L’anarcomachista è aggressivo, competitivo fino all’eccesso. Elitario, paternalista; più puro dei puri e più forte dei forti. Riesce misteriosamente ad essere dogmatico pur professando il suo odio per ogni dogma. Persegue la coerenza in maniera totalizzante e obnubilante, ignorando che in un mondo di contraddizioni sociali tale perfezione non può esistere. Insegue l’alienazione delle politiche che porta avanti nella stessa maniera in cui egli pensa di porsi di fronte all’esistente: senza compromessi.
L’anarcomachista è misogino ma può non sembrarlo. La sua pericolosità è direttamente proporzionale alla sua capacità di mimetizzarsi come “bravo compagno” o come individuo non stereotipicamente maschilista. Può essere qualunque uomo. E di tanto in tanto, persino qualunque donna.
L’anarcomachista rincorre la logica del martirio e pensa che sia giusto e necessario che chiunque faccia altrettanto. Non tutt* vogliono o possono essere picchiat* e incarcerat*, ma a lui non importa. Perché pensare all’orizzontalità e all’incolumità altrui quando si può godere di un trip testosteronico con lo scontro di piazza fine a sé stesso, tatticamente inutile? Non si pone mai il problema di aver sovradeterminato le decisioni e le voci altrui: non lo farà né per il destino di una manifestazione, né per altro.
L’anarcomachista pensa di vivere in una bolla di sapone al di fuori della società, immune alle influenze aliene dei contesti oppressivi da cui emerge, pertanto sente di non avere alcuna responsabilità nell’aumentare la consapevolezza dei suoi privilegi e oppressioni e men che meno quella di combatterli. Ove necessario, ne nega l’esistenza – o peggio ancora, si proclama fintamente suo nemico, ingannando compagne e compagni di lotta. I quali non se ne accorgeranno per molto ancora: si dice che i fatti contano più delle parole, ma se i fatti contraddicono l’immagine idealizzata che si ha dell’ambiente sovversivo e dei suoi abitanti, allora le parole pare proprio vadano più che bene.
L’anarcomachista è emozionalmente impedito, e arroccato nella sua corazza di cinismo e distanza emotiva, prova una profonda paura di ogni cosa che non sia lineare, razionale, e risolvibile con due punti sull’ordine del giorno. Non sbaglia, non si scopre e non si mette mai in discussione: la sua lotta è sempre e comunque votata alla superficialità.
L’anarcomachista non si fida di nessuno, specialmente delle esperienze delle persone su cui ha potere, alle quali risponde in maniera dismissiva e trivializzante.
L’anarcomachista è un capolavoro di narcisismo. Si sente legittimato a colonizzare ogni discorso, ogni spazio, ogni sentimento, ogni corpo. Vuole essere ascoltato, ma non è disposto ad ascoltare: non è infrequente vederlo palesemente scocciato e annoiato quando gli si parla di questioni che crede non lo riguardino. Basta una vaga avvisaglia di critica politica per farlo andare sulla difensiva.
L’anarcomachista dimostra spesso, nelle sue interazioni sociali, una propensione a battute e linguaggi sessualizzanti (nei confronti delle donne) e omotransfobici. I gruppi, collettivi, organizzazioni a cui partecipa sono caratterizzati da un altissimo ricambio di persone, le quali fuggono esauste e infastidite da lui, dai suoi comportamenti e dai silenzi collettivi che ne consolidano la posizione. Talvolta i componenti di questi gruppi, collettivi, organizzazioni si domandano il perché di questi esodi, ma sembrano non accorgersi del fatto che essi sono compiuti principalmente da persone svantaggiate in qualche asse di privilegio.
L’anarcomachista prende posizione: o sei la soluzione o sei parte del problema. Questo soltanto finché il problema è fuori dalla sua portata. Se un suo amico, parente, compagno abusa verbalmente, emozionalmente, psicologicamente, fisicamente o sessualmente di qualcun*, questa sua capacità improvvisamente sparisce e lascia il posto a una silenziosa, pacifica, violenta equidistanza. Non comprende che non credere alla vittima significa in automatico abbracciare la versione di chi l’ha resa tale.
