Mi sono fatta violentare per amore

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Articolo originale qui, traduzione di feminoska, revisione di Serbilla e Elena Zucchini.
Buona lettura!

Da giorni continuo a chiedermi se pubblicare o meno questa storia. La cosa più semplice sarebbe tenerla per me; alla fine, si è trattato di due sole aggressioni delle tante subite nella mia vita. Se sono riuscita a sopravvivere senza traumi, sopravviverò anche a questa… in fondo non è “così grave”…

Alla fine ho deciso di renderla pubblica, per diversi motivi. In primo luogo, perché anche io mi sono resa pubblica e visibile mediaticamente, in particolare su di un tema, quello della prostituzione, che scatena accesi dibattiti all’interno del femminismo. La mia posizione, in quanto prostituta (è così, mi guadagno da vivere prostituendomi dal 1989), è quella di difendere i diritti fondamentali delle persone che esercitano la prostituzione – non quella dei “protettori”, sia chiaro: lotto contro lo stigma della prostituta e il trattamento da “poverette” incapaci di prendere decisioni e assumersi rischi. Inoltre, sostengo che non tutti gli uomini che ricorrono al sesso a pagamento sono maltrattatori o stupratori, ma soprattutto che sono relazioni che si concordano tra adulti (le pratiche sessuali che verranno messe in pratica, l’obbligo dell’uso del preservativo, il tempo, ecc.);

Quando mi chiedono se io sia mai stata aggredita da un cliente – anche solo per mera statistica, dovrebbe essermi successo – la mia risposta è ‘no, non sono mai stata aggredita da nessuna delle decine di migliaia di uomini con i quali ho avuto rapporti’. Quali sono stati e chi sono i potenziali aggressori? Certo, sono stata testimone di aggressioni e ho pianto con alcune compagne, ma nel mio caso, ho imparato ad evitare situazioni potenzialmente pericolose. Allo stesso modo non accetto le molestie di strada e so affrontare i bulli. Dunque, in quale contesto sono stata aggredita? Nella vita quotidiana, fuori dall’ambito della prostituzione, e sempre, sempre, da parte di uomini con i quali avevo un precedente rapporto di fiducia: uomini della mia famiglia, vicini, capi dei miei vari posti di lavoro, colleghi e una delle mie “cotte” (leggasi il “brivido dell’innamoramento”)… Sì, ho subito molestie sessuali, abusi sessuali, e, infine, due violenze da parte di uomini di cui mi fidavo.

Quando ho pubblicato il mio libro ‘Una mala mujer’ (‘una donna permale’)  ho raccontato gli abusi e le violenze tra le quali sono nata e cresciuta, a partire da mio padre e mia madre; poi la violenza da parte dei vicini “teppisti” del quartiere, quando avevo 12 anni, e l’abuso sessuale di uno dei miei capi, in cui davvero mi sono sentita “puttana” e sporca – ma per paura di perdere il lavoro (un lavoro di merda, devo dire, perché non mi permetteva di riscattarmi dalla povertà) ho accettato tutto quello che mi ha chiesto, fingendo che mi piacesse tanto essere “la sua amante”, ma né lui mi piaceva né io volevo fare sesso con lui, lo facevo solo per paura. Non ho raccontato episodi di molestie fisiche, anche in adolescenza, da parte di due cugini, che mi lasciavano a metà tra il sentire l’emozione del proibito e il disgusto che mi dava il loro toccarmi, perché non mi chiedevano il permesso, semplicemente lo facevano e io li lasciavo fare…

E così, con queste premesse, arrivo al punto della questione: Come è possibile che una donna che in 26 anni di prostituzione non è mai stata aggredita da nessun cliente, subisca violenze sessuali – “palpate” sopra i vestiti da parte di una persona conosciuta e che ora non racconterò per non dilungarmi – nel giro di poche settimane? E dopo quell’episodio a 12 anni, che io pensavo mai si sarebbe ripetuto, sono stata violentata a causa dell’innamoramento, per quello stato di imbecillità che mi ha lasciato bloccata e mi ha impedito di reagire.

È un uomo che ho incontrato sui social network, che prima di questo episodio ammiravo molto, che un giorno mi ha approcciato e l’ammirazione che provavo mi ha fatto abbassare la guardia; ha saputo prima illudermi e poi farmi innamorare con belle parole, facendo apprezzamenti rispetto alle mie inquietudini e con un emozionante sesso virtuale del quale ho sinceramente goduto. Alla fine ero arrivata a credere che davvero gli importasse di me come persona, che non si curasse del fatto che mi guadagno da vivere come prostituta, perché mi aveva completamente inclusa nella sua vita quotidiana, mi aveva fatto incontrare la sua famiglia, mi raccontava di essere in procinto di separarsi, diceva di amarmi… Quando è arrivato il momento di incontrarci di persona, desideravo quel rapporto sessuale. Quello che non mi aspettavo, perché nulla del suo atteggiamento me lo aveva fatto sospettare, è che sarebbe stato così aggressivo.

