelli occasionali. Ce n’è per tutti: potete trovare il dotto maschione che legge tanti libroni e li studia e fonda gruppi chiamandosi con lettere greche (quello che ama presentarsi come corretto, forbito e gentile), del quale recentemente ho letto questa meraviglia, in un aggregatore:

Tutto ciò che gli uomini avrebbero fatto nel corso della storia, quindi anche le grandi rivoluzioni, le grandi lotte per l’emancipazione umana, i diritti, la libertà, la democrazia, l’eguaglianza, il socialismo che li hanno visti protagonisti, e poi il lavoro disumano, lo sfruttamento e le immense sofferenze a cui sono stati sottoposti, così come le scoperte scientifiche, la produzione filosofica e letteraria, l’arte (per non parlare delle religioni), sarebbe stato fatto con il proposito di opprimere le donne.
Questa è l’operazione filosofica/ideologica che sta alle fondamenta del femminismo in tutte le sue correnti e sottocorrenti, nessuna esclusa. La criminalizzazione del maschile è ciò che accomuna tutte le diverse determinazioni del femminismo, oggi declinato nella sua versione ancora più aggressiva, che è quella detta appunto del genderismo.

Fantastico, sublime, mirabile produttore di stronzate galatticohegelianmarxiste, il quale crea mostri a suo uso e consumo per parlare dei poveri ometti che non ce la fanno più a sopravvivere, sempre più angustiati dalle brutte donnacce (e da altri uomini che beneficiano della loro preziosissima arma, l’alphavulva). Questi girafrittate esistono anche nella versione statistico-sociale: certamente ricorderete il mitico avvocato “Tempesta” Mazzola (qui uno e due esempi dei suoi fallodeliri) il quale meno di due anni fa ci propinava paternalismi di questa levatura:

Ho perplessità sui numeri sparati a vanvera. Nessuno ad oggi mi ha difatti indicato una fonte ufficiale da cui trarli e la causa precisa delle morti e per mano di chi. Il “cianciare” era riferito al giornalismo pressapochista. Ho contrapposto numeri ufficiali che smentiscono l’allarme, anche se è giusto che vadano letti più nel profondo, dal generale al particolare. Un lettore ha ben citato la fonte del ministero dell’Interno che nega qualsivoglia allarme al riguardo. Dunque si stanno enfatizzando alcune morti per destare allarme e, come scritto prima, per imporre un femminismo d’assalto. Egemonizzante. Aggressivo come il tono usato nei commenti, vera cartina di tornasole del femminismo d’avanguardia (presunta).

Capito? Il problema è che non ci sono i numeri perché nessuno si occupa del fenomeno, ma il nostro fa finta di capire il problema e bea sé e il suo maschio cervellone dei “dati ufficiali”. Geniale, a modo suo. E tu, che ti sbatti per registrarli e diffonderli correttamente, quei numeri, tu sei il cattivo perché enfatizzi, strumentalizzi, aggredisci, imponi; sei brutt@ e cattiv@ femminist@, pussa via! Non c’è nessun allarme: com’è giusto per il loro virilissimo destino, muoiono sono i maschi per mano delle donne, eh.
Dite che è roba vecchia? Ma la frittata è sempre quella: quella dei poveri masculazzi ai quali sentirsi dire “puzzi forte, lavati almeno” significa che il femminismo gl’impedisce di scopare; quelli che le donne si approfittano della loro alphavulva per fare carriera e ottenere vantaggi, come se i vantaggi e le carriere venissero dati in cambio di sesso da un distributore automatico, non da un uomo come loro; quelli che le donne c’hanno tutti i vantaggi sociali ed economici, di che si lamentano? Però mai che facessero a cambio di vita, anche solo per un giorno (qui è riportato qualche discorso come esempio di tutto ciò, non vi aspettate link a quello schifo, basta usare Google); e poi i mitici articoli, che spopolano nei ghetti rosa, nei quali le conseguenze del sessismo – i pregiudizi sul “sesso forte” – vengono usate come prove che la società è più cattiva con i (tantissimi!) maschi che subiscono violenza.

