Cassazione e comunicazione

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Direttamente dal sito cortedicassazione.it, leggiamo che le funzioni della Corte di Cassazione italiana sono così definite:

In Italia la Corte Suprema di Cassazione è al vertice della giurisdizione ordinaria; tra le principali funzioni che le sono attribuite dalla legge fondamentale sull’ordinamento giudiziario del 30 gennaio 1941 n. 12 (art. 65) vi è quella di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”. Una delle caratteristiche fondamentali della sua missione essenzialmente nomofilattica ed unificatrice, finalizzata ad assicurare la certezza nell’interpretazione della legge (oltre ad emettere sentenze di terzo grado) è costituita dal fatto che, in linea di principio, le disposizioni in vigore non consentono alla Corte di Cassazione di conoscere dei fatti di una causa salvo quando essi risultino dagli atti già acquisiti nel procedimento nelle fasi che precedono il processo e soltanto nella misura in cui sia necessario conoscerli per valutare i rimedi che la legge permette di utilizzare per motivare un ricorso presso la Corte stessa.

Cosa vuol dire “funzione nomofilattica”? Sostanzialmente due cose, come si dice in questa circolare:
– la Cassazione deve “garantire l’attuazione della legge nel caso concreto”;
– la Cassazione deve “fornire indirizzi interpretativi ‘uniformi’ per mantenere, nei limiti del possibile, l’unità dell’ordinamento giuridico, attraverso una sostanziale uniformazione della giurisprudenza”.

Alla Corte di Cassazione possono ricorrere tutti i cittadini, contro i provvedimenti di un giudice in appello o in grado unico, secondo vari motivi (violazione di diritti, errori procedurali, mancanze insufficienze o contraddizioni nella motivazione della sentenze, e altri). Quindi

quando la Corte rileva uno dei vizi summenzionati, ha il potere-dovere non soltanto di cassare la decisione del giudice del grado inferiore, ma anche di enunciare il principio di diritto che il provvedimento impugnato dovrà osservare: principio cui anche il giudice del rinvio non potrà fare a meno di conformarsi quando procederà al riesame dei fatti relativi alla causa.

Quindi la Cassazione “è un giudice di legittimità chiamato a verificare che nei processi precedenti le leggi siano state applicate correttamente e che tutto si sia svolto secondo le regole. Per farla ancora più semplice, non deve mettersi a riesaminare le prove e sentire i testimoni; ma solo studiare le carte e ascoltare quanto pubblici ministeri e avvocati della difesa hanno da dire a riguardo. Dopodiché, si decide” (fonte Polisblog).

Fin qui è tutto chiaro. Quando però leggo un titolo come

Islamico tentò di uccidere la figlia 17enne
che faceva sesso col ragazzo: pena ridotta

L’episodio due anni fa a Milano: l’egiziano tentò di soffocare la figlia. La Cassazione: manca l’aggravante dei futili motivi, “non potendosi definire nè lieve nè banale la spinta che ha mosso l’imputato”

è chiaro che il compito della Cassazione ha anche – inevitabilmente – un grosso peso culturale. Quando leggo anche che “comunque non può essere considerato futile un motivo fondato sull’onore della famiglia e sulla violazione del precetto religioso di non congiungersi carnalmente con persona di fede diversa”, mi sembra ovvio che la Cassazione, con le sue decisioni, non fa solo giurisprudenza, ma anche cultura. E come tutti i fenomeni culturali, se non è adeguatamente comunicato e divulgato, è facilissimo strumentalizzarlo. Guardate questa stessa notizia, e queste stesse parole, come sono usate da AGI, Il Sole 24 Ore, Il Messaggero, Il Giornale.

Ma la storia della Cassazione sui quotidiani è lunga, soprattutto quando l’argomento delle sue decisioni riguarda questioni di genere – o, come preferisce il medio pensiero italiano, “la morale”. Ecco qualche esempio di come i quotidiani usano comunicare il lavoro della Cassazione:

Lui 60 anni e lei 11: per la Cassazione è amore
Annullata condanna a dipendente Comune Catanzaro

Con i jeans lo stupro diventa “consenziente”

Stupro di gruppo, no all’obbligo del carcere
l’ira delle donne: “Sentenza aberrante”

sembrerebbe così che la Cassazione ce l’abbia proprio con le donne, e sia un covo di maschilisti incalliti e tronfi del loro supremo potere. Però ci sono anche questi titoli, da aggiungere:

Cassazione: «il Viminale paghi per gli stupri del poliziotto»

Cassazione: senza penetrazione
lo stupro non è meno grave

Anche una ‘manata lampo’ sul sedere
per la Cassazione è violenza sessuale

Allora?