Ci siamo incontrati in un hotel, sono arrivata presto e l’ho aspettato eccitata e ansiosa, tenevo pronto il preservativo sopra al comodino… Lui è arrivato puntuale e dopo quattro baci, quattro baci letteralmente, dati frettolosamente (che già mi dovevano allarmare), ha cominciato a toccarmi aggressivamente, in modo molto brutale, i seni, le parti intime sotto al vestito, e in quel momento mi sono bloccata, non sono riuscita a fermarlo, a frenarlo, a dirgli “non essere così brutale “, a respingerlo. Il resto? Non sono in grado di ricordare i dettagli, so che in un attimo ero a letto senza mutandine; lui si abbassava soltanto i pantaloni e mi penetrava, proprio così. Sì, se ne è venuto subito,  e finito il tutto si è alzato, “Devo andare” … tutto in pochi minuti …

E io piangevo, pensando: “Ma… cosa è successo? Sì… Sono stata violentata!”, E sì, “Non ha usato il preservativo”, “Non mi ha chiesto se potrei rimanere incinta, o se uso contraccettivi”, “Non mi ha chiesto cosa mi piaceva e cosa no”, “Non è stato come avrebbe dovuto”, “Come mai non sono riuscita a lasciare la stanza, e mi sono fatta toccare in quel modo?”… “Ma … ma… come ho potuto lasciare che mi trattasse così? E cosa devo fare adesso?”, “Perché mi è successo e perché ho abbassato la guardia?”. Dopo diversi giorni di riflessione, l’ho raccontato a due “amiche”, che l’hanno percepita più che altro come un’avventura andata storta. Solo una collega di lavoro, vale a dire una prostituta, mi ha dimostrato empatia ed è stata d’accordo con me nell’identificarla come violenza machista, e senza scrupoli, contro le donne –  inclusa sua moglie.

Tutto questo è il riflesso della violenza strutturale di genere. Un grave problema di educazione sessista, che ci portiamo dietro generazione dopo generazione, per cui le donne hanno difficoltà a trovare gli strumenti necessari a gestire emozioni come la paura o l’infatuazione. Quell’ “amore romantico” interiorizzato fin da piccole, e al quale ci arrendiamo, senza domande;  nonostante impariamo e sappiamo essere una costruzione culturale perversa, quanto è difficile non cadere nella sua rete! Colpisce tutte le donne, indipendentemente dal livello socio-culturale, in maggiore o minore misura … E mi fa arrabbiare ancor di più perché, nel mio caso, nel contesto del sesso a pagamento io controllo tutto e reagisco, non mi blocco.

Tanto potente e subdola è la violenza di genere. Tutte le donne sono vulnerabili, dunque c’è molto da fare se desideriamo lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato ed evitare che le future generazioni continuino a riprodurre questo schema. Sono indignata del fatto che non esista una educazione sessuale e affettiva dall’infanzia… non so che altro dire… spero solo che la condivisione di questa esperienza, se ancora c’è chi non riconosce l’entità di questa violenza contro le donne, renda pienamente consapevole di come si manifesta. Violenza non significa soltanto essere violentate con la forza, le minacce e le aggressioni fisiche, una violenza si verifica anche quando uno stato emotivo causato da questo tipo di educazione ci impedisce di reagire, e non solo per la paura di subire una violenza più grande o la paura del rifiuto o la paura che pensino che “sono una fica secca”.

Se mi definisco femminista è perché mi batto affinché le donne possano esprimersi come desiderano, ciascuna nel proprio contesto e nelle proprie circostanze personali, e che non siano più oppresse da questa cultura maschilista che ci rende incapaci di dire: “No, non così!” e “Niente e nessuno mi impedirà, per il fatto di essere donna, di realizzarmi e realizzare i miei sogni!”

 

3 risposte a “Mi sono fatta violentare per amore”

  1. Come al solito, non sono in grado di leggere testi di questo genere fino in fondo.
    Mi chiedo spesso perché nel momento in cui mi rendo conto che sta per iniziare il racconto di una violenza sessuale avverto un forte senso di disagio e devo bloccarmi.

    C’è un qualcosa sotto, un miscuglio informe nella mia testa che provoca un cortocircuito e mi impedisce di continuare. Dentro c’è lo sconforto dell’immedesimazione, di domande sulle quali non ho mai avuto il coraggio di indagare fino in fondo.
    Forse sento il peso di aver praticato in passato sesso per dovere, fino alla nausea per non sentirmi inadeguato e poco virile agli occhi di partner pressanti.
    Forse sento il peso di aver usato violenza, di essermi fatto sopraffare dalla voglia e aver preferito non accertarmi che l’atto fosse pienamente consensuale.
    Forse sento il peso di qualcos’altro di oscuro e ancestrale nel mio inconscio che la mia parte cosciente non accetta, e che forse non saprò mai perché non sono sufficientemente coraggioso per prendere la vanga e scavare.