Capito come funziona la frittata? A parte le letture ignoranti e mistificanti, il trucco è: quello che succede ai maschi lo descrivo come simmetrico di quello che succede alle donne, et voilà! la frittata è girata. L’avete sentita, questa frittata, anche nella versione più generalista “il femminismo è il contrario del maschilismo”: la considerazione del fatto che forse non si tratti di un rapporto simmetrico – perché quello tra oppressori e oppressi non è mai un rapporto simmetrico – non li sfiora proprio a ‘sti bei soggetti e soggette – guarda caso. E che quindi leggere i fenomeni di violenza di genere come fossero lo stesso fenomeno – solo con soggetti diversi – è manifestazione d’ignoranza quando non di malafede. Calda la padella, eh?

3) I genitori non possono decidere cosa studiano i figli.

Notoriamente della scuola pubblica non frega niente a nessuno (parlo della maggior parte dei politici di professione, stante ciò che ne hanno fatto dal dopoguerra a oggi) e la maggior parte dei genitori continua a pensare che la scuola debba fare qualunque cosa soprattutto perché maestri e professori sono una casta che si gode tre mesi di vacanze all’anno (stronzo luogo comune dal dopoguerra a oggi). Il risultato ce l’abbiamo davanti agli occhi: i genitori devo comprare pure la carta igienica e va bene così, ma se qualche docente illuminato – o qualche studente autorganizzato – porta dentro la scuola argomenti di genere, allora protestiamo! A scuola si porta di tutto da casa, compresi i pregiudizi.

Il caso degli studenti di Modena lo ricorderete, è un esempio perfetto. Ecco come si esprime l’associazione di genitori che lo ha contestato:

L’intervento di Luxuria al ‘Muratori’ non rispetta questa esigenza di pluralismo e rappresenta invece una vittoria del pensiero unico nella forma della cosiddetta ideologia del gender e una negazione della liberta’ di espressione e del contraddittorio.

Capito? Applicando il principio – stupido e distorto – divulgato da quella ridicola e ipocrita norma italiana della par condicio, “i genitori” (ma quali? Di chi? Indovina!) assumono che la sola presenza di una transgender a parlare sia la violazione di un supposto contraddittorio. E sì, perché lei è lì per fare propaganda politica, no? Lei è lì per trasformare tutti i virgulti italici in transgaypornozozzoni come lei, no? E così, salto mortale carpiato per la frittata: non c’è il contraddittorio – senza spiegare perché ci dovrebbe essere – e quindi quella è un’imposizione della potentissima lobby gaytransfrociazozza, che come sapete governa il mondo tramite il commercio dei boa di struzzo. Il contraddittorio, secondo questa gente ubriaca dei propri pregiudizi, dovrebbe esserci tra chi tenta di parlare di cose da sempre nascoste e marginalizzate con violenza, e tra chi tradizionalmente segue la mentalità oppressiva e distorcente che vige. Proprio un confronto alla pari, sì.

E giustamente l’attuale ministra dell’istruzione si accoda a questa propaganda meschina, e invece di ascoltare chi fa il lavoro di educatore da anni rispondendo a richieste di educazione sessuale che vengono dalle scuole stesse, pensa bene di aspettare ancora un po’ promettendo linee guida di concerto con le associazioni dei genitori, le quali infatti esultano. Esultano perché si tratta solo di alcuni e particolari genitori – voglio proprio vedere se e come Giannini sentirà in proposito il parere di Agedo, per esempio. Per ora, la frittata è girata: i genitori cattolici passano per quelli zittiti e messi in minoranza, ignorati e anzi ingannati da chi vuole sapere le cose senza contraddittorio. Complimenti.