Io credo che molto dipenda – e non è l’unico caso, quando si tratta di questioni di genere – da come i mezzi d’informazione decidono di dare le notizie. Perché la Cassazione tutto è tranne una cosa facile da gestire e semplice nelle sue espressioni, quindi è facilissimo sparare titoli sulle sue decisioni (sentenze e motivazioni) che con la volontà di riassumere e sintetizzare quanto a lungo motivato e scritto, finiscono col far dire alla Cassazione quello che non ha detto; e in più, non fanno capire perché lo ha detto.

Riguardo per esempio il caso di Catanzaro – il sessantenne e l’undicenne e il loro “amore” – la Cassazione ha detto che la Corte d’Appello ha scritto male le motivazioni della sua sentenza, cioè ha fatto male il suo lavoro (come spiega un penalista qui). Ci tengo a dirlo esplicitamente: io non difendo la Cassazione (non lo fa neanche il penalista in quel sito), soprattutto perché la cosa da difendere qui non è l’istituzione, ma la mia intelligenza. Nello spiegare in cosa la Corte d’Appello ha sbagliato, la Cassazione afferma che non si è tenuto conto dell’amore esistente tra un 60enne e una 11enne per determinare pene e attenuanti.

Spero di riuscire a spiegarmi bene. Le leggi, le sentenze e le motivazioni delle varie corti giudicanti hanno eccome un impatto sulla “cultura” pubblica e civile, ma non certo nei modi in cui vengono trattate nella maggior parte dei mezzi d’informazione. I quali, quando a loro fa comodo in termini di “choc” sul pubblico, ben si guardano invece dall’essere così sensibili alle decisioni di giudici e legislatori, anche al di là della Cassazione.

Il caso emblematico più noto, e ormai storico, riguarda come è stato ed è trattato dai media il “delitto d’onore“. Con la legge n. 442 del 5 agosto 1981, le disposizioni sul delitto d’onore sono state abrogate; e da allora è fiorita in tutti i mezzi di comunicazione, e poi nel linguaggio comune, l’espressione “delitto passionale”, che ha ripreso in tutto e per tutto lo spazio semantico di quella denominazione uscita dai codici, ma non dalla cultura. E lì non c’è stato alcun intervento della corte suprema; la legge ha sancito la fine (meglio: l’auspicabile inizio della fine) di una cultura sessista, ma la comunicazione pubblica continua a tenerla in vita, con altre espressioni.

La sentenza e le motivazioni della Cassazione a proposito dell’operato della Corte d’Appello sulla vicenda della bambina di Catanzaro (potete rileggerle qui) sono certamente, anche tenendo conto della loro “esattezza” tecnica, quanto meno discutibili nel loro linguaggio; e altrettanto certamente sono condannabili nella loro manifesta irresponsabilità verso il pubblico che le legge, e nei confronti di ciò che indirettamente descrivono come plausibile fatto sociale (l’amore tra un 60enne e una 11enne). Ma queste, oltre a faccende di procedura penale, sono soprattutto questioni culturali e di comunicazione, sulle quali nessuna suprema corte ha giurisdizione. Rimane il fatto, conclamato anche in questo caso, che nessuno di quelli che ne avrebbe il potere e la competenza si è assunto il compito di spiegare che i linguaggi delle sentenze e delle motivazioni sono il riflesso di una cultura dominante e anche lo strumento con il quale la si continua a imporre. E’ la cultura – patriarcale, paternalista, “morale” – che fa dire a un organo supremo dello Stato che sono stati trascurati, nella sentenza d’Appello, “gli ulteriori e attenuativi aspetti della vicenda prospettati dalla difesa, quali il “consenso”, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza“. Non c’è più bisogno di capire se chi parla è o no un supremo organo di giudizio dello Stato, e se si esprime “tecnicamente” o meno: questo è il frutto di una cultura priva delle minime basi che riguardano le questioni di genere. E nessuno lo dice, né lo scrive, su quegli stessi strumenti d’informazione che raccolgono insulti, urli, falsità, calunnie – ma quasi mai critiche fondate. Perché? Quando ci occuperemo – quando mai la maggior parte di giornalisti e giornaliste si occuperanno – per esempio del fatto che il supremo tribunale del nostro paese fa giurisprudenza parlando come un qualunque irresponsabile sessista?

Giustamente, il blog #OgniBambinaSonoIo dice: “in particolare vigileremo affinché la Corte di Appello di Catanzaro, cui oggi spetta il compito di decidere, nomini la violenza e affermi con chiarezza un principio di giustizia per questa bambina, ma anche per tutte le altre“. Nominare la violenza è esattamente quello che ancora i mezzi d’informazione ben si guardano dal fare. Della cultura che in questo modo continuano a costruire e perpetuare, gli effetti si vedono pure nelle parole usate dai più alti gradi di giudizio.