Igiene del decostruttore #2

DeconHarry2

«Mai mi sarebbe venuto in mente di scrivere una cosa del genere senza la compagnia continua di tutto il collettivo Femminismo a Sud, del quale, come capita in certe storie d’amore un po’ melense, mi sembra di far parte da sempre. Il fatto che oltre all’amore ci sia anche la politica non fa che rendere il collettivo folle abbastanza da, per esempio, mettere in giro roba come questa. Dàje così».

Così scrivevo qualche anno fa, e la sostanza non è cambiata. È cambiato il collettivo, ma non sono passati né il coinvolgimento personale né voglia di fare politica in questo paese pare che bastino per sembrare già un pericolo sociale. Bene. Dàje così.

Vi ripropongo quindi quello stesso testo, un po’ modificato grazie alle critiche di molti, e un po’ aggiornato. Ho visto che in questi anni la parola deconstructing ha fatto un po’ di strada – bene – e tanti altri si sono divertiti in questa attività – meglio ancora.

Cos’è il deconstructing?

Ho chiamato in questo modo, rifacendomi al titolo di un vecchio film di Woody Allen (Deconstructing Harry, 1997) una mia serie di post pubblicati sul blog di Femminismo a Sud e poi su Intersezioni, nei quali ho praticato un lavoro di critica, destrutturazione, ribaltamento di un testo atto a svelarne contenuti e intenzioni nascoste, provocatorie, o semplicemente politicamente sgradevoli; oltre a errori, omissioni, riferimenti sbagliati, pregiudizi. E’ anche successo che qualcuno, io no eh, ha osato accostare questa pratica – forse, con le dovute riserve – al significato del termine “decostruzione” com’è nato tra le parole di Jacques Derrida, ma tutto sommato la storia della sua origine, o dei suoi possibili accostamenti nobili, non conta poi molto. Tipicamente è stato oggetto di questi miei divertimenti analitici la presenza di pregiudizi sessisti più o meno occulti in alcuni testi, ma è anche capitato di trovare fascismi, patriarchismi, e altre meraviglie di questo genere; è uno sfizio che può funzionare bene per qualunque altro tipo d’indagine testuale.

Perché è tanto divertente?

Il divertimento consiste non tanto nel dileggiare l’autore del testo che si è scelto di decostruire – questo non è lo scopo e non è neanche un’attività politicamente rilevante – quanto il suo linguaggio. Mostrando “l’altro lato” delle parole scelte (le intenzioni di chi scrive, le costruzioni del suo linguaggio), o anche la struttura tipografica nella quale il testo si presenta, è inevitabile svelare quei meccanismi di consenso che, una volta esibiti, fanno risultare ridicolo il loro funzionamento e la loro pretesa di ragione. Spegnendo la forza – a volte la violenza – che anima quei testi, ci si accorge che molto della loro potenza suggestiva o della loro capacità di convincere risiedeva in realtà in giochi retorici privi di qualsiasi consistenza razionale, o per lo meno reale.

Dice Treccani che l’ipocrisia è“simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole”. Tantissima informazione giornalistica fa un uso spregiudicato di un un linguaggio ipocrita, simulando qualunque qualità pur di avere più lettori, attirare sponsor o clic, far parlare di sé e/o della propria testata. Smascherarlo distrugge queste possibilità ingannatorie e allena a non farsi più ingannare, in futuro.

E tutto questo fa ridere, ovviamente. Almeno all’inizio.

Di quale testo parliamo?

I testi che meglio si prestano alla decostruzione – almeno per come finora l’ho attuata io – sono quelli che tipicamente occupano una pagina web: articoli di giornale online, post di blog, interviste riportate in rete, brevi saggi o recensioni. Il perché sarà chiaro più avanti, ma è importante premettere che nessun testo può essere immune dall’essere decostruito: anche immagini e video potrebbero tranquillamente essere decostruiti, l’importante è trovare una tecnica che ne smonti l’impianto retorico, che permetta cioè di interrompere – per criticarla – la logica che ne tiene insieme le parti (sui video ha realizzato un ottimo lavoro Lorella Zanardo). Quindi la prima e unica caratteristica che deve avere un testo per essere decostruito è l’essere divisibile in parti: parole o frasi per il linguaggio, zone o elementi per le immagini, scene, sequenze, gesti per i video.