La realtà, come sanno bene al di fuori da questo cattostivale, è che prima si comincia meglio è, perché i risultati, come spiegava ad esempio Lanfranco, sono a lungo termine:

Non si aspettano miracoli dal progetto educativo francese, perché ci vuole tempo, e molto lavoro, sulle persone adulte in primo luogo e poi sulle giovani generazioni affinché la mentalità, il linguaggio e la pratica quotidiana nelle relazioni tra i generi evolva in una direzione non sessista, paritaria e nonviolenta. Ma iniziare a farne anche una questione di come ci si esprime, come si gioca, come si vestono bambine e bambini è un buon inizio.

Qui, nel frattempo, gente sedicente di sinistra s’è vantata di essersi opposta al rapporto Estrela. Così, per dire, eh.

Oh, allora? Zucchine, porri, patate, spinaci… che ci mettiamo? L’importante è rivoltarla, ricordatevelo.

 

Lettera aperta alle persone privilegiate che fanno l’avvocato del diavolo

santabarbara

Traduzione dell’articolo An open letter to privileged people who play devil’s advocate di Juliana Britto dal sito feministing.com. La traduzione è della mia amica Floriana, che ringrazio. Come dico sempre, se qualcuno lo dice meglio di me, è il caso di citarlo.

Lettera aperta alle persone privilegiate che fanno l’avvocato del diavolo

Lo sai chi sei. Sei il tizio bianco nel corso di Studi Etnici che sta esplorando il concetto che i poveri possano fare bambini per continuare ad avere i sussidi. O, sei quello che argomenta sorseggiando un drink che forse un sacco di donne in effetti simulano uno stupro per ricevere attenzione. O, più di recente, sei quello che insiste che io debba considerare la possibilità che Elliot Rodger [perpetratore della strage di Isla Vista, ndt] possa essere stato un pazzo, e un’anomalia, e non il prodotto della supremazia bianca e della società misogina.
Molto spesso è chiaro che tu in effetti credi a quello che sostieni pensare giusto per. Tuttavia, lo sai che queste cose che pensi non sono popolari, se non altro perché ti fanno sembrare egoista e privilegiato, e quindi ecco che dai la colpa al “diavolo”. Ti svelo un segreto: il diavolo non ha bisogno di altri avvocati. Ha già un sacco di potere senza che lo aiuti tu.
Queste discussioni possono sembrare un gioco per te, ma per molte persone intorno a te, sono le loro vite quello con cui stai giocando. Il motivo per cui sembra un gioco per te è perché queste questioni molto probabilmente non ti toccano. Se sei un uomo, non importa che la maggior parte delle sparatorie di massa siano dirette a donne che hanno rifiutato il killer – anche se dovrebbe importarti, visto che misoginia uccide anche gli uomini. Se sei bianco, non importa che le persone di colore siano stereotipate o meno. Puoi attaccare fili da burattino ai tuoi dialoghi sulle questioni reali, perché alla fine della fiera, tu puoi semplicemente alzarti e andartene da questo caos intricato che hai esacerbato.
Ad onor del vero, ci sono molti avvocati del diavolo privilegiati che davvero tentano di capire le cose. Conosco persone che pensano meglio se ad alta voce, che mi gettano addosso le loro idee per capire quelle che più si addicono alla “amica femminista”. Il tuo tipo ama aggirare un concetto da ogni angolo prima di decidere cosa pensa. Tu chiedi a quelli informati di noi di spiegarti la cosa più e più volte, perché in questo mondo è più difficile per te credere che forse la mano di carte ti è favorevole, piuttosto che pensare che noi siamo pigre, lagnose, o bugiarde.
E’ estenuante, fisicamente ed emozionalmente, essere costantemente chiamata a dimostrare che questi sistemi di potere esistono. Per molte di noi, semplicemente lottare contro di essi è abbastanza – e tu vuoi anche che te li spieghiamo? Immagina di avere dei pesi legati ai piedi e un bavaglio alla bocca, e di dover spiegare perché pensi che questa cosa ti sia svantaggiosa. Immagina di guardare un video in cui un ragazzo promette di uccidere tutte le donne che non vanno a letto con lui e poi essere costretto a elaborare sul fatto che forse tu non sei una femminista isterica che vede misoginia dappertutto. E’ incredibilmente doloroso rendersi conto che, per far si che tu abbia a cuore la mia sicurezza, io debba continuare a vincere questa competizione oratoria che tu hai messo su “per gioco”.
A quegli avvocati del diavolo che stanno cercando di imparare, io suggerisco di provare nuove strade. Considerate che non state pagando i vostri amici per spiegarvi certi concetti che sono per loro spesso dolorosamente vissuti, e siate consapevoli del loro tempo e delle loro energie. Siate grati (e dimostratelo) e ascoltate attentamente e con considerazione quando sono così generosi da parlare delle loro esperienze con voi.
Alcuni possono sostenere che io mi stia zittendo da sola, e censurando importanti momenti di scambio e crescita. Ma queste idee che mi state forzando a “considerare” non sono affatto nuove. Provengono da secoli di diseguaglianza, e il vostro disperato tentativo di mantenerle rilevanti si basa sul fatto che in effetti a voi fa comodo che esistano. Lasciate perdere. Queste teorie razziste e misogine NON le avete inventate voi, noi le abbiamo sentite già, e siamo stanche, cazzo, che ci chiediate di provare a considerarle. Ancora. Una. Volta.
Quindi, cari avvocati del diavolo, parlate per voi, non per il “diavolo”. Educatevi. Imparate. Considerate che la vostra parte in causa è stata già ascoltata per secoli, quindi sedetevi. Ora tocca a noi parlare.