  2. Interessanti, come sempre, gli articoli tradotti (o scritti) da feminoska.
    C’è però un punto, qui come altrove (in altri articoli), che non mi convince. Il ridurre l’amore (definito o no come “romantico”) a un inganno – una sorta di dispositivo disciplinante – patriarcale per mantenere le donne in stato di assoggettamento (economico, sociale, “psicologico”, e in definitiva esistenziale). Mi chiedo come quel “niente e nessuno mi impedirà, per il fatto di essere donna, di realizzarmi e realizzare i miei sogni!” che alla fine dell’articolo Montse Neira rivolge alle donne non meno che a se stessa, possa escludere l’amore (l’amare e l’essere amat* da qualcun* che non sia se stess*). Nessun dubbio che l’amore sia, ai nostri tempi e da tempo immemorabile, espresso attraverso il filtro e le manipolazioni del dominio nelle sue articolazioni . Che anche dove non implichi violenze, fisiche o emotive, possa essere (o sia spesso) uno strumento, un modo, dell’assoggettamento patriarcale che sottrae alle donne libertà e ne estorce l’esistenza stessa. Ma. Non per questo l’amore è falso, non per questo l’amore è un mero fantasma, non per questo l’amore non esiste e maschera soltanto la volontà di oppressione. E parlo proprio dell’amore come delizione, cioè di quel sentimento che sceglie qualcun* e non altr*, un* fra tutt*, come il chi “senza cosa” della nostra passione: senza cosa nel senso che noi amiamo sempre, senza (una) ragione, un chi, e non “qualcosa” di quel chi – certo, razionalizzando possiamo sempre dire che ci piace più qualcosa che qualcos’altro di quel chi, ma si tratta appunto di una razionalizzazione che cerca una ragione, ma che non toglie affatto che il nostro sentimento è rivolto verso una quell’esistente singolare e non un’altro, senza ragione, senza motivo. Come scriveva Nietzsche in uno dei suoi momenti di lucidità dalla misoginia: “amare tutti equivale a non amare nessuno”. Non si può negare che ci si possa innamorare di più di “un” chi alla volta: capita. Ma quel “più di un*” continua ad essere “non tutt*”. C’è sempre un po’ d’amore nel sesso, ma non c’innamoriamo di tutt* quell* con cui scopiamo. Non per tutt* desideriamo il ritornare di quell’esperienza, delle carezze, dell’amplesso, della compagnia. La dilezione gioca anche nell’amicizia: chiediamo giustizia per tutt* (cioè la non estorsione dell’esistenza), ma non tutti ci sono simpatici, non di tutt* desideriamo la vicinanza. Altrimenti non avremmo manco amici.
    E come può l’amore, questa delizione, non essere – almeno un po’ – “romantico”, non farci sognare e domandare la letizia, persino la felicità, persino il “per sempre” di un amore? Non siamo per forza nella dimensione dell’idealizzazione che impone, attraverso la manipolazione, l’adeguamento dell’altro all’ideale di un soggetto. Perché desiderare e chiedere non è imporre (includo nell’imporre il chiedere ricattando, per quanto a volte sia difficile definire i limiti del ricattare) e noi domandiamo, chiamiamo, ancora prima di chiedere questo o quello. Siamo nella dimensione del rischio, piuttosto, o della promessa (che non è un contatto con clausola risarcitoria). L’amore non è fusione, non è “investire un oggetto”, ma abbandonarsi l’un* all’altr* già da sempre abbandonando l’altro essendone abbandonato. E’ distinzione che permette il con-tatto, è con-tatto che permette la distinzione, cioè la singolarità stessa. Né mette in opera alcuna “comunità degli amanti”, perché il gioco della dilezione non è che lo stesso gioco di una comunità inoperosa (che non fa opera di sé) che corrisponde a quell’essere-insieme degli esistenti che non ne fa “un” insieme. Lo stesso gioco Solo spinto al limite della sua intensità.
    Credo che il sottrarsi alla possibilità d’amare, dell’amore come dilezione e abbandono, sia una strategia reattiva rispetto alle strutture gerarchiche del dominio. E’ una forma di resistenza frontale che ne sancisce l’egemonia. Il patriarcato non vince solo usando l’amore come disciplinamento e assoggettamento, ma anche laddove impedisce l’amore facendolo credere soltanto disciplinamento e assoggettamento. Se il patriarcato s’immunizza ponendo il resto degli esistenti come Altro maiuscolo opposto a sé, la controimmunizzazione non può che farlo vincere di nuovo, perché l’opposizione frontale è sempre favorevole ad esso: le opposizioni, nella nostra tradizione, sono sempre gerarchiche, e fanno vincere sempre il polo “positivo” che si definisce per negazione a ciò che pone come Altro maiuscolo.
    Insomma, negare le passioni non libera alcuna libertà.

  3. Trovo interessante la narrazione di questa esperienza, che dimostra la complessità e la profondità delle dinamiche relazionali uomo/donna, la difficoltà di contrastarle e anche di portarle a consapevolezza

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