L’importante è che queste parti nelle quali si divide il testo sul quale fare deconstructing abbiano un senso autonomamente dal resto. Nel caso di alcune poesie, o di un breve lancio d’agenzia, o di un paragrafo che espone i dati di una tabelle, conviene lasciare il testo unito e mostrarne i lati oscuri come un tutto, nella sua interezza. Questo perché il deconstructing non deve funzionare come una messa in questione della singola parola, una ricerca di un “lessico” migliore, bensì lo svelamento di un’intenzione di forzare il consenso del lettore.

Unità di senso, premesse e conclusioni

La divisione in parti è necessaria, credo, per individuare le intenzioni alla base del testo. Cioè per comprendere cosa “tiene insieme” tutte le parti del testo, qual è il suo scopo dichiarato – e anche quello occulto, se è possibile accorgersene leggendolo. In questo modo è facile stilare una breve lista – meglio appuntarsela da qualche parte – delle premesse e delle conclusioni inerenti al testo da decostruire. Non è detto che siano tutte immediatamente chiare entrambe: il lavoro di decostruzione serve anche a far emergere questioni non esplicite o non immediatamente avvertibili, ed è quindi da intendere non tanto come una mera analisi per avverare tesi contestatorie già pronte, ma una ricerca di quei mezzi coercitivi e/o logicamente scorretti (siano essi argomentativi o formali) che possono inquinare la comunicazione, principalmente quella politica. Quasi sempre è possibile individuare dei momenti precisi, nella costruzione argomentativa del testo: la ricerca di fonti a sostegno delle proprie idee, la messa in questione delle opinioni opposte, l’esposizione dei loro difetti o contraddizioni, la deduzione delle proprie posizioni come logica, ovvia, naturale, giusta.

Perché decostruire?

Decostruire è una pratica politica di libertà – almeno così la intendo io. E’ un gioco non solo per affinare l’intuito in lettura e comprensione, ma per condividere i propri dubbi e le proprie perplessità, per diffondere un atteggiamento critico verso ogni messaggio strutturato, per smascherare gli strumenti di oppressione mediatica in genere. Decostruire non è interpretare, nel senso di “dare una propria versione di qualcosa”: è una critica, cioè un’azione volta a demolire una catena monolitica di espressioni e significati inserendovi un’altra voce, così che il monologo possa farsi, in un certo senso, dialogo e che in questo dialogo si possa svelare quello che nel monologo rimaneva non detto, nascosto, camuffato. La decostruzione, quindi, non serve tanto a opporsi, a dire “il contrario” del testo decostruito: è utile piuttosto per quello che svela, che mostra mentre esercita una critica sulle parole, sulle frasi, sulla forma tipografica del testo originario. Così che quel testo che era stato pensato e scritto solo per essere letto, viene portato a “parlare” esso stesso di ciò che invece ha taciuto, aggiungendovi una voce critica.

Decostruire si fa con tutto il corpo

Per questi motivi ci tengo a sottolineare che la decostruzione non è tanto guidata da una lucida scansione delle ragioni, delle implicazioni logiche, delle conseguenze di certe assunzioni, quanto dalla sensibilità nei confronti del linguaggio. E’ un lavoro che nasce da un senso, non da una conoscenza, ed è guidato dal “fastidio” di aver sentito in azione nel testo da decostruire una violenza, una prepotenza che va smantellata, scardinata, mostrata nel suo ipocrita tentativo di creare una soggezione inesistente nei fatti. Finché questo fastidio è ancora avvertibile, la decostruzione non è finita. E questo fastidio si manifesta spesso con dolori, pruriti, giramenti di genitali e rodimenti di culo.