Tsipras e la politica dei selfie

WHAT_IS_THIS_BULLSHIT_by_okchickadeeNoia, noia totale. (cit. Frantic)

In una realtà nella quale si fatica ad esprimere un pensiero compiuto in più di 150 caratteri  – e in cui ogni occasione è buona per finirla in una caciara inutile, dove cane mangia cane – la diarrea verbale e gli schieramenti monolitici delle ultime ore causati dal selfie di tal Paola Bacchiddu meritano qualche riga di commento.

Dico ‘tal’ perchè, prima di questo ‘cataclisma’, della protagonista della vicenda io non conoscevo nemmeno il nome: sarà che non seguo da tempo la politica istituzionale, che al sentire la parola ‘lista’ subito mi sale una irrefrenabile nausea, che la democrazia rappresentativa è per me un fossile del passato che dovrebbe trovare degna sepoltura nel dimenticatoio degli esperimenti falliti,  e che in definitiva privilegio altre modalità di far politica, che non passino dal delegare a sconosciuti una rappresentanza farlocca… fatto sta che nel mio mondo rotondo Bacchiddu contava meno di un paramecio.

Nelle ultime ore ho dovuto fare ammenda di questa mia terribile mancanza, approfondendo la conoscenza di lei medesima: prima del suo lato b, poi del suo ruolo ‘istituzionale’, infine delle intenzioni recondite celate nel suo criptico gesto – di sovversione comunicativa o di conformismo comunicativo, a seconda delle campane. Sopitosi l’interesse mediatico mainstream,  della durata di un battito di ciglia, è a livello della politica di base femminista che la bomba sganciata non ha ancora perso in virulenza, anzi.