L’anarcomachista riesce a riempire intere ore assembleari di lotte intestine, discussioni inutili e lunghe digressioni inappropriate piene di fuffa. Parla di teoria quando serve agire, e di azione quando serve pensare.
Riconosci ed estirpa l’anarcomachista che è in te e negli altri!
Mirabili parole! Lasciate che io confessi che sono stata con un’anarcomachista e credetemi quando dico che quest’uomo del sottosuolo è alquanto subdolo, che non palesa subito la sua natura di anarcomachista.
Si presenta come un tripudio di virtù e tu miri la sua immagine come quella di un idolo e ti compiaci di aver trovato un così perfett’uomo. Non sai che di lì a poco la sua scintillante immagine si rivelerà per quel che è, un’effimera visione, una superficie cucita da un’accozzaglia di qualità prefabbricate, mirate a riempire la sua vuota persona.
Altro che tripudio di virtù! Tripudio di rigidità mentale, disprezzo, egocentrismo e aggressività.
Svalutante nei confronti di tutto e tutti: tutto ciò che non rispettava la sua dorata visione diventava eresia. Chiunque non era un compagno era un eretico e ogni sua parola era una bestemmia che offendeva la sua sacra dottrina. Persino io, che di avvicinarmi alle idee dell’anarchismo non ne avevo una gran voglia, venivo costantemente svalutata. Oh, com’era sottile ed elegante il modo in cui mi ricordava sempre che nella coppia lui era il più virtuoso e intelligente.
Pieno di sè, aveva la pretesa di essere razionale fino al delirio: ogni singola parte di lui doveva essere in armonia con tutto il resto, formando un disegno lineare e simmetrico. Anche il più piccolo accenno alla sua aggressività o i suoi atteggiamenti maschilisti, lo mandavano in corto circuito. Se un egregio signore di Lipsia allievo di Wolff, che negli anni quaranta del settecento riformò il teatro tedesco e postulò fra le sue norme teatrali che il carattere dei personaggi non doveva essere contraddittorio, poiché un carattere contraddittorio è un mostro che non si trova in natura, facendo fare così delle grasse risate ad altri due egregi signori di Zurigo, vivesse ai nostri giorni, gli farei conoscere l’anarcomachista in questione. Di sicuro si ricrederebbe.
Non sono una compagna. Sono un tripudio di debolezze, impulsi, vizi. Nonostante questo sono convinta di come l’anarcomachista danneggi l’anarchia, riducendola a mera dottrina, a semplice fanatismo. L’articolo di Frantic esprime squisitamente tutto quello che avrei voluto dire io al riguardo.
Non credo di poter dire come dovrebbe essere l’anarchico giusto, di discorsi prescrittivi se ne fanno fin troppi in ambito militante. Per quanto riguarda le altre risposte: faccio del mio meglio per elaborare, ma alcune riflessioni credo possano scaturire soltanto dall’elaborazione collettiva. Cosa che da solo temo proprio di non poter determinare.
Bene. Mi viene spontanea una domanda: qual è la giusta tipologia dell’anarchico giusto? Qui leggo di come non dovrebbe essere, non di come dovrebbe.
Un bell’esercizio di pensiero ma, per me, del tutto inutile.
Ma, al di là, di queste considerazioni, mi guardo attorno e vedo una realtà che va progressivamente deteriorandosi. A partire dalla vita quotidiana, dai rapporti interpersonali. E a cominciare dagli ambienti antagonisti, che non brillano certo né per libertà di pensiero, né per coerenza. Spesso.
Inoltre, mancano le idee. Non si può ridurre tutto ai massimi sistemi, da un lato e a lotte settoriali, dall’altro. Manca un progetto, e il soggetto.
E allora, a fronte di tutto questo, che fare?
Un abbraccio affettuoso e un “grazie!”.
GOOD NIGHT MACHO PRIDE
Mentre leggevo nella mia mente comparivano volti su volti, perfettamente descritti dalle parole dell’articolo.
Che amarezza…