Deconstructing contro cosa

L’attività di decostruzione è una lotta contro i poteri della logica e della grammatica in azione in un testo. Il potere delle espressioni, per esempio, è spesso racchiuso in convenzioni, luoghi comuni, stereotipi che assumono come veritiero uno stato di cose frutto di pregiudizi e impressioni del tutto immotivate e non dimostrate. Il potere del lessico sta nella scelta della parola più coercitiva e meno liberatoria per guidare il lettore al concetto che interessa l’autore, le sue intenzioni spasso non dichiarate. Il potere della struttura testuale racchiude in paragrafi separati piccoli nuclei di senso che in realtà non sono affatto autonomi e ben fondati; infatti spesso quei paragrafi “chiedono” surrettiziamente al lettore di essere confermati per il loro essere semplicemente staccati dal resto. Il potere dell’abitudine passiva della lettura, al quale spesso si appella un discorso zoppicante e poco fondato, presume in chi legge fiducia totale nel testo scritto in sé.

Questi poteri vanno identificati, ne va compreso il raggio d’azione e vanno resi inoffensivi. Allora tutti i sensi possibili del testo – e le sue mancanze – potranno emergere senza difficoltà.

Deconstructing con che cosa

Non è necessaria alcuna preparazione per decostruire un testo, servono solo fantasia, determinazione, e le parole. Decostruire è fare i conti con il lessico e con la sintassi: c’è da sconfiggere l’ambiguità delle parole altrui e da lavorare sulla chiarezza delle proprie.

Le parole tendono ad amalgamarsi, a contaminarsi, e bisogna resistere all’adeguazione delle parole tra loro, nella tentazione di rendere ogni discorso liscio, pulito, senza intoppi. Se vogliamo dire così, decostruire è mettere bastoni tra le ruote, inceppare dei meccanismi, ostacolare il procedere delle frasi così com’erano progettate inizialmente. Provate a volgere le negazioni come fossero ammissioni: anche trasformare banalmente un “non credo che non” in un “io credo che” potrebbe sconvolgere l’ordine precostituito dall’autore. Oppure potreste ottenere effetti insperati dal trasformare le frasi ipotetiche/condizionali, rovesciandole: un “se A allora B” suona molto diverso da un “c’è B dove c’è A”, pure se le due formulazioni sembrano logicamente equivalenti. Ancora più interessante è giocare con i sinonimi: per esempio sostituire i verbi. Usare dei loro sinonimi, per poi rileggere le frasi, può far sorgere delle ipotesi di lettura che forse l’autore voleva occultare, quando ha scelto quella parola e non il sinonimo che avete messo alla prova.

Deconstructing da dove

Decostruire è, inevitabilmente, indagare le condizioni di possibilità di un testo, cioè ricostruire anche la sua storia, ciò che lo ha preceduto e che ha generato, nell’autore, la necessità di scriverlo. Quindi si tratta anche di domandare alle parole da dove vengono, quale necessità ha spinto qualcuno a usarle in quell’ordine, e non in un altro, per esprimere quel senso e non un altro. Le parole hanno una storia, nessuno le inventa lì per lì tanto per essere compreso o per esprimersi, perciò le scelte lessicali denunciano un passato, un’impronta originaria che l’autore sceglie perché la preferisce ad altre per i suoi scopi. E’ il caso, prendendo ad esempio i testi che ho decostruito, dell’uso del linguaggio militare da parte di commentatori politici. Se un autore scrive che tra i generi c’è “battaglia” e non “scontro” o “opposizione”, non è la stessa cosa. Per esempio, in una “battaglia” può esserci facilmente un “eroe”, il “sacrificio” e un “onore”, mentre a una “opposizione” sarebbe più difficile accostare quelle tre parole. Ecco che un testo viene caratterizzato da determinate scelte che colorano il discorso con aloni, presenze, atmosfere che non sono elementi da trascurare ma entrano a far parte della lettura, s’insinuano con i loro sensi multipli negli spazi bianchi tra le parole. Quindi vanno decostruite anch’esse, in qualche modo. Per questo usare l’ironia può essere, oltre che divertente, funzionale: l’ironia permette di evitare il condizionamento dovuto a elementi non puramente testuali, spazzando via le “arie”, gli odori e i sapori che determinate scelte lessicali introducono nel discorso.