Ma che noia però! Davvero ci stiamo lambiccando sulla foto di un culo? A me non importa un fico secco di arrivare ad una verità condivisa che determini inequivocabilmente se il culo mostrato sia eteronormato/normativo o se strizzi le chiappe al sessismo patriarcale. Certo, se mi si domandasse in merito alla foto posso dire che non è esattamente un’immagine sovversiva, o che il messaggio in 150 parole allegato poteva perlomeno sforzarsi di piegarla ad altri significati – magari non dichiaratamente sovversivi, ci si sarebbe accontentat@ di un pò di ironia/problematizzazione – ma così non è stato; questa è però soltanto una mia opinione personale su di un argomento che ritengo poco interessante, considerato per di più che tanta parte della comunicazione online si basa sulle ambiguità, sui non detti, e via discorrendo… chi ha pubblicato la foto, quei meccanismi che tirano un colpo al cerchio e uno alla botte li conosce bene. E’ chiaro che, volendo,  questo culo autoreferenziale si presta a scrivere interi trattati: de culibus non disputandum est, dei delitti e dei culi, psicopatologia dei culi quotidiani, ecc… ma è ciò che vogliamo?

La politica dei selfie (ah, en passant, questa mania di ritrarsi in ogni posa, se umanamente è vagamente egotistico,  politicamente è davvero penoso!) dimostra invece, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’unico gesto sensato ancora non portato a compimento sarebbe l’astensione in massa dalle urne. Vorrei, con queste poche righe, invitare le femministe, tutte, a ritrovare la lucidità: non sarà questo culo a fare la rivoluzione, a prescindere dai suoi buoni – o meno – propositi, perché come sosteneva Audre Lorde, “Non si può smantellare la casa del padrone con gli attrezzi del padrone”. Ma intendiamoci, attrezzo del padrone è la politica istituzionale, non il culo in questione: quello lascia il tempo che trova, e a breve non ne resterà traccia. 

 

 

Deconstructing una certa idea di maschio etero

real-doll-02Scusate se in questo caso non mi applicherò su un testo preciso, ma su un aspetto credo non secondario di una recente vicenda di media, generi, televisione e sessismo.
Premessa importante: non ho una opinione su Belen Rodriguez in quanto donna, perché non la conosco e non ho avuto occasione di ascoltare o leggere nulla che la riguardi o la esprima personalmente in qualche suo ambito privato; inoltre, so benissimo che il fatto che lei presenti un programma non significa certo che quello è un ‘suo’ programma – ci sono autori, produttori, e altri. Ne parlo come personaggio televisivo: come tale, è solo la mia opinione, lei definisce l’immagine di se stessa in una maniera penosa (“Fisicamente non ho difetti” è una lapide più che una frase), ed è difficile immaginare che davvero qualcun@ possa fare una tale confusione tra personaggio televisivo e vita reale – ma tant’è, c’è poco da fare. Questa sua “versatilità” per il facile mercato dei media è stata anche ribadita nella coincidenza, rimarcata ovunque nel mainstream, tra la presentazione del suo libro fotografico e il compleanno del figlio.

Immagino quindi che la notizia dell’esistenza del programma televisivo “Come mi vorrei”, sul canale Italia1, vi sia già nota; forse però non sapete che si presenta al pubblico con queste parole inquietanti:

Vi è mai capitato di vivere un momento della vostra vita in cui volevate cambiare TUTTO, dalla pettinatura al modo di fare? Ricominciare da capo si può! Un nuovo programma di make over non solo estetico: Belen Rodriguez consiglia il protagonista di puntata su come piacersi di più e risolvere problemi relazionali con fidanzati, parenti o colleghi di lavoro. Hai tra i 18 e i 26 anni e hai bisogno di aiuto per migliorare te stessa e cambiare il tuo look? Partecipa a COME MI VORREI!

Parole che già basterebbero da sole per farsi un’idea e formulare un giudizio, ma se volete proprio continuare a farvi del male qui ci sono un riassunto e poi un altro riassunto di due puntate.

Le critiche non sono mancate: televisivamente la conduttrice è apparsa inadeguata se non impreparata; e poi giustamente c’è chi rifiuta una rapprensentazione di questo tipo dei rapporti tra generi, e lo dice apertamente. E indubbiamente, come dice Zanardo, questo ottimo segno di presa di coscienza è sempre più diffuso e quantitativamente rilevante – perché la banale risposta “basta cambiare canale” non serve per quelle migliaia di persone che invece non lo cambiano, e che rappresenteranno prima o poi un problema per quell@ che invece cambiano canale o non hanno la televisione. Altrettanto indiscutibile appare il fatto che un tale tipo di programmi è destinato a vivere poco (anche prima che funzionino le petizioni) perché è fatto davvero troppo male.
Tutto giusto e adeguato, in toto o in parte, ma credo ci sia ancora una cosa da dire, che da qualcuno è stata accennata, ma non nei toni più adatti.

Questo programma televisivo produce non solo una immagine precisa di cosa e come una giovane donna “normale” dovrebbe essere secondo i canoni della moda e della vita sociale più comuni e diffusi – cioè secondo un’ignobile accozzaglia di pregiudizi, sessismi, volgarità, adeguamenti alla moda commerciale più triviale, ignoranze multiple. Dice anche qualcosa di ben preciso – per forza di cose, senza farlo espressamente –  su cosa dovrebbe essere un uomo eterosessuale “normale”; e dice sostanzialmente che un uomo eterosessuale “normale” cerca solamente una donna capace di compiacerlo.

Secondo questo programma televisivo, io (maschio eterosessuale) desidero una donna addestrata a obbedire, ad adeguarsi ai miei gusti, a non sollevare obiezioni né tantomeno a esprimere idee o concetti per me ignoti o incomprensibili. Il tutto presentandosi agghindata e truccata secondo uno standard pornocommerciale più o meno assimilabile alla categoria “secretary xxx” (cercate su Google, togliete i filtri e buon viaggio). Vengo scambiato, letteralmente, per una testa di cazzo: uno che ragiona col glande – e un glande anche molto insicuro, parecchio ignorante e poco fantasioso.

Ecco, questo è il motivo per cui la sola esistenza di un programma così dovrebbe far scattare nella maggioranza degli uomini eterosessuali indignazione e rabbia, a prescindere da quello che viene espresso come idee e convinzioni riguardo le donne; perché è evidente che queste assurde idee e convinzioni riguardo l’uomo eterosessuale medio sono cose molto diffuse, eh.

(Per esempio: qui in Italia Belen Rodriguez e il suo team di produttori e autori dà per scontato che il mio gusto e il mio pisello possano e debbano essere adeguatamente compiaciuti da una specie di “Barbie ufficio” semovente e disponibile, meanwhile altrove un festival di musica classica pensa bene di farsi pubblicità creativa mettendo giovani mangagirls a ballare ammiccanti una musica di Dvorak. Così, per dire, un esempio a caso.)

Questo tipo di comunicazione, che in questo momento è felicemente rappresentata dal programma condotto da Belen Rodriguez – ma è stato e sarà ancora per un pezzo rappresentato da tante altre produzioni – mi sta dicendo che il desiderio sessuale maschile standardizzato e appiattito sul modello “lobotomizzata in lingerie” è il più normale e regolare, e che sarebbe il caso che le donne che non si sentono adeguate vengano normate a tale livello, perché l’origine dei loro problemi personali e sociali è tutto lì. E mi dice inoltre che tutto questo mi dovrebbe stare bene, ne dovrei essere soddisfatto e beato.

Cosa ha ridotto milioni di uomini eterosessuali (i numeri sono questi) a pensarla così?
A farsi ritrarre in questo modo ridicolo?
A permettere che il proprio desiderio, la propria immaginazione sessuale siano questa miseria?
A costringere la conoscenza di una donna ad avere la forma di un colloquio di lavoro?
A trovare sicurezza nell’adeguarsi a un modello preconfezionato?
A far manovrare il proprio sesso da mode, tendenze e luoghi comuni?
E’ sempre e solo un problema mio, questo?