Deconstructing chi

Decostruire è mettere se stessi in gioco, inevitabilmente, perché il lettore non è neutrale, mentre legge. Forse lo si vorrebbe così, ma ciò non è possibile, perché leggere è anche comprendere – o tentare di comprendere – e questo comporta distendere tutte le proprie convinzioni e conoscenze personali per entrare in ciò che il testo dice. Decostruire è quindi anche far emergere le sollecitazioni che il testo promuove in noi (nella memoria, nel corpo, nei sensi, nella cultura che abbiamo interiorizzato) e metterle alla prova facendole scontare con le parole scritte. Il risultato dovrebbero essere domande, interrogativi, questioni che il testo ha sollevato ma al quale non risponde o preferisce non rispondere, e c’è da chiedersi il perché.

Non è necessario però spostare il fuoco del lavoro decostruttivo dal testo al suo autore. Si dovrebbe sempre cercare di “rimanere sul pezzo”, perché si decostruiscono i testi ma non le persone. Per quanto chi le ha scritte possa avere un carattere spregevole o malevoli intenzioni, sono le parole lo strumento usato per veicolare violenza, costrizione, falsità o ipocrisie; sono loro a dover essere disinnescate. Dopo questo lavoro di decostruzione, l’autore non conterà assolutamente più niente.

Deconstructing come

Certo un PC è più comodo da usare, ma anche sulla carta si può fare un deconstructing. Il primo lavoro da fare è una accurata frammentazione dei paragrafi originali, spezzando tutte le frasi al punto (o dove la punteggiatura suggerisce di farlo) e scrivendole distanziate di una riga – su carta si possono usare evidenziatori a colori alternati, per esempio.

In questo modo le frasi posso essere lette in maniera “assoluta”, sciolte dal discorso precedente o successivo, e si possono riconoscere più facilmente le loro inconsistenze o incoerenze. Provate, oltre ai giochi lessicali già descritti, a immaginare di pronunciarle a una persona che non sta leggendo tutto il testo: hanno ancora un senso? Di cosa avrebbero bisogno per essere comprensibili? E nel resto del discorso sono presenti questi altri elementi? Tutte le espressioni sono chiare, sono definite? Questo lavoro permette di passare a una fase successiva, cioè individuare i legami nel testo tra le parti significanti. Ci sono sicuramente concetti che vengono premessi per definirne altri, oppure concessioni fatte per poter poi confutare una opinione. E’ bene segnare con evidenza questi legami, perché sono quelli che tengono insieme i vari argomenti e rendono il testo un “tutto” unito – e potrebbero essere, in realtà, del tutto arbitrari. Nel caso di una intervista, per esempio, l’ordine delle domande potrebbe essere stato scelto per meglio agevolare l’intervistato a dire ciò che gli fa piacere, e per evitare di dire cose a lui scomode; in un articolo di cronaca, alcuni fatti apparentemente slegati con la notizia principale potrebbero essere inseriti, all’inizio o alla fine, per mostrare come la notizia faccia parte di un insieme di circostanze che invece sono solamente create da chi ha scritto.

Una piccola accortezza ulteriore, che probabilmente porta a scoprire insospettati intrecci di senso, è il conteggio delle parole, ossia contare quante volte una parola viene ripetuta, anche nei suoi sinonimi. Può essere utile a rintracciare l’intenzione dell’autore di usarla come “veicolo” di un concetto non chiaro, oppure per rafforzare nel lettore l’idea che quella parola o espressione siano chiare e definite – ma nel testo la definizione non c’è.

Non è mai inutile raccomandare di distinguere, in ogni tipo di testo, “i fatti dalle opinioni”. Spesso opinioni personali dell’autore sono spacciate per evidenze, ovvietà, caratteristiche di ciò che viene descritto – ma non è così. E’ sempre necessario avere la mente pronta a cogliere atteggiamenti giudicanti, moralistici o comunque privi del giusto distacco necessario a una esposizione obiettiva, appunto, sia dei fatti che delle opinioni.

Sarà facile che emergano, nel lavoro di decostruzione, altri sensi possibili per il testo e anche altri attori coinvolti. Se ci sono, ad esempio, formule linguistiche che richiamano alla mente le espressioni tipiche di una persona che non è l’autore, si deve chiedere conto di questa “presenza”; oppure potrebbero esserci altri significati possibili, altri sensi per una frase o un’espressione, la cui ambiguitàè fonte di fraintendimento oppure di ricercata vaghezza.

La domanda che dovrebbe sempre alimentare il lavoro di decostruzione è: che cosa manca? Che cosa non mi fa sentire a mio agio quando leggo questo testo? E perché non c’è?

Link 

Qui di seguito la lista dei link ai “deconstructing” pubblicati finora da me, dal meno recente al più attuale – sono link anche quelli non colorati, cliccate con fiducia e buone risate, spero 🙂

Deconstructing SNOQ (SNOQ a pezzi) – 21/11/2011

Deconstructing “Liste. E femministe” – 22/12/2011

Deconstructing “Casapound spiazza tutti” – 13/2/2012

Storie di un padre NON separato #6 (parte prima: Deconstructing Giacomo) – 19/3/2012

Deconstructing “Che cos’è il patto di genere” – 19/2/2012

Deconstructing Clio Napolitano – “Morti rosa” – 2/5/2012

Deconstructing “Il recensore misogino” – Come non si fa una recensione – 25/6/2012

Cosa vogliono le donne? (deconstructing Gramellini) – 30/6/2012

Deconstructing “Pussy Riot, le giovani punk a processo” – 1/8/2012

Deconstructing Elasti – 14/9/2012

Deconstructing allievo e maestro – 21/9/2012

Il genocidio dei padri, ma siamo sicuri che esista? (Deconstructing Mazzola) – 25/10/2012

Io sono Tempesta (Deconstructing Mazzola bis) – 4/11/2012

La politica di Fonzie (Deconstructing la beta-solidarietà) – 7/11/2012

Decontructing SNOQ #2 – lo spot – 24/12/2012

Deconstructing ANSA – 8/1/2013

Deconstructing “i casalinghi” – 7/2/2013

Deconstructing l’ottomarzomaschio – 14/3/2013

Deconstructing le vergini violate – 10/04/2013

Deconstructing la vanvera – 10/04/2013

Deconstructing le poesie? – 19/04/2013

Deconstructing la censura –  19/04/2013
Deconstructing Don Riccardo – 02/05/2013

Deconstructing il moralismo – 13/05/2013

Deconstructing lo scienziato – 05/06/2013

Deconstructing il progetto di Dio – 05/06/2013

Deconstructing il direttore – 10/06/2013

Deconstructing le avances – 24/06/2013

Deconstructing l’amor cortese, i cavalieri, i parolieri, i giocolieri, gli uomini di ieri  – 08/07/2013

Deconstructing l’ignoranza (o Dell’anti-omofobia) – 30/07/2013

Deconstructing la cronaca stretta – 16/09/2013

Deconstructing “la tua opinione” – 02/10/2013

Deconstructing l’impressione – 16/10/2013

Deconstructing lo yin e lo yang – 21/10/2013

Deconstructing il sogno e l’incubo – 24/10/2013

Deconstructing l’ideologia totalitaria – 05/11/2013

Deconstructing la redazione – 25/11/2013

Deconstructing il Queer Bilderberg – 02/12/2013

Deconstructing “il sesso con sentimento” – 16/12/2013

Deconstructing la costanza (di Miriano) – 13/01/2014

Deconstructing il collaborazionismo sessista – 28/01/2014

Basta il pensiero (deconstructing il Metodo Scanzi) – 10/02/2014

Deconstructing quello (il giornalista) che ci prova – 18/02/2014

Deconstructing la zappa sui piedi – 25/02/2014

Deconstructing il genio della lobby rosa – 31/03/2014

Deconstructing l’alibi de li mortacci vostra – 08/04/2014

Deconstructing una certa idea di maschio etero – 28/04/2014

Deconstructing la frittata – 11/06/2014

Letture per l’estate (Deconstructing il ridicolo sessismo linguistico) – 30/07/2014